la parola cresceva

commenti alla Parola della domenica e riflessioni

XXIII domenica tempo ordinario – anno C – 2019

IMG_5183.JPGSap 9,13-18; Fm 9-10.12-17; Lc 14,25-33

”Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”.

Essere discepoli, coloro che seguono: in queste parole si gioca l’identità di chi desidera stare con Gesù. Quali le caratteristiche di chi segue Gesù? Quali le esigenze per essere coloro a lui rimangono legati? Gesù ha chiamato tutti in diversi modi a seguirlo e li ha invitati ad intraprendere la sua strada. Ha chiesto questo non solo per un certo tempo ma in modo continuo imparando dall’unico vero maestro.

Sorprende innanzitutto la pretesa di Gesù: pretende che altri lo seguano e seguano lui. Chiede una disponibilità senza riserve e aperta nelle diverse fasi della vita. Per questo seguire non è mai un dato scontato, un punto concluso della carriera, ma implica ogni giorno un ricominciare di nuovo.

Luca indica alcune caratteristiche del cammino di chi intende seguire Gesù.

La prima condizione è presentata in termini duri e ostici: se uno viene a me e non ‘odia’ suo padre, sua madre… Il termine ‘odiare’ contrasta con l’intero insegnamento di Gesù riguardo all’amare non solo i vicini e gli amici ma anche i nemici. Inoltre aveva chiaramente richiamato il dovere di curare i rapporti familiari prima e al di sopra di un culto separato dalla vita (Mt 15,3-6): inoltre aveva manifestato la denuncia contro coloro che nel fare un’offerta al tempio si ritenevano esonerati dall’onorare il padre e la madre e facendo così “annullavano la parola di Dio”. Gesù non chiede di ‘odiare’: l’uso di questo termine così forte proviene dall’assenza nelle lingue semitiche del modo di dire ‘amare di meno’: per esprimere un amore non totalizzante è quindi usato il verbo ‘odiare’.

Gesù chiede a chi lo segue di saper mettere al primo posto ciò che deve stare primo: così richiama alla presenza di Dio a cui riferire tutta la nostra vita a lui, invita a liberarsi anche da quell’idolatria e dal soffocamento che può provenire da legami che si pongono come esaustivi della vita. La sua pretesa è anche di seguire lui stesso oltre ogni altro affetto. Ogni legame e affetto può essere ricompreso nel divenire discepoli di Gesù, nel seguire il suo cammino di amore fino alla fine, di misericordia e di servizio.

C’è una seconda condizione ed è la scelta di andare dietro a lui ‘portando la croce’: la croce è sintesi e cuore dell’intero cammino di Gesù. Non perché strumento di tortura e di sofferenza, ma perché lì sulla croce Gesù ha detto che è possibile rimanere fedeli all’amore fino alla fine trasformando anche il momento della morte in un momento di essere per Dio e per gli altri. La croce è prima di tutto scelta di dono, non via di sofferenza. E’ scelta di condivisione e racchiude anche il riferimento al fallimento umano, della sofferenza e del dolore. Luca aggiunge una precisazione importante: “se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23; cfr Mt 10,38). Si riferisce al quotidiano, all’ordinario in cui si gioca gran parte della nostra esistenza: Seguire Gesù non è questione dei grandi momenti o delle scelte eroiche nella vita: questi possono forse esserci ma il cammino di sequela si attua nelle piccole cose, nelle vicende ordinarie, nelle scelte del quotidiano nella normalità che non fa notizia.

La terza condizione è indicata da due immagini, la torre da costruire e la guerra da preparare: sono immagini tratte dall’esperienza e funzionali al messaggio di fondo. Il comportamento di Gesù è in contrasto con logiche di grandi costruzioni (era piuttosto la politica di Erode quella di costruire grandi palazzi e città) e con la scelta di fare la guerra (ma egli conosceva bene la violenza che dilagava). L’esigenza di Gesù a seguirlo richiede capacità di scelte pensate, cioè discernimento, e coraggio e generosità nel partire. La sua via espone a fatica e opposizioni: richiede di soppesare bene ciò a cui si va incontro. E chiede anche una valutazione non superficiale delle proprie forze. Luca sottolinea come si tratti di un coinvolgimento di tutte le energie e dei beni: la rinuncia ai beni non è fine a se stessa ma è per farsi borse che non invecchiano, per scoprire come l’unica vera ricchezza è il regno di Dio.

Gesù propone di liberarsi da cose che appesantiscono e ingombrano non rendendo liberi, ma soprattutto propone di disfarsi di una mentalità di possesso e di superiorità. Seguirlo è esperienza di scoperta di un cammino che libera la vita per cammini di servizio.

Alessandro Cortesi op

IMG_5531.JPG

Tempo del creato, tempo della scuola

“Alla radice, abbiamo dimenticato chi siamo: creature a immagine di Dio (cfr Gen 1,27), chiamate ad abitare come fratelli e sorelle la stessa casa comune. Non siamo stati creati per essere individui che spadroneggiano, siamo stati pensati e voluti al centro di una rete della vita costituita da milioni di specie per noi amorevolmente congiunte dal nostro Creatore. È l’ora di riscoprire la nostra vocazione di figli di Dio, di fratelli tra noi, di custodi del creato. È tempo di pentirsi e convertirsi, di tornare alle radici: siamo le creature predilette di Dio, che nella sua bontà ci chiama ad amare la vita e a viverla in comunione, connessi con il creato”.

E’ un passaggio del messaggio di papa Francesco per la giornata del creato che si situa nel mese di settembre dedicato a livello ecumenico al pensiero e approfondimento e preghiera per la casa comune, per maturare consapevolezza della custodia del creato. Il grido della terra è anche nel medesimo tempo il grido dei poveri oggi. L’invito ad una conversione ecologica è il modo di accogliere questo duplice e unico grido: si fa sempre più urgente impostare l’esperienza quotidiana vita secondo nuovi criteri, di attenzione, di pazienza, di rispetto, superando una mentalità del consumo e dello sfruttamento che si realizza sia nei confronti delle cose, sia nei confronti delle persone. La cultura della produzione senza limiti di rifiuti, l’indifferenza per le cose si accompagna al disprezzo verso gli altri, alla mancanza di consapevolezza delle ingiustizie che generano diseguaglianze e sofferenze. La questione non è solo per la vita individuale ma esige un orientamento collettivo, politico, l’orientamento a individuare un sistema economico diverso da quello che genera iniquità e distruzione dell’ambiente.

Settembre è anche tempo di inizio della scuola. La scuola è il primo luogo in cui maturare questa sensibilità, in cui investire per far maturare spirito critico, per essere capaci di andare controvento, come ricorda Franco Lorenzoni nel suo utlimo libro dal titolo I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento (Sellerio 2019) e che in una recente intervista ha indicato la scuola quale luogo di resistenza contro l’alienazione del nostro tempo, con la capacità di sorpresa, perchè la vita è trasmettere ad altri ciò che si è ricevuto da custodire e coltivare perché possa durare:

“Credo siano i primi a capirlo: quella del maestro non è una missione, ma un mestiere come tanti altri, che ha bisogno della sua cassetta degli attrezzi, da ricalibrare di generazione in generazione (…) Lo sa qual è la cosa che non dovrebbe mai sparire in una classe? La capacità di sorprendersi, quel sapersi mettere in gioco, col proprio corpo, senza vergognarci delle nostre emozioni: può essere l’antidoto giusto all’alienazione (…) Ritengo che qualsiasi tipo di educazione debba andare controvento, che è poi guardare le cose di tutti i giorni, con spirito critico», con riferimento all’opera degli architetti, “i quali utilizzano questo termine per indicare i tiranti che reggono un edificio, così come un educatore si augura che ciò che lascia ai propri ragazzi possa durare nel tempo” (Il Corriere della sera 1 marzo 2019).

Alessandro Cortesi op

 

 

Navigazione ad articolo singolo

Lascia un commento