XXVIII domenica tempo ordinario – anno A – 2017
Is 25,6-10; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14
“Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto … di cibi succulenti, di vini raffinati. …Eliminerà la morte per sempre, il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto”.
L’immagine del banchetto sta ad indicare un incontro dei popoli nel condividere un cibo preparato per tutti da Dio stesso. Questo banchetto è il simbolo di un futuro caratterizzato dalla presenza della vita e senza più la morte. L’azione di Dio è vita, dono di gioia. Il Signore che prepara un banchetto è anche colui che elimina la morte, apre la possibilità di incontro nella felicità della condivisione e dello stare insieme. L’immagine del banchetto viene anche collegata alla venuta del messia.
Nei vangeli si parla a più riprese di banchetti, a Cana, in casa di Levi nella casa di Simone il pubblicano dove irrompe la donna peccatrice, nella casa di Zaccheo, da Marta e Maria. Anche la moltiplicazione dei pani diventa banchetto. Gesù visse poi in una cena pasquale il drammatico momento di addio ai suoi prima della sua morte. Così pure nei racconti delle apparizioni vi è insistenza sul ‘mangiare insieme’ in vari contesti.
Anche nelle parole Gesù l’immagine del banchetto ritorna con insistenza, nella parabola del grande banchetto (Lc 14) in quella delle vergini stolte e sagge (Mt 25).
Così pure nelle parole rivolte al centurione, pagano lodato per la sua fede, a cui Gesù annuncia un venire di popoli lontani a partecipare alla mensa con Abramo Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli: “molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8,10-11).
La parabola degli invitati al banchetto (Mt 22,1-14) risulta dall’unione di due parabole distinte. Il contesto è quello del confronto di Gesù con le autorità giudaiche presso il tempio di Gerusalemme. La prima parabola presenta l’invito alla festa di nozze e il rifiuto degli invitati. La seconda è centrata sull’abito della festa. Il riferimento alla città data alle fiamme e alla violenza può essere rinvio alla presa di Gerusalemme nel 70 d.C. La parabola può quindi essere una lettura dei rapporti tra comunità cristiana e autorità ufficiali giudaiche. Ed è un testo con molteplici rinvii allegorici: il padrone che invita è Dio, i servi sono i profeti, gli invitati il popolo d’Israele…
Di fronte all’invito la risposta è il rifiuto e la violenza. Gli invitati non si lasciano toccare dalla chiamata. Sono insensibili. I servi sono allora inviati dal re verso ‘coloro che sono ai crocicchi delle strade ‘: ‘tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze’.
Si ripropone l’insegnamento: ‘i pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno di Dio (Mt 21,31). Il Padre ama chi si apre alla consapevolezza di essere salvato. Chi si crede giusto non avverte l’urgenza di cambiamento. Chi è troppo concentrato sui propri meriti, fino a condannare gli altri ed essere intollerante non può aprirsi ad accogliere la grazia di Dio. Matteo presenta la chiamata di Dio che fa entrare ‘buoni e cattivi’: Dio ama non allontanando i peccatori, ma offrendo misericordia.
La scena del banchetto si tramuta rapidamente in un luogo di giudizio: un invitato senza la veste adatta viene espulso dalla sala. La veste può essere indicazione di un dono ricevuto come il velo che si riceveva nei banchetti, ma che è stato rifiutato. Una manifestazione di autosufficienza e di disdegno nel respingere un dono offerto. Nel linguaggio biblico poi la veste costituisce la dimensione dell’agire, la coerenza tra fede e vita (in Ap 19,8, la veste di lino, data alla sposa dell’agnello, indica ‘le opere giuste dei santi’). Matteo è molto sensibile nel denunciare una fede proclamata a parole ma che non trova riscontro nella pratica: ‘Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli’ (Mt 7,21).
La via per partecipare al banchetto dell’incontro con Dio è accoglienza di un dono che genera resposnabilità e impegno ad un amore concreto. Fare la volontà del Padre non è rivendicare l’appartenenza di gruppo o una sicurezza derivante dal ruolo religioso ma si attua nel compiere scelte e gesti di cura e servizio verso gli altri.
Alessandro Cortesi op
Rifiuto
Il World Population Prospects – documento che fornisce stime e proiezioni relative alla situazione demografica mondiale elaborato ogni due anni dalla Divisione per la popolazione dell’ONU – nell’edizione del 2017 (pubblicata il 21 giugno u.s.) presenta le stime di crescita per il 2050. Queste indicano un aumento di 100 milioni di individui rispetto alle ultime previsioni e ciò soprattutto in ragione della crescita demografica che si registra in Africa e India. Le previsioni indicano 8,6 miliardi nel 2030, e 9,8 miliardi nel 2050.
La Cina conta attualmente 1,4 miliardi di persone (il 19% della popolazione mondiale) e l’India 1,3 miliardi (il 18% della popolazione mondiale). La previsione è che nell’arco dei prossimi sette anni la popolazione indiana supererà quella cinese.
Tra i dati rilevanti del Prospetto è da cogliere come tra i dieci Paesi più popolosi del mondo la Nigeria vedrà un incremento tra i più alti. Si stima che la popolazione di questo Paese africano supererà nel 2050 quella degli Stati Uniti, divenendo così il terzo Paese nel mondo per numero di abitanti.
Con India e Nigeria il 50% della concentrazione della crescita demografica mondiale dal 2017 al 2050 sarà nei seguenti Paesi: Congo, Pakistan, Etiopia, Tanzania, Usa, Uganda e Indonesia. L’Europa per contro vedrà una diminuzione della popolazione nei prossimi anni con un progressivo invecchiamento.
Il fatto che la crescita demografica maggiore sia concentrata nei Paesi più poveri del mondo pone serie difficoltà al perseguimento di alcuni Obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’ONU, in particolare l’obiettivo di ridurre la povertà e la lotta alla fame, come pure lo sviluppo dell’educazione e la riduzione delle disuguaglianze. Il processo di invecchiamento della popolazione può portare ad esigenze rilevanti di assistenza, pensioni e fondi di protezione sociale con conseguenze di aumento della pressioni fiscale.
Alla luce di questo quadro di previsioni demografiche la regione del Mediterraneo costituisce quindi una delle regioni, e non l’unica, che nel mondo continuerà ad essere segnata da una forte pressione migratoria sui paesi europei. Il mare Mediterraneo, nel quadro di una considerazione geografica, costituisce una sorta di lago le cui sponde uniscono Africa Europa e Asia. Pone in comunicazione e mette a stretto contatto i Paesi del Sud del mondo ad alta crescita demografica e i Paesi europei. La disparità dello sviluppo demografico costituirà un elemento importante di spostamento dei popoli.
La logica del rifiuto, della chiusura e dell’innalzamento di barriere con il pensiero che questa sia la soluzione a flussi migratori in un quadro di tale vicinanza geografica e di disparità di crescita demografica è un indirizzo che non solo non risolve il problema nel presente, ma non apre nemmeno a possibili vie per affrontare la complessità di tale fenomeno nel futuro.
Negli ultimi giorni si è assistito ad una convocazione organizzata ai confini della Polonia di migliaia di persone mobilitate in una manifestazione di opposizione all’accoglienza di stranieri e con la paura dell’islamizzazione ‘perchè l’Europa resti cristiana’. La cosa più sconcertante è stata la motivazione religiosa e l’atmosfera di preghiera con il rosario in mano di questa manifestazione. Tale iniziativa appare come un tradimento non solo del vangelo ma anche del senso stesso di una preghiera che richiama lo sguardo a Maria che ha cantato il Magnificat, il canto degli impoveriti che pongono la loro fiducia nel Signore che guarda a chi è tenuto fuori dei confini: “ha deposto i potenti dai troni ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. Identificare la fede cristiana con una tradizione culturale è stato sempre nella storia processo generatore di incomprensione del vangelo stesso e di sventure per l’espereinza dei credenti e per i popoli.
Olivier Poquillon, frate domenicano francese, segretario della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) in una recente intervista in occasione del convegno Re-thinking Europe, ha ricordato: “La questione delle frontiere, delle identità ci fa ricordare quando l’impero romano ha cominciato a perdere forza e a costruire il limes, le frontiere attorno a lui, impiegando tutto se stesso nella difesa delle periferie, svuotando il suo centro. Oggi l’Unione Europea corre lo stesso rischio, perdere il senso della sua missione, che è un progetto di pace e di impegno positivo per il bene comune. (…) non si tratta di difendere una torta con la paura che diventi piccola se porzionata in troppi pezzi, ma di imparare a fare delle torte insieme”.
E ancora: “Se una politica funziona per i più deboli, funziona sicuramente per tutti. Il contrario non è sempre vero. Prendersi cura dei più vulnerabili, dei più poveri è essenziale per costruire il progetto europeo (…) Il motto dell’Europa è l’unità nella diversità. Diversità di culture, diversità di lingue, diversità di storie. La storia dell’Europa è segnata dalle guerre e la guerra esiste ancora alle nostre porte e in Europa, in Ucraina. Essere solidali oggi significa trovare soluzioni comuni. (…)”
Ha infine richiamato ad una dimensione pratica della politica: “La politica è una buona notizia se si mette dalla parte del bene comune. Non è più tempo di enunciare dei grandi principi, ma è il tempo di metterli in pratica”.
La Conferenza degli istituti missionari italiani (Cimi) in un recente documento del 14 settembre 2017 ha preso una decisa posizione di fronte al recente accordo tra Italia e Libia :
“… l’Italia si è accordata con le milizie e la guardia costiera di al-Sarraj per bloccare i migranti nell’inferno libico dove sono torturati, stuprati o destinati a morire nel deserto di sete, come ha denunciato l’Onu. (…)
Noi missionari condanniamo con forza questo accordo scellerato che sarà pagato così pesantemente dai popoli africani, a noi così cari. Questo costituisce per noi missionari il naufragio dell’Europa come patria dei diritti.
«Il dramma che i migranti e i rifugiati stanno vivendo in Libia – afferma il rapporto dei Medici senza frontiere, del 7 settembre scorso – dovrebbe scioccare la coscienza collettiva dei cittadini e dei leader dell’Europa».
Questa è una politica miope, in vista delle elezioni, per salvare il nostro benessere di occidentali. Noi missionari chiediamo un’altra politica verso i paesi dell’Africa:
– l’apertura di corridoi umanitari per chi fugge da situazioni drammatiche;
– un embargo sulla vendita di armi italiane agli stati africani;
– una seria politica economica verso questi paesi con forti investimenti, non ai governi, ma alle realtà di base per permettere ai popoli d’Africa di rimettersi in piedi;
– la sospensione delle nostre politiche predatorie nei confronti dell’Africa, ricchissima di materie prime;
– la sospensione degli Epa (Accordi di partenariato economico) che la Ue ha imposto ai paesi africani e che creeranno ancora più fame.
Infine ci auguriamo che la legge sullo Ius Soli, bloccata in Senato, venga subito approvata per permettere a minorenni nati in Italia da genitori immigrati residenti da almeno 5 anni o ad alunni nati all’estero che abbiano completato 5 anni di scuola in Italia, di sentirsi cittadini a pieno titolo. Solo così lentamente e con fatica costruiremo quella “convivialità delle differenze” che ci permetterà di trovarci ricchi delle nostre differenze. O il mondo sarà così o saremo destinati a sbranarci vicendevolmente. Noi missionari crediamo che non c’è umanità se non al plurale»”.
Alessandro Cortesi op
XXVIII domenica tempo ordinario – anno A – 2020
Is 25,6-10; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14
“Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. …Eliminerà la morte per sempre, il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto”.
Isaia utilizza l’immagine del banchetto per parlare di un incontro dei popoli che è visto come orizzonte finale della storia. Il monte di Sion sarà luogo del convergere di tanti cammini e Dio stesso avrà preparato un cibo da condividere tra tutti. Questo ritrovarsi nella festa e nella gioia di una tavola dove mangiare insieme è immagine di un futuro in cui la morte sarà eliminata: l’azione di Dio è vita, dono di gioia e di incontro. Il Signore che prepara un banchetto di cibi buoni e abbondanti per tutti è anche colui che elimina la morte e toglie il velo che copre la faccia dei popoli. Apre la possibilità di una vista nuova, di incontro e di vita. L’immagine del banchetto nella Bibbia è poi stata utilizzata quale segno collegato alla venuta del messia che porta a compimento la promessa di Dio.
Nei vangeli si parla spesso di pasti a cui Gesù partecipò: alle nozze a Cana (Gv 2, 1-11), con i pubblicani e peccatori a casa di Matteo (Mt 9,10-13), nella casa di Simone in cui Gesù incontra la donna peccatrice (Lc 7,36-50), a casa di Zaccheo (Lc 19,1-9), attorno alla tavola a casa di Marta e Maria (Lc 10,38-42), la condivisione sui prati verdi della Galilea quando i pani vennero distribuiti (Mc 6,30-44; 8,1-9). Gesù visse poi in una cena il momento di addio ai suoi prima della sua morte. E’ poi una costante nei racconti pasquali l’insistenza sul ‘mangiare insieme’: con i due di Emmaus (Lc 24,30) e sulla riva del lago di Tiberiade (Gv 21,4-13).
Anche nel suo insegnamento Gesù spesso richiama l’immagine del banchetto ad es. nella parabola del grande banchetto (Lc 14,16-24), in quella delle vergini stolte e sagge con sullo sfondo una cena di nozze (Mt 25,1-12) e quando si trova ad ammirare la fede del centurione ricorda ancora questo stare a mensa con Abramo Isacco e Giacobbe, in un banchetto futuro che raduna tutti i giusti da provenienze diverse: “In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8,10-11).
La parabola degli invitati al banchetto (Mt 22,1-14) è posta nel contesto della discussione polemica di Gesù con le autorità giudaiche presso il tempio di Gerusalemme. E’ un momento di scontro in cui Gesù pone la sua critica contro coloro che vivono la religione come motivo di potere, senza attuare un cambiamento della vita, cioè una religione senza affidamento a Dio, ma ridotta a fatto identitario o a norme che escludono e rendono indifferenti. Le parole di Gesù vengono riprese dalla comunità di Matteo in un tempo successivo di scontro e polemiche tra comunità e giudaismo: il riferimento alla città data alle fiamme può essere un rinvio ai tragici eventi del 70 d.C. E’ peraltro certamente una parola rivolta ai capi dei sacerdoti e i farisei e notabili del popolo (Mt 21,45; 21,23).
In essa sono riunite due parabole con diverse accentuazioni La prima è quella del banchetto in cui gli invitati non accolgono l’invito, la seconda riguarda l’invitato senza la veste adatta per la festa.
Un re dopo aver preparato un banchetto manda i suoi servi a chiamare gli invitati. La risposta non è solo di rifiuto ma anche di indifferenza, di disprezzo e violenza. Gli invitati hanno altro di cui occuparsi sono in una condizione di sicurezza e di indifferenza: sono coloro che vivono la religione come una condizione di privilegio e di sicurezza e hanno perso di vita l’incontro con Dio stesso. E’ questa una parola di denuncia verso coloro i capi dei sacerdoti e notabili. A fronte di una mancata accoglienza del suo invito il padrone invia ancora i servi a chiamare ‘coloro che sono ai crocicchi delle strade ‘ e ‘tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze’.
L’agire di Gesù manifesta come il Padre ami chi vive una condizione di peccato e si apre alla consapevolezza di essere salvato. Coloro invece che si credono giusti vivono una profonda difficoltà a cogliere la verità della loro vita di fronte a Dio, non avvertono l’esigenza di lasciarsi accogliere e perdonare da Dio. Gesù critica questa religiosità falsa indicandola come ‘ipocrisia’: è l’atteggiamento di chi solo manifesta una religiosità fatta di gesti esteriori per essere ammirati dagli uomini ma non coltiva il coinvolgimento interiore della fede (Mt 6,6.7.16). Matteo presenta la chiamata di Dio che fa entrare ‘buoni e cattivi’: Dio ama non allontanandosi dai peccatori, ma assumendo su di sé il peccato e perdonando, offrendo misericordia.
La scena del banchetto si tramuta rapidamente in una scena di tribunale: c’è un invitato che non ha la veste adatta e viene espulso dalla sala. Nel linguaggio biblico la veste indica il comportamento degli uomini, l’agire, la coerenza tra fede e vita (in Ap 19,8, la veste di lino, data alla sposa dell’agnello, indica ‘le opere giuste dei santi’). Partecipare al banchetto è incontro con Dio che richiede un cambiamento della vita nei gesti, nelle scelte, nel modo concreto di condurre la vita.
Nel vangelo di Matteo è costante la critica di una religiosità che si nutre solo di proclamazioni senza riferimento alla vita: ‘Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli’ (Mt 7,21).
La parabola richiama che la via per partecipare al banchetto dell’incontro con Dio è l’operare seguendo Gesù in modo concreto aprendosi alla fraternità. In ciò si fa la volontà del Padre: non nel rivendicare una appartenenza di gruppo o una sicurezza derivante dal ruolo religioso ma nel compiere scelte e gesti di cura e accoglienza verso l’altro (Mt 16,27; 25,31-46).
Alessandro Cortesi op
Invito
La tradizione palestinese del wajib prevede che le partecipazioni ad un matrimonio siano recapitate personalmente e direttamente a ciascuno degli invitati. Centinaia di inviti casa per casa: famiglie amiche, zii e zie, cugini e cugine, familiari di diverso grado.
Nel film di Annemarie Jacir, che nel titolo richiama tale tradizione, è questo il compito a cui si dedica Abu Shadi, stimato insegnante arabo che si prepara a diventare preside, alla vigilia del matrimonio della figlia Amal in un periodo che si avvicina al Natale.
Shadi, suo figlio, architetto che da anni ha lasciato la Palestina e vive a Roma, è rientrato a Nazareth per aiutarlo nell’impegno della distribuzione degli inviti. Il film descrive le numerose visite condotte in ottemperanza a tale dovere. Padre e figlio si recano su per ripide scale o in mezzo a popolosi condomini, presso conoscenti e amici entrando nelle diverse case e ambienti di vita.
Le visite accompagnano a cogliere la vita di una rete di relazioni di famiglie e amici. Nel percorrere ampie strade congestionate dal traffico o strette vie di una Nazareth contemporanea paradigma di diversità e complessità, si illuminano frammenti di piccole storie personali o familiari intrecciate e collocate nella storia più grande del conflitto tra palestinesi e israeliani che segna pesantemente le esistenze e la vita cittadina.
Le scelte del figlio Shadi di rimanere a vivere lontano, in Italia, la sua convivenza con la sua compagna che ha un padre dell’OLP, il suo stesso lavoro, ma anche il suo modo di vestire non corrisponde alle attese del padre, anzi incontra un lui un profondo e sofferto rifiuto. Nel distribuire gli inviti emergono progressivamente differenze sia per la distanza generazionale sia per un diverso modo di guardare e affrontare la realtà. Si vengono anche a conoscere aspetti nascosti della storia familiare in cui la madre da tempo ha lasciato la famiglia. Ora, attesa per il matrimonio imminente, vive all’estero con un nuovo marito che proprio in quei giorni sta per morire.
“E’ con la saggezza che si costruisce una casa ed è con la comprensione che la si fortifica”: questa è la frase posta nell’invito di nozze di Amal. Emerge una tensione di fondo tra l’assuefazione di Abu Shadi nel dover vivere in una condizione di oppressione e di sudditanza in una situazione di dolore e conflitto accettato con rassegnazione e il senso di rivolta e di libertà del figlio che non intende accettare e non riesce a comprendere quanto realtà di ingiustizia e conflitto possano condizionare la quotidianità.
Su tutto prevale tuttavia una profonda nostalgia per una sintonia e complicità vissuta in un tempo lontano, una stagione della vita felice: si fanno strada progressivamente parole di sincerità e di autentica comunicazione tra figlio e padre. E si delinea anche il profilo più autentico dell’interiorità di un padre che soffre la solitudine e il senso di impotenza di fronte alla complessità della vita: malato di cuore e nel contempo capace di una sensibilità all’altro celata da una ruvidezza.
Il film di Annemarie Jacir è motivo per riflettere sul significato dell’invito a partecipare ad una festa di nozze, paradigma di intreccio di vite e storie, momento dell’esperienza umana che rinvia all’intreccio delle relazioni nella loro complessità gioie e interruzioni. E’ anche rinvio a scorgere la nostalgia di incontro che ogni festa di nozze con i suoi inviti reca con sè. “Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze…”
Alessandro Cortesi op
Link al film: Annemarie Jacir, Wajib – Invito al matrimonio 2017
Lettura di una immagine
La parabola del banchetto e degli invitati – Codex aureus Epternacensis (f 77v)
L’immagine va letta dal basso verso l’alto. In basso a sinistra sono raffigurati i poveri e gli ammalati, invitati da un servo e con fatica raggiungono la sala del banchetto. Nella fascia in alto a sinistra si ritrovano i poveri (indicati con la scritta pauperes) seduti con chi li ha invitato (homo quidam) ad una tavola apparecchiata e con i cibi. Nella fascia centrale – con riferimento alla versione della parabola di Luca (Lc 14,18-20) a destra si può vediamo l’uomo invitato che ha comprato un campo e un altro con i suoi buoi. Il terzo invitato si vede in basso a destra insieme con la sua sposa perché si è sposato e si scusa di non poter accettare l’invito alle nozze. I tre che rifiutano l’invito si voltano in un’altra direzione, mentre i poveri tendono verso l’alto. Il servitore in piedi accanto al tavolo sulla destra arriva portando il cibo e nella mano sinistra regge un bastone bianco girato verso il basso. Questo gesto, insieme alla parte del tavolo vuoto alla destra dell’ospite, sta ad indicare che l’invito è stato ripetuto.
Nella figura dell’ospite è racchuso il riferimento a Dio stesso, che ha invitato tutte le persone a sé. Chi viene invitato per primo si scusa e si giustifica di non poter partecipare perché ha cose migliori e più importanti da fare. D’altra parte, i poveri accettano volentieri l’invito. Con fatica e con l’aiuto ma tutti sostenuti dalla grazia di Dio, sono arrivati alla mensa del Signore. La tavola preparata a festa, le scodelle d’oro e il pane segnato con una croce indicano la mensa eucaristica e la comunione in cielo. Il povero seduto accanto al padrone di casa viene preso per mano. Un gesto che esprime il desiderio di Dio di avere accanto a sé tutti coloro che invita e lo sguardo di amore che rivolge perché si giunga ad accogliere il suo invito di comunione. (ac)