(Pentecoste, Miniatura del XII secolo, Salterio Hunterland, f. 15v, Università di Glasgow)
At 2,1-11; Sal 103; Rom 8,8,17; Gv 14,15-16.23b-26
Il dono della legge è per Israele segno di alleanza per la vita. Le parole della legge possono permeare l’esistenza e sono eco dell’unica parola dono di fedeltà, il ‘sì’ pronunciato da Dio, promessa di vicinanza e di reciproca appartenenza: ‘voi siete mio popolo’.
Nel racconto della pentecoste alcuni elementi rinviano alla narrazione del dono della Legge al Sinai: il monte allora era fumante, il Signore scese nel fuoco e iniziò un dialogo tra Dio e Mosè con la presenza di una voce dal cielo (Es 19,16-19).
Così nella pagina degli Atti degli apostoli il rumore, il fuoco e le parole sono simboli che richiamano quell’evento di alleanza. Quanto avviene nell’esperienza di Pentecoste è in legame all’esperienza di Israele: la legge dello Spirito ora è riversata nei cuori.
Accanto a questi riferimenti altri elementi ricordano il racconto del battesimo di Gesù: ‘il cielo si aprì… e scese lo Spirito Santo… e vi fu una voce dal cielo…’ (Lc 3,21-22). Ciò che Gesù visse al momento del suo battesimo al Giordano, è ora esperienza della comunità nella Pasqua.
Tanti richiami simbolici sono così usati per introdurre nell’esperienza indicibile e interiore dello Spirito che investe la prima comunità: ‘tutti furono ripieni di Spirito Santo’. Dopo la Pasqua la comunità impaurita vive un evento nuovo inatteso di raduno e di coinvolgimento. Il racconto offre parole per un’esperienza indicibile. I discepoli che avevano abbandonato Gesù avvertono l’irrompere di un incontro che è forza di vita, di apertura e coraggio: come fuoco e vento che spinge ad aprire porte e finestre e uscire. Scoprono in se stessi una capacità nuova di comunicazione. Il ‘parlare’ in altre lingue è segno della pluralità e della differenza in cui la comunità nasce.
Nel racconto di Babele la diversità delle lingue era stato esito di una dispersione. Di fronte alla pretesa di un impero simboleggiato dalla torre, quale unico dominio di una sola lingua, l’azione di Dio genera differenza. Il disegno di Dio non è quello di un’uniformità imposta: ‘scendiamo dunque perché nessuno comprenda più la lingua dell’altro’ (Gen 11,7). A Babele cessarono allora di costruire la città la cui cima doveva toccare il cielo.
A Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste Luca vede compiersi la possibilità del ‘farsi intendere’ nel modo proprio dell’altro: ‘com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?’. Lo stupore non proviene tanto dalla diversità delle lingue ma perché l’altro, lo sconosciuto e straniero, parla in modo comprensibile, fa risuonare echi di lingua materna, si fa intendere. I lontani divengono vicini. Tra lingue diverse non ci sono muri invalicabili ma ponti di traduzione.
E’ questo il segno proprio della presenza dello Spirito: è l’esperienza della prima comunità di ‘parlare’, con le parole e con la vita, è l’instaurarsi di una autentica comunicazione. La ‘parola’ diviene così ambito dell’intendersi. Lo Spirito Santo riempie i cuori, rende presente quel ‘parlare’ affettuoso di Dio all’umanità di alleanza, di appartenenza, come al Sinai.
Secondo il IV vangelo lo Spirito è il dono offerto nel giorno della risurrezione di Gesù. ‘nello stesso giorno, il primo dopo il sabato’. E’ esperienza che esprime la pasqua. Gesù passato dentro la morte, innalzato sulla croce è presente in modo nuovo, nello Spirito.
Il IV vangelo evidenzia come Cristo risorto dona lo Spirito ai suoi: il suo ‘alitare’ sui discepoli è soffio di una nuova creazione e comunica la sua vita nuova. In filigrana si può leggere la scena della Genesi in cui il primo Adamo tratto dalla terra ricevette il respiro di Dio (Gen 2,6).
Il gesto di Gesù è accompagnato dalla parola: ‘Ricevete lo Spirito Santo’. Lo Spirito, soffio, è forza di vita inafferrabile, è ‘respiro’ di vita presente nella creazione e Cristo vivente lo comunica come presenza: consolatore, suggeritore, maestro che farà ricordare. Lo Spirito guiderà alla verità tutta intera, all’incontro con Cristo ancora da scoprire nel corso della storia umana.
Nella creazione, nella storia dei popoli, nella vita personale lo Spirito è all’opera, spinge a non rinchiudere il ricordo di Gesù in una memoria sbiadita o lontana, invita a cercarlo e a lasciarsi incontrare da Lui.

Parole
Le parole sono ancora oggi luogo di scoperta: sono le piccole grandi scoperte di chi vive l’insegnamento spesso in situazioni di difficoltà e di scarso riconoscimento, o in realtà marginali. Le parole provenienti dai bambini aprono alla meraviglia della loro fecondità. E’ il caso di Franco Lorenzoni maestro elementare nel paese di Giove in Umbria che ha raccolto la sua esperienza in un libro dal titolo I bambini pensano grande (ed. Sellerio 2014):
“Ho desiderato raccontare un anno di vita di una quinta elementare del piccolo paese umbro dove insegno da molti anni perché ascoltando nascere giorno dopo giorno parole ed emozioni, ragionamenti, ipotesi e domande, che emergevano dalle voci delle bambine e dei bambini con cui ho lavorato per cinque anni, ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a scoperte preziose, che ci aiutano ad andare verso la sostanza delle cose e verso l’origine più remota del nostro pensare il mondo”. (F.Lorenzoni, I bambini pensano grande, Sellerio 2016).
Il racconto si dipana lungo la durata di un anno scolastico, che chiude il tempo della scuola elementare. Alcuni capitoli sono intessuti sul dialogare tra gli scolari: quasi una riproposizione della più antica scuola dove, proprio nel dialogo, Socrate lasciava spazio alla scoperta e al venire della parola. Ma ciò avviene come una danza: “Anche se ha l’ambizione di dilatare il tempo, l’atto educativo vive solo nel presente, come la danza” (p.192).
Al centro sono i bambini e le bambine che pensano, ed emerge la consapevolezza del compito educativo come un togliere ostacoli, lasciare che il ‘pensare grande’ possa trovare spazio, e la fertilità propria dei bambini si esprima soprattutto dando occasione che tocchino con mano le cose.
Cronaca di un’avventura, dove qualcosa avviene, qualcosa irrompe nel miracolo della parola, nell’accompagnare il formarsi di parole in un bambino e bambina che cresce. La preziosità del suo vivere non sta solo nel grande che sarà, ma nel bambino che nel momento presente è.
E’ ancora l’esperienza delle parole che sorgono come poesia in cui la parola dice la vita e non fa sentire nessuno ‘fuori’, come nei seminari di poesia di Chandra Livia Candiani in diverse scuole elementari di Milano che cita Paul Celan: “Non vedo alcuna differenza tra una poesia e una stretta di mano.” “La poesia porta a scuola la parola viva, quella che dice le cose che di solito sono fuori scuola. Quand’ero piccola, ho scritto spesso temi che venivano valutati con una scritta blu ‘fuori tema’ o perfino: ‘gravemente fuori tema’. Era una frustrazione tremenda. Mi faceva sentire fuori mondo, fuori gente, eppure è proprio questa ferita che adesso mi aiuta a incontrare chi è letteralmente fuori mondo, fuori patria.
“Il silenzio mi passava tra le vene / sembra infinito il silenzio”. Sono le parole di un bambino di nove anni scritte negli incontri di poesia. Un libro ha raccolto questa esperienza e alcune poesie bambini. “Molti vengono da paesi stranieri, molti vivono qui scomodi. C’è un silenzio dietro queste voci, un silenzio che gli ha permesso di parlare. Questo silenzio è esposizione massima al rumore delle vite degli altri. Di cosa si fidano bambini? Si fidano del silenzio di indirizzi, di indicazioni di giudizi, si fidano del non sapere prima, si abbandonano al viaggio insieme. Per mano. Senza rete”.
Non si comunica infatti solamente parlando una lingua diversa ma partecipando al mondo interiore dell’altro, vivendo empatia e com-passione. La ‘parola’ non è solo strumento di comunicazione ai fini dell’utilità, ma fiore e frutto che in se stessa rivela l’esistenza di radici profonde e nascoste. E’ spazio dell’intendersi, di riconoscimento di senso della propria vita, di comunione con l’altro. La parola è ponte con chi è diverso per cultura, lingua, religione e nella diversità può essere dono, per scoprire le aperture nuove a cui conduce l’incontro. La parola spesso non emerge al termine di una faticosa elaborazione ma giunge, come dono, magari al culmine di una lunga attesa.
La parola, al centro dell’esperienza della scuola, è mare di navigazione in cui scorgere nuovi orizzonti e la possibilità di incontri. E’ porto che mai può essere ridotto ad un chiuso rifugio ma è da scorgere nell’infinito spazio del mare aperto. La parola, quando reca in sè espressione di esistenza e riconoscimento si fa breccia per passaggi nuovi, per scoperte e legami. In se stessa è soffio dello Spirito, da ascoltare, da cui lasciarsi prendere: «Dunque, per ascoltare/avvicina all’orecchio/la conchiglia della mano».
“L’universo non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa così:
ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente,
poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce insieme,
nello spazio di carità
tra te
e l’altro”.
(da Chandra Livia Candiani, La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore, Einaudi 2014)
Pentecoste è evento di parola: è il sorgere della comunità dall’accoglienza della Parola, che scende come fuoco, annuncio di risurrezione e incontro nuovo con Cristo vivente. E’ evento di parola nello scambio di parole nuove capaci di legami, cariche di riconoscimento per l’altro, diverse nella pluralità.
Alessandro Cortesi op
Domenica di Pentecoste – anno B – 2021
At 2,1-11; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27;16,12-15
La venuta dello Spirito a Pentecoste rinvia ai prodigi dell’esodo (cfr. Es 19,3-20): il vento, imprendibile e imprevedibile, e il fuoco che investe e trasforma sono i simboli che dicono la forza dirompente, l’apertura che il dono della Pasqua genera nella prima comunità di Gerusalemme. E si attua un percorso contrario a quello di Babele: lì la pretesa di avere una sola torre e di imporre una sola lingua, qui la possibilità di parlare lingue diverse e di poter intendersi ciascuno. Lì la pretesa di un unico dominio, qui la presenza di popoli diversi. Lì il potere di alcuni, qui il compimento delle parole del profeta (Gl 3,1-5): ‘io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diventeranno profeti i vostri figlie le vostre figlie’. E’ dono dello Spirito per tutti i popoli della terra, per scoprire la possibilità di una storia nuova e il sogni di Dio della riconciliazione. E viene così a compiere il progetto di Dio a Babele, quel percorso di porre in relazione nello scambio le diversità da riconoscere e accogliere.
Il IV vangelo riporta lunghi discorsi di Gesù prima della sua passione, nel momento della cena. Sono discorsi di amicizia, di rivelazione, di promessa. In particolare c’è un’insistenza sulla presenza promessa e che verrà: lo Spirito non viene presentato come una energia o forza dell’universo, ma come presenza personale di un ‘tu’ in relazione profonda con il Padre, perché ‘procede dal Padre’: “Quando verrà il Consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza perché siete stati con me fin dal principio” (Gv 15,26-27). Lo Spirito è promesso in modi diversi indicandoil suo agire come soffio interiore e presenza di dono.
Lo spirito è consolatore, paraclito, colui che porta aiuto, sta accanto e sostiene: anche Gesù ha inteso la sua presenza così con i suoi e lo Spirito è presenza annunciata come il grande suggeritore, la guida verso la verità tutta intera. Lo Spirito è indicato come presenza interiore, non racchiudibile, vicino nel momento della prova. Sarà lui a guidare la testimonianza nelle fatiche del tempo. Sarà lui a introdurre chi lo accoglie all’incontro con Gesù: “non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l’annunzierà”.
Il dono dello Spirito genera una vita nuova, una vita non secondo l’egoismo e il dominio (la ‘legge della carne’) ma una vita che cerca di realizzare “…amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dono di sé”: è questa la ‘legge dello Spirito’: sono quest i frutti dello Spirito. Si tratta cammino dice Paolo. Accogliere lo spirito è stare nella forza (dynamis) dello Spirito e ‘camminare secondo lo Spirito’. E’ un ‘camminare’ nella quotidianità e si esprime in ‘frutti’ nella vita e nella storia, da riconoscere, da valorizzare, da accogliere.
Alessandro Cortesi op
Pentecoste
Una preziosa raffigurazione della Pentecoste si può ritrovare nella decorazione dell’armadio degli argenti, commissionato da Piero de Medici per la biblioteca del convento dell’Annunziata a Firenze dipinto da Giovanni da Fiesole, il beato Angelico, tra il 1451 e 1453, e custodito oggi presso il museo di san Marco a Firenze.
I pannelli che compongono l’armadio degli argenti sono dipinti a tempera su tavola e nelle tavolette le immagini raffigurate sono poste in relazione a cartigli situati nei livelli inferiore e superiore. Anche nel pannello della Pentecoste i cartigli riprendono due citazioni bibliche che offrono il significato dell’evento e guidano alla lettura della scena raffigurata: quella in alto riprende la profezia di Gioele (Gl 3,1-2) citata in At 2,17 “su tutti effonderò il mio spirito, i vostri figli e le vostre figlie profeteranno…”. Quella in basso rinvia a At 2,4: tutti furono colmati di Spirito santo e cominciarono a parlare in altre lingue”. Peraltro la scena riprende il riferimento all’intera narrazione degli Atti degli apostoli “Tutti erano perseveranti e concordi nella preghiera insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù” (At 1,4). Questa notazione appare essere ripresa nella raffigurazione del gruppo dei discepoli e discepole raffigurato attorno alla centrale figura di Maria nella fascia superiore del dipinto. Così pure appare implicito il riferimento al ritorno a Gerusalemme di ‘quelli che erano con Gesù’ dopo la sua ascensione. “Allora ritornarono a Gerusalemme… entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi” (At 1,12-13). La stanza appare raffigurata infatti in alto con molteplici presenze all’interno.
Nel dipinto la scena appare così divisa in due parti, una superiore e una inferiore. In alto al centro appare Maria con le mani giunte in gesto di preghiera, in piedi, con una aureola dorata sul capo, raffigurata con una grandezza particolare rispetto a coloro che la attorniano. Attorno a lei sono delineati ventisei volti aureolati e con un fiammella sul capo: sono i profili degli apostoli che hanno visto l’inserimento nel gruppo di Mattia che ha preso il posto di Giuda, il traditore (At 1,15-26) e sono anche le donne e i fratelli di Gesù indicati come presenti a Gerusalemme.
Le citazioni dei cartigli guidano l’osservatore non solo a comprendere che l’immagine tratta dell’evento della effusione dello Spirito, secondo le promesse dei profeti, ma suggerisce l’aspetto su cui l’artista intende accentrare la sua attenzione: è infatti il momento in cui il dono dello Spirito dall’alto, come vento impetuoso, riempie la prima comunità di una forza nuova ed “essi cominciarono a parlare in altre lingue nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 1,4). La sala al piano superiore appare infatti luogo in cui si attua innanzitutto una conversazione tra tutti coloro che sono lì presenti.
Nel contempo proprio quella stanza chiusa appare totalmente aperta: il muro esterno che la ripara e protegge, appare come abbattuto, creando un effetto di sguardo all’interno ma anche offrendo una trasformazione della sala da luogo chiuso a terrazza aperta che si affacciata su tutto ciò che è fuori. Nell’immagine si può leggere l’invito dello Spirito, come lingua di fuoco che si appoggia su ognuno dei presenti, ad uscire, a far correre quella parola accolta e condivisa in un dialogo che si allarga senza confini. La sala viene trasformata quindi in un luogo di dialogo e contemporaneamente in una sorta di pulpito affacciato all’esterno. E i personaggi raffigurati nella fascia inferiore, all’esterno della casa, appaiono accogliere con meraviglia una comunicazione che proviene dall’alto: sono coinvolti anch’essi in quella novità suscitata dalle lingue di fuoco appoggiate sulle teste di ognuno dei discepoli e delle discepole. Tra tutti fa spicco la figura di Maria in posizione ieratica, al centro, raccolta in attitudine di preghiera e di accoglienza e tutta protesa con lo sguardo a guardare verso altri e quasi ad affacciarsi sull’esterno. Si può forse cogliere in tale atteggiamento l’attitudine propria di Maria sottolineata da Luca nel vangelo ed espressa: “Maria da parte sua, custodiva tute queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Maria è colei che tiene insieme, facendo simbolo.
Ma anche in questa figura al centro della comunità riunita si può scorgere un simbolo che indica il sorgere della chiesa nel momento dell’effusione dello Spirito. La chiesa non ha origine come società di potere con mandato di dominio, ma sorge nel dono dello Spirito quale dono della Pasqua in rapporto al dono di sé del crocifisso Risorto. Lo Spirito apre ad accogliere la presenza di Gesù come Parola, comunicazione del Padre e suscita comunicazione di parola che pone in relazione ed allarga la comunità. Non solo dodici, ma ventisei, non solo uomini ma anche le donne, non solo quelli che erano con Gesù ma anche altri si aprono ad accogliere il dono dello Spirito che fa comunicare. Maria nel suo stare in piedi rinvia al movimento che nel libro degli Atti è riferito a Piero che prende la parola: “Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così” (At 2,14).
Maria diviene figura che esprime il volto di una chiesa che trova la sua unica ricchezza e forza nel dono dello Spirito nella spinta a portare l’invito di apertura proveniente dallo Spirito ricevuto: “per voi infatti è la promessa e per. i vostri figli e per tuti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il signore Dio nostro” (At 2,39). Il rinvio al testo del profeta Gioele è anche richiamo alla novità che la Pentecoste apre: “i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno” (At 2,17-18). Il dono dello Spirito apre ad un vedere nuovo che apre futuro e genera speranza unendo giovani e anziani nel sognare il sogno di Dio che è sogno di vita in una relazione nuova di incontro.
La parte inferiore del dipinto presenta una scena all’esterno. Due gruppi di persone sono raffigurate una a destra e una a sinistra e al centro una porta di legno, chiusa, quasi un simbolo da decifrare in posizione centrale rispetto al muro bianco. I personaggi sono vestiti in fogge diverse, richiamano alla moda del Quattrocento fiorentino ed hanno curiosi copricapo che rinviano a provenienze diverse e al loro rappresentare le diverse culture. Sono richiamo di coloro che erano presenti a Gerusalemme e nel loro gesticolare rivolgendosi gli uni agli altri ricalcano le attitudini descritte nel racconto di Atti: “Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua… Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio” (At 2,8-11).
Il collegamento tra la fascia superiore e quella inferiore non è data dalla porta, che è chiusa, ma dal parlare che giunge dal piano superiore spalancato quasi fosse una terrazza e le presenze all’esterno, che pongono i loro piedi con calzari tipici dell’epoca, su un tappeto di erbe e fiori, un giardino. I rinvii simbolici potrebbero essere molti: il beato Angelico situa l’annunciazione – nelle sue diverse realizzazioni – nel contesto di un giardino in cui sta fiorendo una novità e dove la vita rinasce. Così pure l’incontro del risorto con Maria maddalena è situato in un giardino in cui i fiori rinviano simbolicamente alle ferite della passione e richiamano la vita del Risorto che ha vinto la morte. Così anche Pentecoste unisce la casa in cui le porte erano chiuse.
Nell’immagine si unisce il racconto della pentecoste secondo Atti al dono dello Spirito da parte del Risorto nel suo primo apparire ai suoi nella stanza dove si erano rinchiusi bloccati dalla paura. Secondo il IV vangelo Gesù stette in mezzo ai suoi, rendendosi presente e convocando ancora attorno a sé una comunità a cui dona la pace e lo Spirito: “La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù stette in mezzo e disse loro: ‘Pace a voi’ … come il Padre ha mandato me anch’io mando voi’. Detto questo soffiò e disse loro: ‘Ricevete lo Spirito santo’” (Gv 20,19-22).
Nel riquadro dell’armadio degli argenti quella porta chiusa proprio in mezzo nella fascia inferiore rinvia alla figura di Maria, in piedi nella fascia superiore al piano alto della casa. Questo parallelismo può essere letto quale indicazione della paura e della chiusura evocata dalla porta chiusa, che sono vinte dal dono dello Spirito e dal mandato da parte del Risorto a tutta la comunità: Maria può essere letta come figura della chiesa sella predicazione e del dialogo che sorge da pentecoste. Gesù invia ad essere testimoni della pace e della gioia che aprono ad una storia nuova. Quella porta è oltrepassata e spalancata in alto dalla parola che ora raggiunge l’esterno oltre ogni muro di separazione generando nuova fioritura di incontro, di vita insieme, di rapporto tra popoli e lingue diverse.
Alessandro Cortesi op