XIV domenica del tempo ordinario – anno B – 2021
Ez 2,2-5; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6
Nella pagina di Ezechiele è tratteggiato il profilo del profeta. “uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava”. La vita del profeta è spinta dalla presenza dello spirito del Signore che lo rende uomo dell’ascolto e della testimonianza. Il profeta è quindi in primo luogo l’uomo della Parola, chiamato a stare in ascolto e a ridire con la sua vita la parola ascoltata davanti (pro-) agli altri.
La vicenda del profeta è poi segnata da un invio: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele”. Se la forza di Dio è irresistibile, la missione tuttavia è segnata da difficoltà e ostacoli, soprattutto il rifiuto e l’ostilità che il profeta incontra nel suo annuncio. Il profeta infatti reca una parola esigente di orientamento nella fede a Dio e si scontra con tute le forme di riduzione della fede ad una costruzione umana e religiosa preoccupata del potere e dei privilegi, generatrice di ingiustizia, insensibile al cambiamento. Ezechiele si scontra così con il cuore indurito: in questa espressione è indicato l’atteggiamento della chiusura e del rifiuto a mettersi in discussione, la pretesa di autosufficienza che rimane chiusa in una vita autocentrata. Nella storia d’Israele emerge questo dato evidente, la tensione che si crea tra i profeti e le istituzioni, regale e sacerdotale, nelle differenti forme di potere costituito. Alla vicenda dei profeti si contrappone l’atteggiamento che viene descritto come incredulità e durezza di cuore.
Gesù si presentò ai suoi contemporanei come profeta. nell’incontro con lui sorge una domanda: “si chiedevano a vicenda: ‘che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità?’ (Mc 1,27) e più ancora sorge la sorpresa perché questa autorevolezza e libertà sia di uno del paese di Nazaret: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo” (Mc 6,3). Gesù è partecipe pienamente della vita e delle relazioni che fanno la vita umana: i suoi genitori sono parte di quel mondo di Nazaret che l’ha visto crescere, lavorare condividere la vita con gli altri. I suoi fratelli e le sorelle sono la sua famiglia. Gesù è inserito nel tessuto di relazioni come ogni famiglia umana.
Gesù incontra il rifiuto ad accogliere nelle sue parole e nei suoi gesti l’invito a cambiare vita ad orientarsi al Dio delle promesse; si scontra con il cuore indurito, l’incredulità di fondo, la non disponibilità a cambiare, e condivide così l’esperienza dolorosa dei profeti rifiutati perché il loro parlare mette in crisi: “disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità”. (Mc 6,5-6)
Al termine di una sezione del suo vangelo in cui Gesù è stato presentato nel suo insegnare e nel compiere segni di liberazione (Mc 3,7-6,6), Marco indica l’approfondirsi di un rifiuto che coinvolge anche i compaesani di Gesù e si allarga progressivamente. E’ un rifiuto generato dall’incredulità, dalla chiusura del cuore. E’ preferire la religiosità del miracolo e dell’interesse all’affidamento nel cambiare vita nel senso della fraternità e del servizio.
Ma Gesù non si lascia vincere da questa chiusura. Marco osserva che “Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando”. E’ venuto per andare oltre, oltre le frontiere che dividono le persone tra giusti e ingiusti, oltre i confini dell’esclusione, oltre anche le barriere del rifiuto. Gesù percorreva i villaggi, il suo camminare passa attraverso i percorsi della vita ordinaria sempre al di là di ogni chiusura.
Alessandro Cortesi op

Ignavia, disumanità e profezia
Ci sono notizie che colpiscono per il livello di inciviltà che rivelano e per la superficialità con cui vengono accolte nella confusione della comunicazione mediatica senza suscitare quella sana indignazione che dovrebbe sorgere in chi ha un minimo senso di coerenza e considera i diritti fondamentali di ogni persona.
E’ notizia degli ultimi giorni che a fronte della scelta di alcune squadre del campionato europeo di compiere prima della partita il gesto di inginocchiarsi riconoscendo l’urgenza di offrire un chiaro messaggio contro il razzismo che sta dilagando e a sostegno della campagna ‘black lives matter’ (le vite dei neri contano), la squadra dell’Italia prima ha manifestato un comportamento di indifferenza – i giocatori infatti non si sono inginocchiati prima della partita con l’Austria – e successivamente è stato emesso un comunicato della Federazione Italiana Gioco Calcio che di fatto non prende posizione sul tema. I calciatori si inginocchieranno prima della prossima partita dei quarti contro il Belgio, non per adesione alla campagna ma per solidarietà con gli avversari (sic!).
Dante nella Divina Commedia ha posto gli ignavi nella zona antistante l’inferno parlandone nel canto III dell’Inferno: sono coloro che nella vita non hanno mai scelto tra bene e male. E forse più grave è l’ignavia di chi non sceglie ma si adegua al vento dominante per essere sempre sul carro del vincitore, oppure lo fa per dissimulare l’indicibile.
E’ piccola notizia, di cronaca minuta, ma che può essere rivelatrice della deriva di un Paese in cui ben altri movimenti più profondi sono in atto e sono perpetrate palesi violazioni di diritti umani fondamentali: sono i respingimenti illegali e a catena ai confini della Slovenia, il sostegno economico e organizzativo alla cosiddetta Guardia costiera libica che compie respingimenti illegali inseguendo e riportando nei centri di detenzione libici luoghi di tortura i migranti che cercano di attraversare il Mediterraneo. E ancora il nostro Paese è luogo di atroci violazioni della carta costituzionale nella pratica di violenza inaudita in carcere come i video sulle torture esercitate sui detenuti del carcere di s.Maria Capua Vetere il 6 aprile dell’anno scorso hanno mostrato.
Sono segnali inquietanti di derive in atto e di cui emergono alla conoscenza pubblica talvolta solo le punte dell’iceberg, che non si limitano a comportamenti da derubricare come bagatelle o azioni di mele marce, ma coinvolgono i più alti livelli delle responsabilità politiche, del passato e del presente.
A fronte di queste notizie che fanno percepire il continuo riemergere di atteggiamenti fascisti e razzisti una notizia marginale apre al respiro. La chiesa metodista inglese ha eletto in questi giorni la sua prima presidente donna nera: è la pastora Sonia Hicks, metodista da generazioni, il cui bisnonno è stato un predicatore metodista in Giamaica.
Nel suo discorso di insediamento davanti alla Conferenza metodista ha ricordato la sua vicenda personale e quella della sua famiglia segnata dalla sofferenza per aver subito discriminazioni di tipo razzista quando giunsero dalla Giamaica in Gran Bretagna: la sua prozia Lize fu allontanata da una locale chiesa metodista perché nera, benché avesse con sé il documento di appartenenza alla comunità stessa. La pastora Hicks ha detto: «In un mondo in cui le persone sono escluse a causa della loro origine etnica, del loro orientamento sessuale, del loro genere o semplicemente perché, come me, sono cresciute in case popolari, credo che siamo chiamati a mostrare l’amore di Dio per tutte le persone” E ancora: «È una chiamata con cui i cristiani hanno sempre lottato, ma possiamo e dobbiamo in maniera più efficace rendere l’amore di Dio una realtà nella Chiesa metodista britannica, superando la discriminazione sistemica che esiste (…) Come cristiani – ha continuato – dobbiamo rispecchiare la grazia e la misericordia di Dio. Dobbiamo trovare modi per rivolgere l’invito di Dio all’accoglienza a coloro che incontriamo quotidianamente. Senza se e senza ma. Credo che ci sia un posto per tutti alla presenza di Dio, alla mensa di Dio. E, poiché riconosciamo che tutti hanno un posto, dobbiamo anche riconoscere che vivremo la tensione di non pensare tutti allo stesso modo, e che vivere con una tale tensione non è mai un’opzione facile». (Notizia tratta da https://riforma.it).
In questi segni, piccoli e deboli, è da scorgere oggi l’annuncio di una profezia che si concretizza nelle esistenze di persone che sanno prendere posizione e denunciare ogni deriva disumanizzante e nel contempo offrire il loro impegno per un cambiamento da attuare nella società e nelle chiese.
Alessandro Cortesi op
II domenica di Avvento – anno C – 2021
Bar 5,1-9; Fil 1,4-6.8-11; Lc 3,1-6
Luca inizia il suo scritto con la presentazione della genealogia di Gesù che riporta le sue radici fino ad Adamo. Matteo presenta in parallelo una genealogia che giunge ad Abramo: appare da questo raffronto l’interesse di Luca nel considerare la storia di Gesù all’interno della storia di tutta l’umanità. Gesù è così presentato come partecipe di una vicenda che riguarda non solo il popolo d’Israele ma l’intero cammino umano. Luca intende offrire un messaggio di relazione e di vicinanza: la vita di Gesù si rapporta a quella di ogni uomo e donna nel tempo. In questa genealogia è anche sottolineata la concretezza storica dell’esperienza di Gesù: la sua vicenda si situa in un tempo e in un luogo, è partecipe della storia che vede in Adamo, colui che è ‘tratto dalla terra’ (adamah) il suo inizio.
Luca è poi attento ad indicare tempi e luoghi di una esistenza concreta: Gesù compare nella storia nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea. Gesù quindi nasce in una storia segnata dal dominio dell’impero romano, nella Palestina, territorio di conquista ai margini dell’impero. Non è un personaggio mitico, ma una persona reale, condivide un contesto storico. Luca nomina il governatore romano Pilato, in carica dal 26 al 36, e i vari re: Erode Antipa, il suo fratellastro Filippo e Lisania. Poi presenta le due più alte cariche dell’autorità religiosa giudaica, il sommo sacerdote Anna, deposto dai romani nel 15 d.C. e Caifa (che fu sommo sacerdote dal 15 al 36). Questi nomi torneranno alla conclusione del vangelo nella condanna di Gesù.
Luca si dimostra quindi attento alla storia. Presenta anche la figura di Giovanni Battista con tratti ripresi dal Secondo Isaia: “Una voce grida: ‘Nel deserto preparate la via al Signore…” (Is 40,3-4). Queste parole rinviano all’esperienza del ritorno dall’esilio: i monti abbassati e le valli riempite indicano la predisposizione di una strada da poter percorrere. Anche il salmo 125 canta questa situazione del ritorno. “Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare… Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmato di gioia. Riconduci, Signore, i nostri prigionieri! Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo” (Sal 125)
Giovanni Battista è presentato come ‘voce’ di uno che nel deserto richiama a preparare vie nuove per nuovi cammini. Il Battista propone un rito di immersione (battesimo) nell’acqua del fiume Giordano: un tempo nuovo sta per iniziare e ciò richiede una preparazione ed un cambiamento che coinvolga la vita. L’immersione è per il perdono. Appello alla conversione e annuncio del perdono sono i due tratti principali della predicazione del Battista. E’ richiesto un diverso orientamento delle scelte, del modo di pensare, del modo di vedere il mondo e la storia.
Giovanni Battista è uomo di scelte radicali, profeta che scorge una novità da lasciar entrare nella vita in rapporto ad una venuta imminente di Dio. Si pone in polemica con un sistema religioso che opprime e non conduce all’autenticità. Invita a scorgere – con annuncio minaccioso e urgente e con la coerenza del suo coinvolgimento personale – il senso profondo della propria esistenza nel rapporto con Dio e in una relazione nuova con gli altri. Il suo è annuncio di preparazione per accogliere una salvezza che ha i tratti del dono di Dio rivolto a tutti: ‘Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio’.
Alessandro Cortesi op
Preparare vie per camminare insieme
Preparare vie per camminare insieme: è questo l’impegno che si è aperto nel percorso sinodale che impegna la chiesa a livello mondiale dal 2021 al 2023. E’ un’occasione di conversione pastorale, di rinnovamento personale e comunitario, di riforma di strutture e di stili da attuare nella vita della chiesa.
«Far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani» (Documento preparatorio del sinodo, 9 settembre 2021, 32).
In questa parole, riprese da papa Francesco, sta l’indicazione di un cammino da svolgere insieme che trova il suo primo momento nell’ascolto della situazione del tempo e delle persone e non solo di coloro che sono vicini, ma anche di coloro che non sono ai ascoltati e le cui voci possono creare difficoltà e destabilizzare.
“Chiediamoci, con sincerità, in questo itinerario sinodale: come stiamo con l’ascolto? Come va “l’udito” del nostro cuore? Permettiamo alle persone di esprimersi, di camminare nella fede anche se hanno percorsi di vita difficili, di contribuire alla vita della comunità senza essere ostacolate, rifiutate o giudicate? Fare Sinodo è porsi sulla stessa via del Verbo fatto uomo: è seguire le sue tracce, ascoltando la sua Parola insieme alle parole degli altri. È scoprire con stupore che lo Spirito Santo soffia in modo sempre sorprendente, per suggerire percorsi e linguaggi nuovi. È un esercizio lento, forse faticoso, per imparare ad ascoltarci a vicenda – vescovi, preti, religiosi e laici, tutti, tutti i battezzati – evitando risposte artificiali e superficiali, risposte prêt-à-porter, no. Lo Spirito ci chiede di metterci in ascolto delle domande, degli affanni, delle speranze di ogni Chiesa, di ogni popolo e nazione. E anche in ascolto del mondo, delle sfide e dei cambiamenti che ci mette davanti. Non insonorizziamo il cuore, non blindiamoci dentro le nostre certezze. Le certezze tante volte ci chiudono. Ascoltiamoci” (papa Francesco, omelia all’apertura del sinodo, 10 ottobre 2021).
Il grande problema che pone il camminare insieme è uscire da logiche di clericalismo e di dominio che impediscono l’ascolto condiviso delle chiamate del Signore nel tempo e costituiscono ostacolo alla creatività di tradurre l’ispirazione evangelica in gesti e scelte nella vita. Per questo è necessario «trasformare certe visioni verticiste, distorte e parziali sulla Chiesa, sul ministero presbiterale, sul ruolo dei laici, sulle responsabilità ecclesiali, sui ruoli di governo e così via» (papa Francesco, Momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale 9 ottobre 2021).
In una meditazione del 2013 Francesco individuava nel clericalismo il grande ostacolo alla profezia, ad essa contrapposto. Commentando l’episodio della chiamata di Samuele (1Sam3,1) e Mt 21,23-27) osservava:
«quando nel popolo di Dio non c’è profezia, il vuoto che lascia viene occupato dal clericalismo. E proprio questo clericalismo che chiede a Gesù: con quale autorità fai queste cose, con quale legalità?» (…) «Quando non c’è profezia la forza cade sulla legalità. E questi sacerdoti sono andati da Gesù a chiedere la cartella di legalità: Con quale autorità fai queste cose?». È come se avessero detto: «Noi siamo i padroni del tempio; tu con quale autorità fai queste cose?». In realtà «non capivano le profezie, avevano dimenticato la promessa. Non sapevano leggere i segni del momento, non avevano né occhi penetranti né udito della parola di Dio. Soltanto avevano l’autorità»
E propose «una preghiera in questi giorni nei quali ci prepariamo al Natale del Signore:… non manchino profeti nel tuo popolo. Tutti noi battezzati siamo profeti. Signore, che non dimentichiamo la tua promessa; che non ci stanchiamo di andare avanti; che non ci chiudiamo nelle legalità che chiudono le porte. Signore, libera il tuo popolo dallo spirito del clericalismo e aiutalo con lo spirito di profezia».
Alessandro Cortesi op