Dio fece tre anelli
Lino Prenna è filosofo di formazione, acuto studioso di Rosmini. Per lunghi anni ha coltivato nell’insegnamento la sua competenza in ambito filosofico insieme all’attenzione educativa. All’Università di Perugia è stato docente ordinario di filosofia dell’educazione. Ha condotto il suo percorso di riflessione unendo insieme impegno ecclesiale e civile. Nell’ambito politico ha manifestato particolare cura nel tenere uniti insieme pensiero e azione. E’ stato negli anni educatore di giovani generazioni ed uno tra i maestri di pensiero che hanno guidato i percorsi dei cattolici democratici in Italia. Uno stile di sobrietà gentile e di profondità di pensiero nell’indicare chiari orientamenti è tratto del suo agire.
Il suo denso libro Dio fece tre anelli. Le religioni a scuola, (ed. Aliseicoop Perugia 2016) può essere letto quale sintesi di studio e progettualità derivante da una lunga maturazione negli ambiti della filosofia, dell’approccio scientifico alle religioni e dell’educazione scolastica. Come indica il titolo il testo si presenta quale contributo in rapporto all’importanza di un posto delle scienze religiose nell’ambito della scuola.
I tre anelli rinviano al racconto che attraversa diverse culture da Baghdad nel VIII secolo – nel dialogo fra il patriarca nestoriano Timoteo I e il califfo al-Mahdi – sino a Gottfried Ephraim Lessing (Nathan il saggio) e riportato da Giovanni Boccaccio nel Decameron: il Saladino pone all’ebreo Melchisedec la domanda su quale sia il monoteismo da considerare vero.
E quest’ultimo racconta di un padre che, volendo lasciare un anello prezioso ai suoi tre figli, non sapendo a quale dei tre affidarlo, ne fa due copie talmente perfette da non poter essere distinte dall’originale. Ogni figlio quindi potrà avere un anello che non potrà essere distinto.
In riferimento alla questione dell’attenzione al fatto religioso nell’insegnamento e nella scuola Lino Prenna presenta una elaborazione teorica di grande spessore unitamente ad una proposta operativa quale punto di approdo: “La proposta non intende esautorare l’insegnamento di religione cattolica, che anzi andrebbe pienamente scolarizzato, ma dilatare lo spazio scolastico del discorso religioso, oggi marginalizzato nell’era concordataria. Non si tratta infatti di togliere ciò che c’è, ma di aggiungere ciò che manca” (p.12)
La prospettiva interreligiosa con attenzione alle tre religioni monoteiste, particolarmente significative nel contesto storico e culturale italiano, costituisce l’orizzonte per conoscere le differenze culturali e il mondo plurale in cui viviamo. Prenna individua nell’attuale momento “un’occasione per ripensare l’assetto scolastico dei saperi religiosi, nella convinzione che l’istruzione religiosa, adeguatamente impartita, completa l’area dei saperi essenziali alla piena istruzione educativa” (p.12).
Il libro si articola in dieci capitoli. Nel primo capitolo è sottolineata la caratterizzazione plurale del mondo attuale e viene posta la domanda come far convivere per i credenti il ruolo di cittadino con la propria condizione di credente nella società plurale. Il tratto multireligioso dell’attuale contesto europeo e italiano ed il nuovo paradigma del pluralismo religioso pone l’istanza di riflettere sull’ospitalità interreligiosa e chiede ad ogni religione di sviluppare la sua apertura alla relazione all’altro.
Seguono alcuni capitoli nei quali si articola una riflessione su alcuni grandi nuclei tematici in relazione alle scienze religiose e sul loro statuto disciplinare nel quadro delle scienze umane. L’orizzonte in cui si pone il ragionamento è nella linea di un superamento di un approccio positivistico e sulla scorta delle acquisizioni della fenomenologia ermeneutica. Lo studio delle religioni è così considerato quale ambito di sapere appartenente a pieno titolo alle scienze dello spirito (distinte dalle scienze della natura) in cui è convolta la conoscenza dell’uomo: “Anche la religione rientra fra le attività umane, in quanto manifestazione dell’homo religiosus e, come tale, può essere oggetto d studio delle scienze dell’uomo”(p.38)
Viene sottolineato a tal riguardo un aspetto proprio presente nell’esperienza religiosa e di essa caratterizzante: nella religione è infatti implicata una struttura duale che rinvia da un lato all’uomo dall’altro a Dio quali principio e termine di una relazione.
Da qui deriva una originalità dello studio della religione non assimilabile né alle scienze della natura né pienamente alle scienze dello spirito. D’altra parte tale studio si distingue anche dall’approccio specificamente teologico che ha come suo ambito proprio l’intelligenza della fede. Le scienze della religione hanno come riferimento fondamentale la natura relazionale dell’uomo e la natura relazionale di Dio. “Oggetto dello studio non è né l’uomo né Dio, ma l’uomo che nella religione fa l’esperienza di Dio (homo religiosus) e Dio che fa esperienza dell’uomo (Deus religatus e/o re-legatus)… la religione consiste in questa relazione intrecciata” (p.38).
L’oggetto della disciplina viene così a configurarsi come una relazione duplice: la relazione dell’uomo con Dio e quella di Dio con l’uomo che si manifesta nei fenomeni umani di coscienza e di esperienza. Ogni religione poi si esprime nei segni propri di una cultura e in un linguaggio. Da qui deriva la scelta di studiare il fenomeno religioso secondo un approccio fenomenologico e storico e con un metodo ermeneutico, capace di leggere e interpretare i fatti.
In questi capitoli l’autore sintetizza un lungo percorso di studi nei quali coglie la valenza specifica dello studio di una disciplina che a pieno titolo va inserita nell’ambito delle conoscenze riguardanti la vita umana e per una comprensione dell’altro nella varietà delle esperienze religiose che pure hanno aspetti fondamentali comuni.
Prenna sottolinea così un altro aspetto rilevante: la religione è da osservare come un fenomeno complesso non riducibile ad alcuni aspetti limitati e settoriali. Un approfondimento dell’antropologia della religione deve percorrere una via fenomenologico storica ed ermeneutico simbolica. Il sacro infatti si manifesta in fatti culturali che possono essere studiati nei tre momenti della spiegazione, della comprensione, dell’espressione. Le manifestazioni religiose nella coscienza e nella storia vanno infatti spiegate, comprese con un approccio di interpretazione (ermeneutico) e con l’approfondimento della scienze del linguaggio. E’ un percorso che richiede vari apporti disciplinari. La religione va accostata come simbolica della fede (p. 51).
Il linguaggio religioso come rappresentazione simbolica è approfondito nel cap. 4. In esso si sottolinea l’esperienza religiosa nella sua dimensione propria di azione comunicativa: nei linguaggi religiosi sono presenti particolari codici espressivi propri di tale esperienza che non è riducibile al linguaggio della logica. L’uomo parla di Dio nel linguaggio della narrazione, l’uomo parla a Dio nei modi della celebrazione; Dio parla all’uomo nelle forme della rivelazione (pp. 59-67). Il linguaggio religioso ha una sua specificità da considerare e interpretare: è fondamentalmente un linguaggio mitico e simbolico, che si esplica nel mito, nel rito e nella realtà letta come simbolo.
Nel cap. 5 Prenna propone una delicata distinzione tra il compito della teologia e quello delle scienze religiose: distingue infatti le scienze della religione come scienze a pieno titolo emancipate dalla teologia che ha un suo ambito proprio e diverso. Le scienze religiose trovano la loro specificità nell’accostare i fatti che sono il portato dell’esperienza religiosa come fenomeno duale (dell’uomo che si relazione a Dio e di Dio che si lega all’uomo). In quanto tali esse possono essere approfondite in modo laico, con una osservazione che, anche da parte del credente, deve maturare un’attitudine di sospensione nel coinvolgimento personale e possa essere spazio di un dibattito pubblico e scientifico anche da parte di chi non appartiene ad una determinata tradizione religiosa: “la religione risulta così un universo oggettivo di fatti e di valori, visibile e rilevabile, segnato dalla intenzionalità di fede dell’uomo e dalla condiscendente manifestazione di Dio” (p.73).
Lo sviluppo del ragionamento condotto non sempre è di approccio facile: talvolta in alcune pagine si ritrova condensata una sintesi di riferimenti e rinvii teoretici di non immediata comprensione. Tuttavia si può apprezzare una paziente costruzione che nel corso delle pagine gradualmente guida il lettore: passo dopo passo sono presentati e motivati gli argomenti per uno sguardo approfondito al fenomeno religioso e alle religioni. Queste sono così presentate quale ambito di esperienza umana che si espone ad una indagine e ad un sapere scientifico nel quadro delle scienze umane con una sua propria specificità. Da questa fondamentale impostazione si possono cogliere i successivi passaggi.
Dopo i primi cinque capitoli si apre così la seconda parte del libro. Il capitolo sesto è snodo di passaggio. Viene sottolineato come la sfida dell’epoca contemporanea sia la costruzione di una ‘società conoscitiva’ nella quale il conoscere sia la condizione per essere. Per questo è società che apprende in contrasto ai movimenti che conducono il mondo ad esser ridotto a mercato. La società conoscitiva può anche essere espressa – nei termini che Prenna deriva dal libro bianco di Delors – come ‘società educante’.
Nel settimo e ottavo capitolo si passa alla considerazione delle scienze religiose con attenzione dell’educazione scolastica. Prenna suggerisce di individuare per la scuola una funzione specificamente educativa che si esercita attraverso il processo conoscitivo: una educazione quindi attraverso la cultura. Compito della scuola sempre più urgente in una società che vive la deriva mercantile è quello di insegnare a pensare e a rielaborare i significati del vivere umano. Si tratta di un compito non solamente esplicativo ma interpretativo della realtà. In tale senso (è il tema del cap. 8) viene indicato lo specifico dell’educazione scolastica come istruzione educativa. “insegnare è il compito proprio della scuola, che educa in quanto insegna” (p.114). In contrasto con posizioni che riservano la funzione educante solamente alla scuola non statale e l’incompetenza educativa della scuola statale Prenna sottolinea il modulo specifico della scuola dato dall’insegnamento/apprendimento ed afferma come la scuola statale stessa abbia una finalità educativa: “Come le altre istituzioni raggiungono il fine comune dell’educare, attraverso un’attività specifica che caratterizza ciascuna, così la scuola educa istruendo” (p.119). Suo compito è primariamente un avvio al ‘come pensare’ non tanto offrire indicazioni su ‘come vivere’.
In tale quadro di ragionamento si può cogliere quale esito del percorso l’affermazione “Anche la religione, perché sia scolasticamente dicibile, deve entrare nella forma di una disciplina, cioè deve essere pensata e detta nell’orizzonte della razionalità scolastica”. Ma c’è da aggiungere anche che “la religione risulta scolasticamente formata nella misura in cui assume le finalità proprie della scuola. In questo caso parliamo opportunamente di istruzione religiosa” (p.123).
Già nel passato Prenna insieme ad altri si era fatto promotore di una proposta di una disciplina per tutti gli studenti che considerasse lo studio trasversale dei fatti religiosi. Conoscenza dei fatti religiosi in relazione alle tre grandi religioni che hanno segnato la cultura mediterranea. Il profilo di tale corso – si suggeriva in un documento citato del 1997 – potrebbe assumere l’approccio dell’antropologia culturale. Anche i fatti religiosi sono espressione di un modo di pensare vivere di uomini e donne e ogni religione può essere considerata un sistema di fatti e valori all’interno dell’universo culturale umano.
A tal proposto si situa la proposta che è la conseguenza operativa della riflessione offerta nel testo: l’istituzione autonoma da parte della scuola di un corso di istruzione religiosa per tutti con attenzione alle tre grandi religioni, non in alternativa e sostituzione dell’attuale insegnamento della religione cattolica, ma come ampliamento per aggiungere ciò che manca.
Nel cap. 9 sono affrontate le questioni relative all’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana, con una considerazione storica e nella presa d’atto della situazione determinatasi con gli accordi della revisione del concordato (1984).
Viene rilevato come gli accordi abbiano chiuso e mortificato una stagione vivace che aveva aperto la considerazione della religione come problema scolastico relativo alle finalità della scuola più che a quelle della chiesa cattolica, in riferimento a mete e obiettivi dell’istituzione scolastica. Si è giunti all’affermazione della oggettiva valenza culturale della religione ma nel contempo se ne è fatta un disciplina facoltativa con il permanere di un aspetto confessionale per lo meno nella concessione della titolarità dell’insegnamento riservato alla autorità ecclesiastica cattolica.
Prenna si dichiara favorevole ad una applicazione integrale e approfondita dell’Accordo per quel che riguarda l’insegnamento della religione cattolica (pp.132-135), ma osserva anche che “la riduzione del discorso religioso all’insegnamento concordatario contribuisce ad accreditare la concezione confessionale della religione, come riserva ecclesiastica, e non come vicenda dell’uomo e della sua cultura finendo, così, col proporre agli studenti una visione della religione isolata dalle materie di studio e marginale rispetto ai fatti della complessa vicenda culturale” (p.137).
Da qui emerge la proposta di approfondire una linea prevista dall’Accordo per l’attivazione di un corso di cultura religiosa a carattere storico critico, con profilo interreligioso, come risposta alla situazione del contesto multiculturale della società attuale. L’Accordo infatti (al paragrafo 9,2) pone le premesse per una attivazione di un insegnamento duplice, uno obbligatorio per tutti, l’altro facoltativo. Non si tratterebbe di ridurre gli spazi scolastici, al contrario, di ampliarli offrendo a tutti gli studenti una proposta di istruzione con carattere aperto alla considerazione di diverse religioni.
In questa prospettiva l’insegnamento delle religioni si porrebbe pienamente all’interno delle finalità della scuola in quanto istituzione che educa nell’istruzione e diviene laboratorio di conoscenza, confronto, rispetto delle differenze e di interazione per imparare a vivere insieme agli altri.
A conclusione d tale esame del testo di Lino Prenna vorrei presentare alcune brevi considerazioni di valutazione.
Innanzitutto vorrei segnalare l’importanza dell’approfondimento condotto a livello filosofico e con specifica attenzione alla dimensione educativa riguardo alla specificità e alla rilevanza delle scienze religiose.
E’ rimarchevole nella riflessione la preoccupazione per l’istituzione scolastica quale luogo in cui maturare le basi per la costruzione di una società della conoscenza che trovi modi per sottrarsi alle logiche del mercato, dell’utilità e dell’efficienza oggi così pervasive.
Ritengo particolarmente interessante la proposta di un insegnamento specifico per tutti a livello scolastico del fenomeno religioso e delle religioni, in cui certamente le tre grandi tradizioni abramitiche hanno una rilevanza particolare nella cultura mediterranea. Non sarebbe da dimenticare il grande influsso e diffusione delle religioni orientali anche nelle loro traduzioni occidentali quale fenomeno che sta incidendo sempre più nella società europea. E soprattutto la questione di un approccio interreligioso aperto che si ponga oltre ogni esclusivismo eredità di uno sguardo occidentale ed eurocentrico.
E’ anche lodevole il tentativo di scorgere una via di mediazione tra la situazione attuale dell’IRC e l’individuazione di possibilità che vengono individuate senza contrasto, anzi sfruttando premesse presenti nell’Accordo stesso relativo al Concordato. Per certi aspetti questo tentativo appare a mio avviso manchevole di una valutazione critica della attuale situazione dell’IRC e delle oggettive difficoltà in cui si trovano soprattutto gli insegnanti di religione cattolica nella scuola. E ciò nonostante la preparazione e la generosità della maggioranza di essi, costretti in una condizione per vari aspetti ambigua e difficile.
Al termine della lettura emerge un interrogativo di fondo che andrebbe affrontato con coraggio: nell’attuale situazione sociale in Italia il mantenimento di un insegnamento di tipo confessionale sotto il controllo dell’autorità ecclesiastica cattolica è elemento positivo e fecondo quale risposta alle nuove esigenze di conoscenza del fatto religioso e delle religioni o le difficoltà e ambiguità che esso reca con sé costituiscono un ostacolo ad un’effettiva considerazione da parte di tutti dell’esperienza religiosa? Certamente sono da considerare le motivazioni storiche che hanno condotto a questo tipo di strutturazione dell’insegnamento religioso in Italia e il peso della storia è ancora pesante nel nostro paese. Tuttavia le sfide educative del momento attuale poste dalla diversità e dal pluralismo e dall’esigenza di formare una conoscenza seria e profonda delle religioni non dovrebbero forse aprire a nuove modalità di impostazione dell’insegnamento riguardo alle religioni nella scuola?
La maturazione di un pensiero ecclesiologico in cui la chiesa concepisce la sua azione a servizio di un cammino comune della società distaccandosi da pretese di potere o privilegi, insieme ad uno sguardo dei processi di cambiamento (si pensi solo ai diversi aspetti della secolarizzazione, ed alla nuova rilevanza degli aspetti religiosi nella realtà sociale) dovrebbero essere spinta per una considerazione rinnovata.
Vi sono infatti sfide culturali e sociali che andrebbero affrontate con un ripensamento globale dell’istruzione religiosa all’interno dell’istituzione scolastica. Proprio i processi che interessano la storia e le vicende dei popoli in modi nuovi oggi, il carattere multiculturale e multireligioso della società, la presenza di migranti e di seconde e terze generazioni di immigrazione richiedono sempre più una conoscenza di tradizioni, culture e modi di vita, ed una capacità di lettura, interpretazione e discernimento. Così pure sarebbe oggi quanto mai urgente anche una formazione di tipo interreligioso quale percorso per tutti, non secondo la via della presenza confessionale ma con un serio approccio di tipo culturale. La formazione catechistica, l’approfondimento della fede e dei suoi aspetti morali è compito proprio delle comunità religiose, compito specifico della scuola è l’educazione, attraverso l’istruzione, ad una convivenza nel pluralismo delle convinzioni, nell’orizzonte della promozione di cittadinanza responsabile e democratica.
Penso inoltre che una urgenza culturale presente nel nostro paese sia quella di predisporre sedi universitarie laiche o in qualche modo con riconoscimento civile in cui sia sviluppata una ricerca su tali ambiti e siano offerti i titoli valevoli per un insegnamento delle scienze religiose, da inserire a pieno diritto quali discipline all’interno dell’istituzione scolastica con riferimento alle mete e ai metodi propri della scuola, anche nel riconoscimento della titolarità dell’insegnamento.
Il libro di Lino Prenna è una preziosa proposta che con rigore e capacità di mediazione apre a considerare questioni che in Italia è difficile affrontare. Speriamo che nell’attuale stagione si possa aprire anche in ambito ecclesiale un ripensamento in fedeltà al vangelo e agli appelli della storia. Conoscere, saper interpretare le religioni e le loro manifestazioni, assumere una attitudine dialogica, non può essere una questione limitata alla religione cattolica, neppure può essere una questione confessionale ma, contro tutte le derive dell’ignoranza e dei fondamentalismi, della strumentalizzazione ideologica delle religioni e dell’uso della violenza con motivazioni religiose, è ambito di attenzione urgente per promuovere una convivenza umana e civile nel mondo plurale.
Il racconto dei tre anelli ha al suo centro la figura del padre che decide di fare copie identiche in coerenza al suo affetto indistinto per i tre figli. E i tre anelli ricordano tutti insieme nella loro indistinguibilità che al centro essi recano un vuoto, che dice apertura ad una presenza di amore, invito a ricercare la necessità dell’altro e spinta a scoprire la disponibilità ad imparare, con umiltà e senza arroganza, dall’altro, rifuggendo dai fondamentalismi e dalle pretese di esclusività. Non è forse questo un contributo formativo fondamentale che potrebbe portare un insegnamento delle religioni in stile interreligioso nella scuola?
Alessandro Cortesi op
Solennità di Pentecoste – anno A – 2020
Pentecoste è termine che indica cinquanta giorni: è il tempo dopo la Pasqua in cui cade una tra le feste gioiose di pellegrinaggio, le più importanti per Israele (Deut 16,16). Situata all’inizio dell’estate raccoglie la gioia per le primizie della mietitura (Es 34,22; cfr Es 23,16): “celebrerai la festa delle settimane per il Signore tuo Dio, offrendo nella misura della tua generosità e in ragione di ciò che il Signore tuo Dio ti avrà benedetto” (Deut 16,9-10; cfr. Num 28,26).
Pentecoste nasce come festa legata alla gioia comune al momento del raccolto che vide accompagnarsi anche la memoria del dono della Torah, la legge di Dio. La libertà aperta dalla Pasqua si fa cammino nell’accoglienza la parola di Dio, nella sua legge per servire Lui: “Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte” (Es 3,12).
Nel Nuovo Testamento i cinquanta giorni dopo (pentecoste) sono momento del dono dello Spirito: ciò che Luca pone cinquanta giorni dopo la Pasqua nel IV vangelo è situato la sera del giorno stesso della risurrezione. Gesù si presenta in mezzo ai discepoli ‘alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo’ (Gv 20,22). Sulla croce morendo Gesù aveva consegnato lo spirito (Gv 19,30), ora lo soffia sui suoi amici donando loro pace e inviandoli a testimoniare riconciliazione.
La ‘prima pentecoste’ è il soffio di Dio su ogni creatura: “Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gen 1,2). Lo Spirito è il soffio presente nella creazione ed è respiro generativo di un cosmo bello che proviene dalle mani di Dio.
Al soffio della creazione nella Bibbia si affianca il soffio della Parola, in particolare di quella profetica. Il profeta Ezechiele condotto a vedere la desolazione di un popolo come una pianura di ossa aride, è spinto ad annunciare la promessa di Dio come dono dello Spirito: “Farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò” (Ez 37,14)
Lo Spirito è soffio di presenza, forza di rigenerazione e apertura. Ad un saggio maestro d’Israele Gesù aveva detto: “se uno non rinasce dall’alto non può entrare nel regno di Dio… se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,3.5). “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8)
L’alitare di Gesù nella sera di Pasqua è ancora creazione, inizio dell’esistenza di una comunità che partecipa della sua vita.
Nella Pentecoste nasce una comunità chiamata a vivere relazioni nuove e una speranza: Gesù oltrepassa le barriere della paura e apre la comunità dei discepoli ad un invio: tutti sono investiti di forza: “fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo Spirito” (Num 11,29).
Nel Nuovo Testamento la Pentecoste è narrata più volte in modi diversi: oltre alla versione giovannea nella sera di Pasqua c’è il racconto di Luca della Pentecoste a Gerusalemme. Luca usa le immagini del vento impetuoso e delle lingue di fuoco.
Il dono dello Spirito suscita modi nuovi di comunicazione. Coloro che sono investiti di ‘forza dall’alto’ assumono un coraggio che non proviene dalle loro capacità. La loro parola è comprensibile e raggiunge gli uditori. “Com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?” (At 2,8).
Una nuova comunicazione si apre: nel racconto di Babele Dio era intervenuto ad interrompere il progetto dell’impero oppressore di dominare tutti con una sola lingua e aveva disperso lingue e popoli. Pentecoste è evento che si delinea non solo come l’anti-Babele, cioè critica ad ogni pretesa di uniformità e dominio ma diviene anche compimento della promessa di Babele, l’attuarsi cioè di una chiamata di Dio a vivere relazioni nuove nel riconoscimento delle differenze e attuando una comprensione ciascuno nella propria lingua: è il miracolo dell’accoglienza, del dialogo e dell’incontro.
“Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio” (At 2,11). A Pentecoste lo Spirito è presenza che de-centra la nostra vita e rende capaci di annunciare e testimoniare l’opera di Dio.
Alessandro Cortesi op
Gioia
“Forse dal latino gaudia plurale di gaudium, forse da joca plurale di jocum, che dal latino s’è sparso dalla Provenza alla Romania; in ogni caso la radice antica sarebbe gawedh, che ha a che fare con qualcosa di materiale tipo i piaceri del sesso e solo viaggiando nei millenni si è disincarnato nei piaceri dello spirito. È bello che la gioia sia plurale, è bello che sia fatta di materia, naturalmente è pure bello che si sia dispiegata nello spirito. Alla vostra cortese attenzione porrei l’errore, ferale, che in epoca moderna non distingue la gioia dalle gioie intese come gioielli, quelli non hanno niente a che fare né con Joca né con gaudia, ma vengono diritto dall’arabo giohar, scusate la latinizzazione, che significa pietra preziosa, gemma. Per cui l’idea che i gioielli diano vera gioia è solo frutto di pura e stupida confusione. Gioia, da quant’è che non vi viene in mente di dirlo, che ne so, ho provato una grande gioia? E di pensarlo?” (M.Maggiani, “La Repubblica-Robinson” 24 maggio 2020)
Conclude Maggiani “In fin dei conti la gioia non è che una promessa, ed è spiegato dunque perché questi non son tempi gioiosi”. Non sono tempi gioiosi per molte ragioni soprattutto quando la promessa non solo non sembra inseguita ma viene anche calpestata e negata, soprattutto nei confronti dei bambini e delle bambine che in una società sono coloro che recano l’apertura alla promessa e quindi alla gioia.
Uno degli ambiti in cui oggi appare una disattenzione alla promessa è il mondo della scuola e degli studenti che hanno subito pesantemente il limite del confinamento e della chiusura delle scuole nel tempo della pandemia
“Dall’inizio della pandemia, quando l’intero sistema è stato stravolto e tutti – insegnanti, studenti, genitori – hanno dovuto rivedere radicalmente ciò che davano per scontato, dalle modalità di insegnamento e apprendimento agli spazi e orari quotidiani, sembra che le preoccupazioni principali della ministra dell’Istruzione siano state il mantenimento del calendario scolastico, la garanzia che nessuno sarebbe stato bocciato e la valutazione degli apprendimenti. Che intere settimane di scuola siano saltate prima che qualche cosa si mettesse in moto, che questo “qualcosa”, sotto l’etichetta di “didattica a distanza” si sia realizzato in modi diversissimi per impegno degli insegnanti, tempo, grado di coinvolgimento forzato dei genitori necessario, accessibilità da parte degli studenti, efficacia a seconda, non solo della capacità degli insegnanti, ma dell’età degli studenti e delle condizioni ambientali in cui vivono – tutto questo non sembra entrato nelle priorità della ministra” (Chiara Saraceno, la scuola ha tradito i più deboli, “La Stampa” 15 maggio 2020).
Da un sondaggio promosso da Cittadinanzattiva riportato sul sito www.vita.it risulta che “Il 92% delle scuole ha attivato la didattica a distanza, per lo più con lezioni in diretta su varie piattaforme (85%) e una durata media a lezione fra i 40 e i 60 minuti (69%). Buona la valutazione del lavoro svolto dai docenti in questa nuova veste (per il 60% dei rispondenti). Ma si conferma la grande questione della esclusione di tanti studenti che – per lo più per mancanza di device, per inadeguata connessione e in parte anche per condizioni familiari difficili – non partecipano alle videolezioni. A segnalarlo il 48% dei 1245 soggetti, fra genitori, insegnanti e studenti, coinvolti nel sondaggio civico promosso da Cittadinanzattiva sulla didattica a distanza. È ricorrente il fatto che alcuni ne siano esclusi principalmente per: connessione inadeguata (48,5%), condivisione del dispositivo fra più fratelli o familiari (33,5%), assenza di dispositivi (24,5%), assenza di connessione (16,4%)”.
In un’intervista a Mariapia Veladiano, scrittrice e dirigente scolastica, apparsa su ‘Il Regno’ curata da Sarah Numico (Sarah Numico, Scuola: declinare la prossimità Intervista a Mariapia Veladiano, “Il Regno Attualità” 15.05.20), vengono evidenziati alcuni aspetti del problema. Sono rilevati aspetti positivi, nel sottolineare la disponibilità delle scuole in particolare degli insegnanti ad attivarsi nell’utilizzo di strumenti nuovi per mantenere prossimità con gli alunni. Ma anche sono rilevati elementi negativi soprattutto per il fatto che in questo periodo si sono aggravate le disuguaglianze e molti pesi sono ricaduti in misura pesante sulle famiglie e sulle donne in particolare.
«Credo che mediamente ci sia stata una straordinaria capacità, da parte delle scuole, di mettere in campo in tempi rapidi degli strumenti capaci di non lasciar cadere il rapporto educativo con i ragazzi. La chiamo scuola di prossimità. Il primo e fondamentale compito della scuola è non lasciar cadere i bambini e i ragazzi, restare prossima ai luoghi in cui loro si trovano, sempre. La scuola di prossimità ha sempre forme diverse. Quella dei maestri di strada a Napoli si disseminava nei quartieri, fisicamente. Quella del tempo del coronavirus raggiunge a casa gli studenti con ogni strumento possibile. (…) in questa prima fase sono aumentate le disuguaglianze (…)
Per ora le indicazioni sono di continuare la DaD (Didattica a Distanza ndr) come se stesse andando bene per tutti, il che non è vero evidentemente. Che cosa si potrebbe fare, già ora, di meglio? Innanzi tutto pensare la scuola come un interesse di tutti e non delle singole famiglie che si devono arrangiare a trovare una soluzione. Congedi alternati per i genitori che devono seguire i bambini, è stato detto. Studiare possibilità di rientro differenziato come è stato fatto in Danimarca, ad esempio. I piccoli in piccole classi con accorgimenti opportuni: qui devono essere gli esperti a dire fin dove si può andare. Torno a pensare a piccoli gruppi seguiti, anche nella scuola a distanza, da ragazzi che si mettono a disposizione, forse ancora il servizio civile. Esplorare le possibilità. Se si fa finta di niente tutto ricadrà sulle famiglie, e in particolare sulle donne. La crisi del 2008 ha riportato moltissime donne a casa, senza lavoro e senza reddito. Un arretramento terribile».
Quali azioni si possono mettere in campo perché la scuola del futuro si rinnovi alla luce di questa esperienza?
«Abbiamo imparato qualcosa che sapevamo ma che avevamo lasciato sullo sfondo della nostra consapevolezza. Che la normalità che conosciamo è fragilissima. Vale per molti aspetti della nostra civiltà; ma, restando nel campo della scuola, abbiamo visto che le situazioni di crisi accentuano la disuguaglianza se si parte già diseguali. Per cui certo occorre più omogeneità nell’accesso alla connessione e nell’accesso agli strumenti informatici, per permettere almeno quella scuola di prossimità di cui si parlava. Poi classi molto meno numerose. In certe condizioni forse saremmo già tornati a scuola, almeno i piccoli, se le nostre classi non fossero così compresse in spazi inadeguati. Poi qualcosa che riguarda il lavoro. I contratti devono prevedere forme di flessibilità non penalizzante…”.
Coltivare la promessa significa concretamente oggi porre attenzione a chi come i bambini ha meno difese e sostegni, eppure sono loro che possono portare gioia nuova ad una società che potrà trovare futuro solo scegliendo vie di solidarietà.
Alessandro Cortesi op