III domenica tempo ordinario – anno A – 2022
Is 8,23b.9,1-3; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23
“In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti. Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce…” Così Isaia evoca la vicenda di due tribù del Nord della Palestina. Qui giunse la devastazione degli Assiri e la deportazione nel 732 a.C.
Isaia racchiude tale riferimento sotto il segno delle tenebre. Queste tribù ai margini d’Israele nel ‘territorio dei pagani’ subiscono distruzione e assoggettamento ad un dominio straniero. Ma le tenebre lasciano il posto al sorgere di una luce nuova: “su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete”. Isaia annuncia una liberazione dagli assiri e vede in questo l’agire di Dio che libera e salva: “Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva”. Il profeta annuncia che i deportati saranno liberati e insieme il venire di un regno di pace guidato da un re ancora bambino: “grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine” (Is 9,6).
Questo testo di Isaia è ripreso e citato da Matteo nel suo vangelo, dopo i capitoli dell’infanzia e dopo il racconto del battesimo al Giordano. E’ un testo che introduce l’inizio dell’attività di Gesù che si reca nel territorio del Nord d’Israele, la Galilea. Gesù torna in Galilea, non a Nazareth bensì a Cafarnao. Una luce grande entra nella storia proprio nelle zone di confine, nella terra dei pagani. Matteo scorge nel cammino di Gesù un compimento dell’annuncio di Isaia, come il sorgere di una luce. E’ questo un tema a lui caro: aveva presentato i magi, pagani, come ricercatori e inseguitori della luce della stella giunti sino ad incontrare Gesù, bambino in braccio a sua madre (Mt 2,1-12).
Questo ritorno alla Galilea è ricco di richiami: Gesù si reca nella provincia dei pagani mentre già si delinea l’esito della sua vita. Ha saputo che il Battista è stato arrestato, ‘consegnato’: nella sua vicenda già s’intravede il destino di Gesù nella sua passione e Gesù si reca allora in Galilea. Matteo presenta Gesù come Messia non solo per Israele ma per tutti i popoli. L’intero vangelo è racchiuso in questa grande prospettiva: Gesù è venuto per annunciare il ‘vangelo del regno’ a tutti i popoli della terra: “Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine” (Mt 24,14).
‘Convertitevi’ è l’appello di Gesù in rapporto alla ‘signoria dei cieli’ vicina. Gesù richiama al cuore della sua missione e chiede un cambiamento di orientamento dell’esistenza. La signoria di Dio è un modo nuovo di vivere, alternativo a quello dei regni del mondo, accogliendo il dono di presenza di Dio. Il regno è dono di una vita diversa, liberazione da ogni dominio, nell’affidamento a Dio che si prende cura dei suoi figli così come vede i gigli del campo, e nella condivisione. Nel suo agire Gesù rende presente un nuovo rapporto possibile con Dio e con gli altri, nella fiducia al Padre e nella fraternità che coinvolge l’intera esistenza.
‘Venite dietro a me’. Il primo gesto di Gesù è un incontro e la chiamata a seguirlo. Vide due fratelli, Simone e Andrea. Il suo ‘vedere’ raggiunge il loro cuore e li chiama nella loro attività quotidiana, nella normalità del loro lavoro mentre gettavano le reti in mare. Li chiama ad essere ancora pescatori, ma in modo nuovo: non per portare morte ma per portare vita. In un rapporto personale e di vicinanza a lui stesso nel seguire i suoi passi. Li chiama ad essere ‘pescatori di uomini’ per portare vita e condividere nel loro cammino la novità del regno cuore del suo annuncio.
Alessandro Cortesi op
Imparate a fare il bene, cercate la giustizia (Is 1,17)
E’ questo il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che in questi giorni viviamo. Ogni anno il sussidio con le proposte di preghiera è preparato da un gruppo di lavoro di chiese locali in varie regioni del mondo. Quest’anno la proposta proviene dal Consiglio dalle chiese del Minnesota (USA). Nell’introdurre i testi di preghiera della settimana si osserva che “Il linguaggio del profeta riguardo la religiosità del tempo è spietato: Le vostre offerte sono inutili. L’incenso che bruciate mi dà nausea. […] Quando alzate le mani per la preghiera, io guardo altrove (Is 1, 13-15)”.
In particolare è notato come anche oggi vi sia ingiustizia e viene focalizzato il peccato di razzismo: “Oggi, la divisione e l’oppressione continuano a manifestarsi quando a un singolo gruppo o classe sociale vengono accordati dei privilegi rispetto ad altri. Il peccato di razzismo è evidente in qualsiasi fede o prassi che distingua o elevi una “razza” rispetto ad un’altra; quando accompagnato o sostenuto da squilibri di potere, il pregiudizio razziale va oltre le relazioni individuali e giunge fino alle strutture stesse della società, divenendo un fenomeno sistemico”. Anche “i cristiani si sono troppo spesso coinvolti in strutture di peccato come la schiavitù, la colonizzazione, la segregazione e l’apartheid, che hanno deprivato gli altri esseri umani della loro dignità, adducendo il falso motivo della razza” (SPUC 2023 p.11).
Vengono ricordate le parole di Martin Luther King che alle undici della domenica mattina si percepisce la disgregazione e la divisione delle chiesa anziché quello che dovrebbe essere la loro unità in riferimento al Signore a cui è dedicato il primo giorno della settimana. E si annota: “Tutte le divisioni affondano le loro radici nel peccato, cioè negli atteggiamenti e nelle azioni che vanno contro l’unità che Dio desidera per tutta la sua creazione. Il razzismo è tragicamente parte del peccato che ha diviso i cristiani gli uni dagli altri, ha fatto sì che i cristiani pregassero in momenti separati, in edifici separati e in alcuni casi ha portato le comunità cristiane a dividersi” (SPUC 2023, 12).
“L’invito di Isaia rivolto a Giuda a ricercare la giustizia (cfr Is 1, 17) implica il riconoscimento dell’ingiustizia e dell’oppressione che segnavano la loro società. Egli implora il popolo di Giuda di rovesciare questo status quo. Ricercare la giustizia ri- chiede di affrontare coloro che infliggono il male agli altri: non è un compito facile e a volte porterà al conflitto, ma Gesù ci assicura che difendere la giustizia di fronte all’oppressione è la strada per il Regno dei cieli: “Beati quelli che sono perseguitati perché fanno la volontà di Dio: Dio dona loro il suo regno” (Mt 5, 10). In molte parti del mondo le chiese devono ammettere che si sono conformate alle norme sociali e sono rimaste in si- lenzio, a volte addirittura complici dell’ingiustizia razziale” (SPUC 2023, 13).
Il richiamo è a volgersi in una direzione diversa, intraprendendo un’opera di giustizia che tenda a costruire rapporti nuovi nei termini della giustizia riparativa: “Il nostro impegno reciproco ci richiede di coinvolgerci nella Mishpat, termine ebraico che indica la giustizia riparativa, sostenendo coloro le cui voci non sono state ascoltate, smantellando le strutture che creano e sostengono l’ingiustizia e costruendone altre che promuovano e assicurino che tutti ricevano un trattamento equo e siano rispettati nei diritti a loro dovuti”. (SPUC 2023, 15)
Si ricorda che per molto tempo il Minnesota ha costituito uno dei luoghi di maggiore discriminazione razziale negli USA. In particolare è evocato l’evento dell’impiccagione di trentotto indigeni Dakota appartenenti alla grande nazione Sioux il giorno dopo Natale del 1862. Ma ancora recentemente nel marzo 2020 un giovane afro americano George Floyd è stato ucciso da un agente di polizia, a Minneapolis suscitando la reazione di molte parti del mondo quale protesta contro l’ingiustizia al grido “Black lives matter”. “… la storia delle chiese negli Stati Uniti include le questioni razziali come un importante fattore di divisione ecclesiale” (SPUC 2023, 18)
Mentre si preparavano a morire, i trentotto Dakota cantarono l’inno Wakantanka taku nitawa (Molti e grandi). Qui le parole di questo canto:
Di questo cielo, di questa terra (Testo italiano: Carlo Lella)
Di questo cielo, di questa terra, / Tu sei il creatore.
Tu hai donato al cielo le stelle, / poi le hai sparse nell’infinito.
E sulla terra la tua Parola / muove la pioggia, i mari.
Di questo cielo, di questa terra, / Tu sei il creatore.
Tu che unisci il cielo e la terra, / guida le nostre vite disperse.
La vita è il seme che ci hai donato, / vita, con Te, eterna.
Alessandro Cortesi op
Qui si può scaricare il sussidio di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio 2023)
IV domenica tempo ordinario – anno A – 2023
Sof 2,3;3,12-13; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12
Matteo presenta Gesù che si presenta in atto di insegnare, seduto, dal monte. Può essere un riferimento al Sinai ed al ‘monte’ della legge, ma Gesù non indica una nuova legge. Si rivolge a tutti coloro che chiama a seguirlo e indica un compimento, una piena fioritura della legge e ne richiama l’importanza. Da un lato dice “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). D’altra parte presenta l’orizzonte di una ‘giustizia più grande’: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20).
La modalità retorica dell’inclusione aiuta a scorgere la struttura del brano delle beatitudini. La prima e l’ottava, ultima, sono infatti unite dal riferimento “perché di essi è il regno dei cieli”. Ed è così richiamato il nucleo dell’annuncio di Gesù. Il regno di Dio è vicinanza nuova ai poveri e agli oppressi da parte di Dio stesso.
Beati (makárioi) – ripetuto nove volte fino al v. 11 – significa ‘felici’, ‘fortunati’, ‘beati’. E’ espressione presente nei salmi, nei libri sapienziali e a Qumran: [Beato chi dice la verità] con cuore puro e non calunnia con la propria lingua. Beati quelli che si attaccano ai suoi decreti e non si attaccano a comportamenti peccaminosi. Beati quelli che gioiscono in essa senza spargersi sulle vie della follia…”. (4Q525 2 II, 1-6)
“Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”. Matteo indica che sin dal momento presente, da ora, i poveri sono beati. ‘Poveri’ rende l’ebraico ‘anawim: indica coloro che sono privati di ogni appoggio materiale, che non hanno ruolo a livello sociale e sono oppressi, tenuti in disparte. Matteo sottolinea la condizione interiore dei ‘poveri in spirito’ mentre Luca dà accento alla condizione materiale. Sono beati perché Dio sin da ora interviene a loro favore e si pone loro accanto.
“Beati gli afflitti”: Il verbo usato al participio rinvia a chi vive situazioni di sofferenza e di pianto. Sono tutti coloro che soffrono perché le vicende non si svolgono secondo la volontà di Dio; è evocazione del dolore di Gesù che piange su Gerusalemme (cf. Lc 19,4). Il verbo al futuro suggerisce che la consolazione è una promessa che verrà.
“Beati i miti”: il termine al plurale indica coloro che attuano la virtù che vince l’ira ed è vicina alla condizione degli anawim, i poveri di YHWH, che si comportano con umiltà e nonviolenza.
La quarta beatitudine è rivolta “agli affamati e assetati di giustizia”. Fame e sete indicano spesso nella Bibbia la tensione ad accogliere il dono di Dio: “Ecco, verranno giorni, dice il Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore” (Am 8,11-12).
“Beati i misericordiosi”, come le beatitudini seguenti è propria di Matteo e suggerisce una attitudine morale. Il termine utilizzato (diversamente da Luca che usa un lemma indicante la compassione – come Dio è misericordioso (cf. Os 1,7) – reca un significato fattivo. Il profilo dei misericordiosi è di chi si prende concretamente cura e coltiva uno sguardo di indulgenza (come nella preghiera del Padre nostro).
“Beati i puri di cuore”: è l’unica beatitudine oltre alla prima, costruita in modo analogo (puri di cuore). Nel libro dei Proverbi si legge : “Il Signore ama chi è puro di cuore e chi ha la grazia sulle labbra è amico del re” (Prv 22,11). Nella Bibbia ‘cuore’ è luogo delle scelte e degli orientamenti della vita, è nucleo in cui si prende la decisione di servire il Signore (cf. Dt 6,5: “con tutto il cuore”).
Beati i facitori di pace (eirênopoioi). Sono indicati beati coloro che si impegnano operativamente e lavorano per la pace. Si tratta di una attitudine di coinvolgimento che è tutto il contrario di riposare in una condizione di tranquillità: “Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace” (Gc 3,18). Ad essi è promessa una relazione unica, essere figli del Dio della pace: “Saranno chiamati figli di Dio”.
L’ultima beatitudine è rivolta ai perseguitati per la giustizia e si ricollega alla prima nell’indicazione ‘ad essi appartiene il regno dei cieli’: sono perseguitati per la fedeltà al vangelo, nella tensione a compiere la volontà di Dio (la giustizia). Essi sono invitati alla gioia facendo propria la via dei profeti. L’esistenza cristiana, annuncia Gesù, è un’esistenza di persone libere, che hanno fiducia in Dio, essenziali, capaci di condividere perché seguono Gesù stesso sulla sua strada. E’ lui il vero ‘beato’ che si è fatto povero ed ha concepito la sua vita come dono.
Alessandro Cortesi op
Beati gli operatori di pace
“Siamo sempre più coinvolti in una guerra, che finanziamo anche a costo di rendere impossibile la vita dei più poveri, una guerra mai avallata, che procede nostro malgrado e che ormai preferiamo quasi dimenticare. Come se fosse letteralmente uscita dalle nostre menti, prese nel vortice di mille problemi e mille sciagure. Crescono perciò l’ansia, il disorientamento e un malinconico senso di impotenza. Eppure, tra le tante ombre minacciose, si stagliano le nubi di questo terribile conflitto che, dopo quasi un anno, appare irreversibile. Le immagini dei bombardamenti a Dnipro, dei combattimenti a Kherson, passano sui nostri schermi quotidianamente. Sembrano parti dello scenario in cui ci è toccato vivere. Siamo ormai arrivati a questo: la guerra si è normalizzata. Non avremmo mai voluto dirlo, né tantomeno scriverlo” (Donatella Di Cesare, Abbiamo normalizzato pure la guerra e le armi, “Il Fatto Quotidiano” 21 gennaio 2023). Donatella Di Cesare mette in guardia dal fenomeno della normalizzazione della, guerra che si è progressivamente attuato in quasi un anno dal 24 febbraio 2022 data dell’invasione russa in Ucraina. E’ questo un dato sconvolgente su cui riflettere a cui aggiungere altre annotazioni preoccupanti: siamo davanti a un’escalation nell’invio di armamenti all’Ucraina che ha raggiunto limiti da considerare con estrema attenzione. L’ultima decisione di questi giorni di invio di carri armati sofisticati e di nuova generazione da parte di USA e Germania è passaggio che acuisce la tensione sul piano della continuazione senza limiti dello scontro armato e non pone alcun elemento per ricondurre le parti ad un cessate il fuoco immediato. In Russia nel frattempo si sta organizzando una nuova mobilitazione di mezzo milione di uomini in vista di una prevedibile nuova offensiva da scatenare nella primavera con l’obiettivo di conquista del territorio dell’intera Ucraina.
Daniela Belliti osserva che “Fuori dalle assemblee delle Nazioni Unite, e di altre agenzie sovranazionali, gli Stati Uniti stanno lavorando per rafforzare la propria egemonia mondiale oltre la Nato (sul piano militare) ‘strumentalizzando’ a questo scopo l’errore strategico, nonché violazione del diritto internazionale, rappresentato dall’invasione russa in Ucraina. Così come ad aprile 2022, la riunione di Ramstein del 20 gennaio scorso è servita per esercitare pressioni più forti sui paesi che hanno avuto posizioni più articolate sulla guerra, a partire dalla Germania” (D.Belliti, Verso un’escalation della guerra?, “Soloriformisti” Newsletter 24 gennaio 2023 ). E’ così proposto un rinnovato protagonismo dei movimenti per la pace: “i movimenti per la pace devono porsi nuovi obiettivi, agire su fronti diversi, rivendicare un ruolo pubblico a livello nazionale ed europeo. L’ ‘arma’ più forte di cui possono dotarsi è quella della verità e del dialogo, libero e incondizionato da interessi di parte, sugli scenari futuri. Mettere i governanti di fronte alle loro responsabilità. Denunciare il confinamento politico delle diplomazie a favore delle strategie militari e di difesa (con tutto il portato di primato economico-industriale che ne consegue). Ripensare l’Europa, in rapporto con gli altri continenti e alle sfide a partire da quella climatica. Mobilitare le opinioni pubbliche internazionali, come fino a qui non è stato possibile fare. La guerra in Ucraina è uno spartiacque per un “nuovo ordine mondiale” che non si è più ridefinito dalla caduta del Muro. Se un pensiero della pace serve, dovrà contrastare il disegno di un ritorno all’ordine della deterrenza…” (ibid.)
Ricorda Francesco Vignarca (La scelta delle armi a senso unico porta in un vicolo cieco, “Il manifesto” 24 gennaio 2023): “Va ricordato infatti come il terribile conflitto armato in Ucraina è stato fin dal principio sfruttato per giustificare quello che nei fatti potrebbe diventare il più massiccio aumento di spesa militare globale degli ultimi 50 anni. La Germania vuole arrivare a 100 miliardi annui, Macron vuole raddoppiare il budget militare francese dal suo insediamento, il Congresso USA ha appena votato un aumento annuo dell’8% (oltre 50 miliardi di dollari in più di quanto proposto da Biden), la Cina si è da tempo consolidata come secondo investitore armato mondiale. E anche l’Italia irrobustisce il suo percorso verso il fantomatico 2% del PIL, mettendo a budget per il 2023 ben 26,5 miliardi di euro complessivi”. (…. ) in realtà dopo il summit di Ramstein la strada pare chiaramente tracciata. Washington ha annunciato nuovi aiuti militari per diversi miliardi, mentre il Consiglio degli Esteri UE ha deciso una nuova tranche di 500 milioni per la cosiddetta “Peace Facility” (in realtà lo strumento che copre finanziariamente l’invio di armi) che sale dunque a 3,6 miliardi di euro complessivi. (…) Chiunque non si cibi solo della retorica interessata di chi magnifica l’importanza della guerra standone bene a distanza (tranne quando deve incassare vantaggi) non può che trarre gravi preoccupazioni da questa situazione”.
Papa Francesco all’angelus del 1 gennaio ha detto: “Nel mondo intero, in tutti i popoli sale il grido: no alla guerra! No al riarmo! Le risorse vadano allo sviluppo: salute, alimentazione, educazione, lavoro”. “Celebrando oggi la Giornata Mondiale della Pace, riprendiamo consapevolezza della responsabilità che ci è affidata per costruire il futuro: davanti alle crisi personali e sociali che viviamo, davanti alla tragedia della guerra, «siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione» (Messaggio per la LVI Giornata Mondiale della Pace, 5). E possiamo farlo se ci prendiamo cura gli uni degli altri e se, tutti insieme, ci prendiamo cura della nostra casa comune”.
La parola di Gesù ‘beati gli operatori di pace’, diviene oggi per noi motivo di impegno quotidiano.
Alessandro Cortesi op