XXV domenica del tempo ordinario – anno B – 2021
Sap 2,12.17-20; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37
La vita del giusto costituisce un impedimento e silenziosa denuncia dell’ingiustizia e della disonestà degli empi. Per questo c’è chi trama per eliminarlo “perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni”. Il libro della Sapienza fissa questa vicenda che non è solo quella osservata dall’autore di questo libro biblico nel I secolo a.C., ma costituisce la vicenda di sempre, dell’opposizione da parte di chi detiene poteri e privilegi a chi lotta per la giustizia. La sfida è radicale: “vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio egli l’assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari”.
Nella lettera di Giacomo la sapienza è contrapposta alle guerre e alle liti generate dalla brama di possesso, dalla ricerca di dominio e dall’invidia. Per contro la sapienza che viene dall’alto ha caratteri diversi e contrari: costruisce pace, è mite, non è aggressiva. Questo genere di sapienza non si limita ad una dimensione intellettuale ma si traduce in scelte di vita, in uno stile che porta a costruire la pace. La giustizia è come un frutto che sorge dall’albero buono della vita di chi promuove la pace. Via della sapienza – dice la lettera di Giacomo – è tessere riconciliazione, lottare contro ogni soluzione di violenza e di guerra per aprire vie diverse del convivere umano.
Nel vangelo Marco presenta Gesù nel suo cammino verso la croce, nel suo essere ‘consegnato’, e subire umiliazione e condanna rimanendo solo. Ma ‘dopo tre giorni risusciterà’: quella vita che agli occhi degli uomini è fallimentare, trova la conferma del Padre che lo risuscita al terzo giorno. Sulla strada Gesù accompagna i suoi a comprendere il senso del suo cammino. Ai dodici chiede chi è il più grande ed spiega il suo modo di comprendere i rapporti e la vita : “se uno vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti. E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: ‘Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Gesù ribalta le prospettive sul ‘più grande’. Non intende la grandezza secondo le logiche del potere, del denaro, dei ruoli ma indica il criterio decisivo dell’accoglienza: chi accoglie il più piccolo e si pone a servizio è grande agli occhi del Padre. Il bambino che Gesù pone in mezzo, al centro, è figura paradigma per tutti coloro a cui non sono riconosciuti diritti e sono ritenuti piccoli, senza importanza. Gesù pone al centro i senza diritti, le vittime di un sistema sociale che scarta ed elimina i più deboli e indica che solo nell’esperienza concreta dell’accogliere si può comprendere chi è il più importante allo sguardo di Dio. Chiede così ai suoi di seguire lui, il figlio, che si è fatto servo, sulla via della croce. E così indica che accogliere i piccoli e le vittime è entrare nel cammino per incontrare il Padre.
Alessandro Cortesi op
Chi accoglie uno di questi bambini…
Raccolgo alcune parole che papa Francesco ha pronunziato nel suo recente breve viaggio in Ungheria e Slovacchia, carico di simboli sia per i luoghi visitati, sia per i gruppi e le persone a cui ha dato spazio nei suoi incontri.
La visita è iniziata con l’incontro con il presidente a Budapest e con il premier Orbàn, fautore di una chiusura sovranista, teorizzatore di una democrazia illiberale che rifiuta principi fondamentali dello stato diritto, assertore di posizioni razziste e difensore di un cristianesimo scambiato come appartenenza culturale, a cui si riferisce in modo identitario per giustificare il rifiuto dei migranti. Lo stesso premier ha regalato al papa copia di una lettera del re Bela IV a Papa Innocenzo IV (1250), in cui chiedeva aiuto per respingere la minaccia dei tartari che da Oriente minacciavano l’Ungheria cristiana e gli ha chiesto “di non lasciare che l’Ungheria cristiana perisca”. E’ da tener presente che in Ungheria le poltiiche di Orbàn di rifiuto dei rifugiati e di chiusura ai migranti è condivisa da alcuni vescovi.
Parlando ai vescovi il 12 settembre Francesco ha offerto elementi di una risposta alle sollecitazioni ricevute dal premier Orban e riprendendo il tema delle radici ha detto: “custodire le nostre radici religiose, custodire la storia da cui proveniamo, senza però restare con lo sguardo rivolto indietro: guardare al futuro, guardare avanti e trovare nuove vie per annunciare il Vangelo (…) Il vostro Paese è luogo in cui convivono da tempo persone provenienti da altri popoli. Varie etnie, minoranze, confessioni religiose e migranti hanno trasformato anche questo Paese in un ambiente multiculturale. Questa realtà è nuova e, almeno in un primo momento, spaventa. La diversità fa sempre un po’ paura perché mette a rischio le sicurezze acquisite e provoca la stabilità raggiunta. Tuttavia, è una grande opportunità per aprire il cuore al messaggio evangelico: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Davanti alle diversità culturali, etniche, politiche e religiose, possiamo avere due atteggiamenti: chiuderci in una rigida difesa della nostra cosiddetta identità oppure aprirci all’incontro con l’altro e coltivare insieme il sogno di una società fraterna”.
L’appello finale è stato centrato sull’invito a costruire ponti di dialogo in questo tempo e coltivare accoglienza:
“Sopra il grande fiume che attraversa questa città si staglia l’imponente Ponte delle Catene: sostituì un fragile ponte di legno e servì a unire Buda e Pest. Se vogliamo che il fiume del Vangelo raggiunga la vita delle persone, facendo germogliare anche qui in Ungheria una società più fraterna e solidale, abbiamo bisogno che la Chiesa costruisca nuovi ponti di dialogo. Come Vescovi, vi chiedo di mostrare sempre, insieme ai sacerdoti e ai collaboratori pastorali, il volto vero della Chiesa: è madre. È madre! Un volto accogliente verso tutti, anche verso chi proviene da fuori, un volto fraterno, aperto al dialogo.”
Nell’incontro ecumenico a Bratislava la sera di domenica 12 settembre, in un discorso in cui ha richiamato Dostojevski e la leggenda del grande inquisitore ed una poesia che viene imparata nelle scuole, Francesco ha invitato a condividere la carità: “Condividere la carità apre orizzonti più ampi e aiuta a camminare più spediti, superando pregiudizi e fraintendimenti. Ed è anch’esso un tratto che trova genuina accoglienza in questo Paese, dove a scuola s’impara a memoria una poesia, che contiene, tra gli altri, un passaggio molto bello: «Quando alla nostra porta bussa la mano straniera con sincera fiducia: chiunque sia, se viene da vicino oppure da lontano, di giorno o di notte, sul nostro tavolo ci sarà il dono di Dio ad attenderlo» (Samo Chalupka, Mor ho!, 1864). Il dono di Dio sia presente sulle tavole di ciascuno perché, mentre ancora non siamo in grado di condividere la stessa mensa eucaristica, possiamo ospitare insieme Gesù servendolo nei poveri. Sarà un segno più evocativo di molte parole, che aiuterà la società civile a comprendere, specialmente in questo periodo sofferto, che solo stando dalla parte dei più deboli usciremo davvero tutti insieme dalla pandemia”.
Nell’incontro con la comunità ebraica a Bratislava il papa ha iniziato la riflessione a partire dal luogo in cui trovavano, la piazza sede del quartiere ebraico e memoria delle persecuzioni “La piazza dove ci troviamo è molto significativa per la vostra comunità. Mantiene vivo il ricordo di un ricco passato: è stata per secoli parte del quartiere ebraico; qui ha lavorato il celebre rabbino Chatam Sofer. (…) In seguito, però, il nome di Dio è stato disonorato: nella follia dell’odio, durante la seconda guerra mondiale, più di centomila ebrei slovacchi furono uccisi. E quando poi si vollero cancellare le tracce della comunità, qui la sinagoga fu demolita. Sta scritto: «Non pronuncerai invano il nome del Signore» (Es 20,7). Il nome divino, cioè la sua stessa realtà personale, è nominata invano quando si viola la dignità unica e irripetibile dell’uomo, creato a sua immagine. Qui il nome di Dio è stato disonorato, perché la blasfemia peggiore che gli si può arrecare è quella di usarlo per i propri scopi, anziché per rispettare e amare gli altri. Qui, davanti alla storia del popolo ebraico, segnata da questo affronto tragico e inenarrabile, ci vergogniamo ad ammetterlo: quante volte il nome ineffabile dell’Altissimo è stato usato per indicibili atti di disumanità! Quanti oppressori hanno dichiarato: “Dio è con noi”; ma erano loro a non essere con Dio”.
Questo riferimento al luogo simbolico della piazza e a momenti in cui il nome di Dio è stato disonorato andavano alle vicende storiche della seconda guerra mondiale quando, dopo il patto di Monaco nel 1938, fu istituito sotto stretto controllo del regime di Hitler uno Stato slovacco autonomo alleato della Germania nazista e da essa dipendente. Un vescovo cattolico mons. Tiso ne fu presidente e ne divenne successivamente il duce, e fu egli stesso in accordo con i tedeschi per attuare le deportazioni di circa 100.000 ebrei slovacchi.
Dietro a queste parole del papa è da scorgere non solo la vergogna e la condanna per l’azione di mons. Tiso al tempo del nazismo ma anche la logica che presiede alla logiche sovraniste affermate oggi in queste regioni. E ha concluso con parole di speranza richiamando al bisogno di porte aperte: “Il mondo ha bisogno di porte aperte. Sono segni di benedizione per l’umanità. Al padre Abramo Dio disse: «In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3). È un ritornello che scandisce le vite dei padri (cfr Gen 18,18; 22,18; 26,4). A Giacobbe, cioè Israele, Dio disse: «La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra» (Gen 28,14). Qui, in questa terra slovacca, terra d’incontro tra est e ovest, tra nord e sud, la famiglia dei figli di Israele continui a coltivare questa vocazione, la chiamata a essere segno di benedizione per tutte le famiglie della terra.”
Nella divina liturgia bizantina presieduta nella festa dell’esaltazione della croce il 14 settembre ha ricondotto al significato della croce per Gesù e per i suoi discepoli:
“La croce esige … una testimonianza limpida. Perché la croce non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere. Quale? Quello del Vangelo, quello delle Beatitudini. Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita. Il testimone della croce non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente. Il testimone della croce non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto: questa sarebbe una religione della doppiezza, non la testimonianza del Dio crocifisso. Il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile. Non attende trionfi quaggiù, perché sa che l’amore di Cristo è fecondo nella quotidianità e fa nuove tutte le cose dal di dentro, come seme caduto in terra, che muore e produce frutto”.
Incontrando la comunità rom nel Quartiere Luník IX a Košice – comunità che nel passato hanno subito situazioni di discriminazione e che recentemente dal premier Orban sono stati individuati come categorie da emarginare e individuate come ‘nemico interno’ – ascoltando storie di integrazione ha così dialogato con i presenti: “Quante volte i giudizi sono in realtà pregiudizi, quante volte aggettiviamo! È sfigurare con le parole la bellezza dei figli di Dio, che sono nostri fratelli. Non si può ridurre la realtà dell’altro ai propri modelli preconfezionati, non si possono schematizzare le persone. Anzitutto, per conoscerle veramente, bisogna riconoscerle: riconoscere che ciascuno porta in sé la bellezza insopprimibile di figlio di Dio, in cui il Creatore si rispecchia. (…) Così ci avete dato un messaggio prezioso: dove c’è cura della persona, dove c’è lavoro pastorale, dove c’è pazienza e concretezza i frutti arrivano. Non subito, col tempo, ma arrivano. Giudizi e pregiudizi aumentano solo le distanze. Contrasti e parole forti non aiutano. Ghettizzare le persone non risolve nulla. Quando si alimenta la chiusura prima o poi divampa la rabbia. La via per una convivenza pacifica è l’integrazione. È un processo organico, un processo lento e vitale, che inizia con la conoscenza reciproca, va avanti con pazienza e guarda al futuro. E a chi appartiene il futuro? Possiamo domandarci: a chi appartiene il futuro? Ai bambini. Sono loro a orientarci: i loro grandi sogni non possono infrangersi contro le nostre barriere. (…) Ringrazio chi porta avanti questo lavoro di integrazione che, oltre a comportare non poche fatiche, a volte riceve pure incomprensione e ingratitudine, magari persino nella Chiesa. (…) Andate avanti su questa strada, che non illude di poter dare tutto e subito, ma è profetica, perché include gli ultimi, costruisce la fraternità, semina la pace. Non abbiate paura di uscire incontro a chi è emarginato. Vi accorgerete di uscire incontro a Gesù. Egli vi attende là dove c’è fragilità, non comodità; dove c’è servizio, non potere; dove c’è da incarnarsi, non da compiacersi. Lì è Lui”.
Tali parole di apertura all’incontro divengono rilevanti anche per la chiesa per un cambiamento da attuare. Parlando nella cattedrale di san Martino a Bratislava Francesco ha detto: “La Chiesa non è una fortezza, non è un potentato, un castello situato in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza. Qui a Bratislava il castello già c’è ed è molto bello! Ma la Chiesa è la comunità che desidera attirare a Cristo con la gioia del Vangelo – non il castello! –, è il lievito che fa fermentare il Regno dell’amore e della pace dentro la pasta del mondo (…) Ecco, è bella una Chiesa umile che non si separa dal mondo e non guarda con distacco la vita, ma la abita dentro. Abitare dentro, non dimentichiamolo: condividere, camminare insieme, accogliere le domande e le attese della gente. Questo ci aiuta a uscire dall’autoreferenzialità: il centro della Chiesa… Chi è il centro della Chiesa? Non è la Chiesa! E quando la Chiesa guarda sé stessa, finisce come la donna del Vangelo: curvata su sé stessa, guardandosi l’ombelico (cfr Lc 13,10-13). Il centro della Chiesa non è se stessa.”.
“non abbiate timore di formare le persone a un rapporto maturo e libero con Dio. Importante è questo rapporto. Questo forse ci darà l’impressione di non poter controllare tutto, di perdere forza e autorità; ma la Chiesa di Cristo non vuole dominare le coscienze e occupare gli spazi, vuole essere una “fontana” di speranza nella vita delle persone. È un rischio. È una sfida”.
“La gioia del Vangelo è sempre Cristo, ma le vie perché questa buona notizia possa farsi strada nel tempo e nella storia sono diverse. Le vie sono tutte diverse. Cirillo e Metodio percorsero insieme questa parte del continente europeo e, ardenti di passione per l’annuncio del Vangelo, arrivarono a inventare un nuovo alfabeto per la traduzione della Bibbia, dei testi liturgici e della dottrina cristiana. Fu così che divennero apostoli dell’inculturazione della fede presso di voi. Furono inventori di nuovi linguaggi per trasmettere il Vangelo, furono creativi nel tradurre il messaggio cristiano, furono così vicini alla storia dei popoli che incontravano da parlarne la loro lingua e assimilarne la cultura. Non ha bisogno di questo anche oggi la Slovacchia? Mi domando. Non è forse questo il compito più urgente della Chiesa presso i popoli dell’Europa: trovare nuovi “alfabeti” per annunciare la fede?”.
Nelle sue parole e nella geografia della sua visita Francesco ha mostrato come oggi l’annuncio del vangelo implichi anche una chiara presa di posizione insieme ad un impegno in contrasto ad orientamenti che svuotano l’annuncio cristiano e lo riducono a elemento identitario: con la libertà di chi non ricerca di dominare e occupare spazi oggi la sfida sta nel ricercare vie concrete di accoglienza, apertura alle diversità, incontro nella solidarietà con l’altro.
Alessandro Cortesi op
V domenica di Pasqua – anno A – 2023
At 6,1-7; Sal 32; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12
Nel IV vangelo a Tommaso che gli chiede ‘Signore non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?’ Gesù risponde: ‘Io sono la via, la verità e la vita’. La ‘via’ che Gesù apre e con cui si identifica è in relazione ad una mèta: ‘Io vado a prepararvi un posto’. La comunità che Gesù sogna è in cammino verso la comunione con il Padre nella casa dove ci sono molti posti.
Il suo essere ‘via’ si accosta così alla sua missione di ‘mostrare il Padre’. Gesù indica se stesso come luogo di passaggio, porta, per entrare ed uscire ed avere vita in abbondanza. Gesù è orientato al Padre in ogni suo gesto: il suo agire fa scorgere il volto invisibile del Padre. Al centro della vita cristiana sta il dono di un incontro. E Gesù manifesta il volto del Padre, la sua ‘gloria’, proprio sulla croce, luogo in cui rende presente la scelta dell’amore fino alla fine.
La prima lettera di Pietro presenta la comunità di coloro che seguono Gesù come costruzione fondata su di lui. Pietro invita a ‘stringersi a Cristo’, pietra viva. Egli per primo ha vissuto l’umiliazione dell’esser messo da parte dagli uomini, e per questo è solidale con tutti coloro che sono messi da parte ed esclusi. L’unico fondamento della chiesa – dice Pietro – è Cristo, ‘pietra scartata dai costruttori ma diventata pietra principale”. E riprende il salmo 118 in cui si dice. “Questo è opera del Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi!’ (Sal 118,22-23). Tutto l’edificio dovrà crescere sulla base di questa pietra d’angolo e la fedeltà al suo Signore starà proprio nel non perdere di vista che la pietra scartata (cfr. Mt 21,42-43) è base di un edificio che vive nello Spirito. E’ il paradosso della gloria che si rende presente nella croce e nello svuotamento.
Pietro aggiunge che anche noi siamo utilizzati come pietre viventi per una costruzione particolare, la costruzione della comunità descritta come un edificio nello Spirito. E’ lo Spirito che fa vivere la comunità cristiana e questo edificio nella sua interezza, dice Pietro, è ‘sacerdozio santo’.
“… sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana”.
Un breve squarcio sulla vita della prima comunità di Gerusalemme contiene indicazioni importanti. Sorge la difficoltà di comunicare nella differenza di cultura e mentalità in situazioni concrete. Da una questione che già aveva suscitato conflitto si sviluppa però una ricerca verso un esito imprevisto. E’ importante cogliere come questo sorge: gli apostoli infatti ‘chiamano insieme’ i discepoli. Il problema è affrontato insieme. La comunità elegge ed indica agli apostoli coloro chi viene individuato come responsabile di un servizio per una parte della comunità di lingua greca analogo a quello degli apostoli. E questi ultimi, dopo aver pregato, impongono loro le mani. In poche righe è delineato uno stile di condivisione e ricerca comune nella scelta di responsabili di un servizio nella comunità. Un momento di difficoltà diviene occasione per individuare soluzioni nuove quale approfondimento della chiamata di Dio. Anche oggi sono da scoprire modi e vie perché le comunità nella convocazione e nella comune ricerca possano indicare responsabili di ministeri diversi e diffusi trovando poi conferma con l’imposizione delle mani, con apertura all’inedito opera dello Spirito.
Alessandro Cortesi op
Sinodo… camminare insieme
Il Sinodaler Weg è il Cammino Sinodale tedesco composto da 230 delegati, intrapreso quattro anni fa e che ha compiuto sinora un lungo e rilevante percorso.
Il punto di partenza da cui il Cammino Sinodale ha tratto origine è stato lo scandalo degli abusi sessuali e del loro occultamento particolarmente avvertito in Germania. La questione era stata portata alla luce nel 2018 in un articolato progetto di ricerca (Studio MHG progetto scientifico Abuso sessuale di minori da parte di sacerdoti cattolici, diaconi e religiosi di sesso maschile nella giurisdizione della Conferenza episcopale tedesca). Si è così individuata la finalità di approfondire la missione evangelica in rinnovamento dell’essere Chiesa scegliendo la via della sinodalità e con l’intento di vivere una testimonianza credibile nel contesto attuale. Il cammino si è posto nella linea di coltivare la trasparenza ed un parlare «occhi negli occhi» ossia in un quadro di parità di tutti coloro che hanno partecipato come delegati.
I 230 delegati sedevano nelle Assemblee in ordine alfabetico: le assemblee sono state condotte secondo uno statuto approvato e hanno visto il convergere dei contributi dei gruppi di lavoro, la discussione e la presentazione di emendamenti ai testi. Ogni documento per giungere all’approvazione doveva essere esaminato in due letture e alla seconda lettura doveva risultare una maggioranza comprendente i due terzi dei vescovi. Alcuni testi sulle strutture di potere della chiesa hanno richiesto anche l’approvazione dei due terzi delle donne tra i delegati.
Il dibattito stesso ha portato a scorgere come i problemi che la chiesa sta vivendo non siano una emergenza occasionale ma abbiano radici profonde ed esigano un cambiamento del sistema. E’ stata questa una presa di coscienza comune condivisa tra le varie componenti del cammino sinodale, uomini e donne, laici, presbiteri e vescovi.
Nel dibattito non sono mancate difficoltà in particolare negli anni della pandemia e momenti di crisi, in particolare quando alcuni documenti – uno in particolare sulla morale sessuale ha incontrato la bocciatura nel 2022 – ma ha prevalso sempre la ricerca di un dialogo e l’intenzione di perseguire un faticoso raggiungimento di consenso.
Nel frattempo è stato iniziato il cammino del Sinodo universale che ha fatto scorgere come il cammino della chiesa tedesca si situa nel quadro di un processo di rinnovamento di tutta la chiesa.
Il vescovo Georg Bätzing, presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, ha più volte ribadito che la chiesa in Germania non ha alcuna intenzione di attuare uno scisma né di porsi nei termini di una chiesa nazionale.
Il Cammino sinodale sulla base del proprio statuto approvato ha costituito quattro gruppi indicati come Forum sui seguenti ambiti: il potere nella Chiesa, la dimensione esistenziale del prete, i ministeri delle donne nella Chiesa, la morale sessuale.
La V assemblea sinodale che si è tenuta nel marzo 2023 ha approvato alcuni testi importanti: In tutti questi è presente una articolata riflessione teologica maturata e precisata nel corso delle precedenti assemblee del Cammino sinodale che sta alla base delle proposte e di indicazioni concrete di rinnovamento.
Un primo testo dal titolo Le donne nei ministeri sacramentali: prospettive per un confronto nella Chiesa universale: la questione sull’ordinazione femminile è affrontata come questione aperta e si richiede il diaconato per le donne. Il documento Annuncio del Vangelo da parte di persone laiche nella Parola e nei sacramenti presenta la possibilità per i laici in generale e per le donne di predicare nella celebrazione eucaristica. Un testo sulla benedizione alle coppie omosessuali, uno sulla «diversità di genere» delle persone transgender e intersessuali. Un documento propone di eliminare l’obbligatorietà del celibato per i preti. Solamente il documento “Gestire la diversità di genere” ha posto una lunga premessa al posto del testo base, che era stato bocciato nel settembre 2022 nella IV assemblea sinodale: tutti i testi infatti hanno attraversato un processo di approvazione e votazione e questo testo non aveva ottenuto la maggioranza dei due terzi dell’episcopato.
C’è stato peraltro voto positivo dei vescovi sul tema dell’ordinazione sacramentale per le donne e questo tema dovrà essere posto in esame a livello di Chiesa universale. Così nel documento Annuncio del Vangelo da parte di persone laiche nella Parola e nei sacramenti, si consente alle donne di predicare nella celebrazione eucaristica, benché non siano stati considerati altri temi relativi alla riconciliazione e unzione degli infermi.
Molti di questi testi esigono il consenso della s.Sede per poter divenire operativi ed essere applicati nella prassi pastorale tuttavia il grande contributo che il Cammino sinodale tedesco ha portato è stato quello di offrire 15 documenti che hanno visto una approvazione generale e composita nel corso di quattro anni di lavoro. Come ha detto il vescovo di Osnabrück Franz-Josef Bode, membro del direttivo del Cammino sinodale, “non si può far rientrare il dentifricio nel tubo da cui è uscito”. Dorothea Sattler del Forum III ha detto: “Vogliamo questa rete a livello universale e vogliamo far arrivare questi argomenti, che sono la linea di fondo del nostro forum, ma anche di tutto il percorso sinodale, dalla Germania all’intero processo di discussione della Chiesa universale”.
Il rapporto tra il Cammino sinodale tedesco e la Curia vaticana non è stato tranquillo ed ha incontrato problemi e momenti di tensione.
A conclusione della V Assemblea sinodale è stata eletta una Commissione sinodale, composta di vescovi, presbiteri, consacrati/e laiche e laici con l’incarico di condurre avanti il lavoro intrapreso e per approfondire testi che non sono stati votati nel corso di questi anni (ad es. il testo sulla sinodalità Consultare e decidere insieme). E’ anche previsto che tale Commissione costituisca il Consiglio sinodale. Ma tale orientamento ha incontrato il rifiuto del Vaticano (cfr. lettera gennaio 2023). Sulla questione controversa i vescovi tedeschi auspicano che si giunga ad una soluzione in accordo con il Vaticano. Nel 2026 è prevista una sesta assemblea per esaminare e valutare il cammino condotto.
Alessandro Cortesi op
Per approfondire:
La rivista Il Regno ha dato resoconto della varie fasi del Cammino Sinodale:
A cura di Sarah Numico in: Regno-att. 14,2019,400; 22,2019,655; 4,2020,72; 16,2020,451; 4,2021,75; 18,2021,565; 4,2022,76; 16,2022,481.483 (A.Autiero).
I testi fondativi del Cammino sono stati pubblicati in Regno-documenti 5,2020,158 (Forum preparatori su potere, vita sacerdotale, donne e morale sessuale);
Regno-documenti 21,2021,657 (Testo alternativo per il Forum su «Potere e divisione dei poteri nella Chiesa»)
Regno-documenti 19,2022,620 (Proposta (bocciata) del Forum sinodale IV del Cammino sinodale tedesco.
Sullo scontro Roma-Germania:
Maria Elisabetta Gandolfi, Cammino sinodale in Germania, “Il Regno-Attualità”, 6/2023, 15/03/2023.
Paola Colombo, Sinodo tedesco: quei “sì” nati da un dibattito fra pari, “Il Regno-Attualità” 6/2023, 15/03/2023.