XXIII domenica tempo ordinario – anno C – 2022
Sap 9,13-18; Fm 9-10.12-17; Lc 14,25-33
Cosa vuol dire essere discepoli di Gesù? Sta qui la grande questione al cuore del cammino dei credenti. Luca è molto sensibile a tale domanda: nel suo racconto narra come nel suo cammino Gesù chiama a seguirlo in diversi modi: chiede di condividere la sua strada con scelte che coinvolgono l’intera esistenza. Essere discepoli è orientarsi a seguire lui e la strada di Gesù quale cammino sempre nuovo: seguirlo implica ricominciare sempre in fedeltà alla sua parola.
Alcune caratteristiche del seguire sono elencate in quest pagina. Una prima condizione è formulata nei termini duri di un distacco dai legami familiari in cui compare un verbo assai forte: “se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre…” Il termine ‘odiare’ contrasta con l’intero insegnamento di Gesù riguardo all’amare vicini e amici ma anche i nemici. Aveva chiaramente richiamato a prendersi cura dei familiari quale modo di attuare un autentico culto (Mt 15,3-6): criticava infatti coloro che facendo un’offerta al tempio si ritenevano a posto, senza prendersi cura del padre e della madre e così “annullavano la parola di Dio”. Gesù quindi non chiede di odiare, ma di vivere un amore aperto. Mette in guardia dal chiudersi egoisticamente entro i legami familiari e chiede di non assolutizzarli. A chi lo segue Gesù indica di porre al primo posto la presenza di Dio a cui riferire tutta la vita.
La seconda condizione è andare dietro a lui e ‘portare la croce’: la croce racchiude in qualche modo l’intero percorso di Gesù. E’ uno strumento orribile di condanna e di tortura, è tuttavia proprio sulla croce e fino a quel momento Gesù ha manifestato il senso profondo della sua vita quale dono totale nell’amore. Chi segue Gesù è chiamato a vivere secondo questa logica di dono ogni giorno – è sottolineatura propria di Luca questo accento sul quotidiano-. Egli scrive in una comunità in cui si fa presente la fatica del cammino che continua ogni giorno (Lc 9,23; cfr Mt 10,38). Seguire Gesù non è questione di alcuni momenti particolari ed eccezionali ma è scelta che tocca le vicende ordinarie, il quotidiano nascosto e talvolta monotono.
La terza condizione è indicata da due immagini, la torre da costruire e la guerra da preparare: sono esempi tratti dalle vicende umane ed entrambi utilizzati per un messaggio di fondo. Gesù richiede per seguirlo l’attitudine a pensare, a valutare le proprie forze, a preparare ciò che si costruisce. L’impresa è ardua. Esige uno sguardo lungo e forse anche la scoperta che da soli con le nostre sole forze non ce la facciamo. Luca richiama come questa impresa richieda tutte le energie e tutti i beni: rinunciare ai beni significa condividere ed è scelta di farsi borse che non invecchiano, per aprirsi all’unica vera ricchezza dell’incontro con il Signore Gesù.
In fondo tutte queste condizioni si possono raccogliere in un unico appello a vincere la superficialità, ad intendere l’importanza della vita, ad operare scelte nella direzione del regno di Dio.
Alessandro Cortesi op
Pane, dono, gratitudine
Il 1 settembre è nella Chiesa italiana Giornata nazionale per la custodia del Creato ed apre un mese – tempo del creato – dedicato all’attenzione e alla cura dell’ambiente. La CEI ha proposto un documento di riflessione a partire dalla riscoperta del pane. Ne riporto alcuni brevi brani quale occasione per ascoltare il messaggio che giunge dal pane frutto della terra e del lavoro di tante persone in questo momento in cui anche a causa della guerra in Ucraina proprio il grano e il pane e vengono a mancare in tante regioni:
“Quante cose sa dirci un pezzo di pane! Basta saperlo ascoltare (…) Ogni pezzo di pane arriva da lontano: è un dono della terra. (…) Quando Gesù prende il pane nelle sue mani, accoglie la natura medesima, il suo potere rigenerativo e vitale; e, dicendo che il pane è “suo corpo”, Egli sceglie di inserirsi nei solchi di una terra già spezzata, ferita e sfruttata. (…) Gesù, dopo aver preso il pane nelle sue mani, pronuncia le parole di benedizione e rende grazie. È la gratitudine il suo atteggiamento più distintivo, nel solco della tradizione pasquale. Essere grati è, dunque, l’attitudine fondamentale di ogni cristiano, è la matrice che ne plasma la vita… (…)
Chi non è grato non è misericordioso. Chi non è grato non sa prendersi cura e diventa predone e ladro, favorendo le logiche perverse dell’odio e della guerra. Chi non è grato diventa vorace, si abbandona allo spreco, spadroneggia su quanto, in fondo, non è suo ma gli è stato semplicemente offerto. Chi non è grato, può trasformare una terra ricca di risorse, granaio per i popoli, in un teatro di guerra, come tristemente continuiamo a constatare in questi mesi. (…)
Prendere il pane, spezzarlo e condividerlo con gratitudine ci aiuta, invece, a riconoscere la dignità di tutte le cose che si concentrano in un frammento così nobile: la creazione di Dio, il dinamismo della natura, il lavoro di tanta gente: chi semina, coltiva e raccoglie, chi predispone i sistemi di irrigazione, chi estrae il sale, chi impasta e inforna, chi distribuisce. In quel frammento c’è la terra e l’intera società. Ci fa pensare anche a chi tende inutilmente la sua mano per nutrirsi, perché non incontra la solidarietà di nessuno, perché vive in condizioni precarie. (…)
Mangiare con altri significa allenarsi alla condivisione. A tavola si condivide ciò che c’è. Quando arriva il vassoio il primo commensale non può prendere tutto. Egli prende non in base alla propria fame, ma al numero dei commensali, perché tutti possano mangiare. Per questo mangiare insieme significa allenarsi a diventare dono. Riceviamo dalla terra per condividere, per diventare attenti all’altro, per vivere nella dinamica del dono. Riceviamo vita per diventare capaci di donare vita. (…) Torniamo, dunque, al gusto del pane: spezziamolo con gratitudine e gratuità, più disponibili a restituire e condividere.(…)”
Alessandro Cortesi op
Solennità del Corpo e sangue di Cristo – anno A – 2023
Dt 8,2-3.14b-16a; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
“Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto… Non dimenticare il Signore, tuo Dio… che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri”
La prima parola di questa liturgia della Parola è un invito a ricordare il cammino, a riandare all’esperienza fondante dell’esodo, percorso della fede di Israele e nel contempo memoria della condizione umana come cammino e viaggio, come continua ricerca in condizioni di fragilità e bisogno di cura. E’ questo un ricordo da coltivare perché nel deserto Dio ha soccorso il suo popolo, facendosi conoscere come Dio dell’ascolto, della vicinanza, che si piega al grido dell’oppresso e porta acqua e pane a chi è senza forze. E’ un volto di Dio che coinvolge e chiama a scoprire che quella manna, cibo donato quando non c’erano più riserve, è segno di un dono da attendere continuamente e da condividere. Il richiamo che proviene da quell’esperienza è allora ‘Ricordati’. Non perdere la memoria riguardo a quel cammino, a quella condizione di bisogno, di grido, di attesa di soccorso. E’ in fondo la condizione di uomini e donne tutti fratelli e sorelle nella prova che in vari modi segna l’esistenza. Ma proprio tale consapevolezza diviene fessura per lasciar passare il dono di un incontro con il volto di Dio dell’esodo, il Dio delle vittime, nel cammino della vita ed apre a farsi partecipi del suo sogno di liberazione per chi è oppresso e succube di ogni ingiustizia, violenza e dominio. Gesù è stato testimone nel dare il suo corpo in solidarietà con tutti gli indifesi dicendo che il loro grido non rimane senza la compagnia di Dio che soffre insieme perché capace di amare.
“il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?”
Scrivendo alla comunità di Corinto Paolo ricorda con una domanda il senso profondo di quel gesto compiuto da Gesù con i suoi. Lo spezzare il pane, il versare il vino non doveva essere ripetuto come gesto avulso dalla vita, atto di culto per appagare pretese di appagamento religioso, ma era stato consegnato da Gesù con l’invito a ripeterlo in memoria di lui per rinnovare continuamente il senso di una appartenenza a Lui, per vivere quello che lui aveva vissuto, per intendere la vita così come lui l’aveva spesa: data per voi e per tutti. Per vivere ciò che Paolo dopo aver ricordato le parole di Gesù richiama con rinvio alla prassi della comunità: aspettatevi gli uni gli altri, condividete la tavola senza cadere nell’ingiustizia. Quel pane spezzato è allora rinvio ad una comunione sempre da costruire e da allargare, si fa rito in cui il dono ricevuto genera un impegno a tessere percorso di accoglienza e di condivisione nella storia.
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”
Gesù usa il riferimento al pane per indicare il senso profondo della sua vita. Il pane è elemento quotidiano, cibo di base per il sostentamento, frutto della terra, della macina di tanti grani di frumento che triturati insieme vengono a formare la farina. Il pane proviene dal lavorio domestico di impasto, lievitazione e cottura. La sua fragranza e il suo profumo dopo la cottura al fuoco racchiudono un messaggio di condivisione. Gesù si riferisce al pane per parlare della sua vita donata, per chiedere di partecipare alla vita della terra ed alla vita nella comunione. Nel segno del pane apre alla considerazione di una vita più grande che partecipa della comunione stessa di Dio. Gesù ci ha raccontato con il suo vivere il volto di Dio comunione: a questa comunione aperta l’intera vicenda dell’umanità e del cosmo è destinata. Sta qui la radice del nostro sperare e dell’impegno nel presente a fare della nostra vita un pane spezzato per altri.
Alessandro Cortesi op