la parola cresceva

commenti alla Parola della domenica e riflessioni

Archivi per il mese di “dicembre, 2012”

Domenica della Santa Famiglia – anno C – 2012

DSCF2186Sir 3,2-6.12-14; Col 3,12-21; Lc 2,41-52

“Ogni anno i suoi genitori si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua”. Nel contesto di un pellegrinaggio per la festa di Pasqua è situato da Luca un episodio di quando Gesù aveva dodici anni. Un festa di Pasqua che rinvia alla Pasqua di Gesù e a tutto il suo cammino.

E’ un episodio che offre uno sguardo su anni di cui poco si sa della vita di Gesù: gli anni di Nazareth, della sua infanzia, della sua giovinezza. Per prima cosa dovremmo cogliere un elemento importante. Il silenzio di Nazareth è un silenzio da conservare. Luca lo conserva rileggendo solo alcuni momenti alla luce della Pasqua. Il suo sguardo sulla vicenda di Gesù lo coglie in continuità  con tutto il cammino del Primo Testamento che giunge sino a lui.

Invita poi a cogliere come al cuore del crescere di Gesù, nella sua maturazione umana, nella sua relazione con i genitori sta una realtà decisiva, il suo rapporto con il Padre. “Non sapevate che devo stare nelle cose del Padre mio?”  Stare nelle cose di Dio indicato come Padre suo… Tutta la vita di Gesù si pone nella relazione fondamentale con il Padre, nel vivere l’ascolto e fedeltà al Padre, che nella sua predicazione e nei suoi gesti egli presenterà con il volto dell’Abbà misericordioso.

Al centro di questo racconto non sta tanto la preoccupazione di offrire una cronaca di una avvenimento accaduto nell’infanzia di Gesù, quanto di tracciare uno squarcio sulla sua identità, sul suo cammino umano quale luogo di un rapporto unico e profondo con il Padre. Tutte le relazioni umane sono poste in una nuova luce e Gesù è presentato come un ragazzo ebreo che fa della relazione con Dio, il Padre, il criterio di fondo della sua esistenza, delle sue scelte. Nella sua umanità traspare una dimensione profonda che è quella di una sapienza che genera stupore.

Gesù è trovato dopo tre giorni nel tempio seduto in mezzo ai dottori: Luca delinea così la figura di Gesù proprio nel tempio, luogo della dimora di Dio. Lì, nel tempio, Gesù ascoltava e interrogava i dottori “ E tutti quelli che udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. Lo stupore di fronte a Gesù è uno dei tratti dei racconti dei primi capitoli di Luca. Chi lo accosta vive un sentimento di meraviglia, e proprio tale capacità di stupirsi è suggerita da Luca come uno dei caratteri della fede.

E’ anche un racconto che parla di ricerca: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre  e io ti abbiamo cercato angosciati… Perché mi cercavate?”. Nelle parole di Maria c’è una preoccupazione di ricerca. La risposta di Gesù – difficile da comprendere – presenta orientamento nuovo da dare alla ricerca su di lui: c’è una ricerca di lui che deve passare attraverso il seguire la sua strada. E’ la strada della fedeltà al Padre, quella che conduce Gesù a subire l’ostilità, il rifiuto e la condanna. Su questa strada si deve orientare la ricerca di lui, nelle cose del Padre suo…

Anche Maria non comprende la risposta di Gesù. Come lei anche i discepoli non comprenderanno. Tuttavia Luca presenta un tratto essenizale della figura di Maria: “sua madre serbava tutti questi avvenimenti nel suo cuore”. Maria è presentata come la ‘sumballousa’, colei che tiene insieme, che si interroga, che cerca di leggere gli avvenimenti come luogo di una parola di Dio sulla sua vita, anche se non comprende. E’ una indicazione sull’attitudine della fede che caratterizza Maria nel suo stare accanto a Gesù.

Questa pagina è letta nella festa della santa famiglia. Si potrebbe dire che Gesù scardina modalità di pensare alla famiglia basata su modelli culturali di chiusura. La beatitudine presentata più avanti nel vangelo è: “beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la compiono”  (Lc 11,27-28). Al cuore del suo percorso sta il rapporto con il Padre che conduce ad intendere in modo nuovo tutti i rapporti. A Gesù sta a cuore che nella vita vi sia una ricerca di affidamento e di ascolto del disegno di amore del Padre su ciascuno dei suoi figli. Gesù nella sua vita ha manifestato non la preoccupazione di presentare un modello di famiglia, ma ha agito in modo da accogliere ogni persona richiamando allo sguardo di misericordia di Dio. Per lui non ci sono esclusi o persone da tenere lontano, ma ognuno, qualunque sia stato il suo cammino e qualunque sia la sua condizione è chiamato a rispondere ad una chiamata che pone in ricerca, a ‘stare nelle cose del Padre’, ad aprirsi all’amore gratuito e fedele, ad accogliere questo rapporto di amore che rende capaci di relazioni nel dono di sè.

Questo racconto di Luca ci parla anche di difficoltà e di incomprensione nella vita: non tutto è chiaro, c’è una ricerca da vivere, ci sono momenti difficili da affrontare. E’ il cammino di ogni famiglia umana. Ma si potrebbe cogliere un duplice richiamo: Gesù deve stare nelle cose del Padre. Ognuno è chiamato a scoprire la chiamata di Dio nella sua vita, a lasciare spazio alla relazione fodnamentale con Dio in cui tutte le altre relazioni trovano senso. In secondo luogo anche nella fatica di comprendere è da mantenere l’apertura allo stupore e la capacità di mettere insieme, di interrogarsi su situazioni e avvenimenti in cui è presente una parola di Dio per noi. Questa attitudine di ricerca, di ascolto, di lasciarsi interrogare dalle situazioni, dai cammini delle persone non dovrebbe forse e essere anche l’attitudine di una chiesa capace di vivere in pellegrinaggio, capace di prendere con sè inquietudini, incertezze, ricerche delle persone cercando in ogni percorso una chiamata di Dio?

Oggi sperimentiamo tante difficoltà che attraversano la vita delle famiglie,  in particolare delle donne che sono fatte oggetto di violenza proprio all’interno delle mura delle case che dovrebbero invece essere luoghi di cammino insieme nella relazione. Viviamo anche una realtà spesso segnata dalla violenza nell’uso stesso delle parole, da atteggiamenti di emarginazione e disprezzo, da prese di posizione che colpevolizzano. Tante persone soffrono nel sentirsi escluse a diversi livelli, sociale e religioso. Abbiamo bisogno di parole buone, capaci di dire il  bene su percorsi d’amore, senza giudicare, capaci di invitare alla responsabilità di ricerca e di crescita sempre possibile. Sentiamo il bisogno di parole come quelle che Gesù pronunciava aprendo futuro e dando speranza. Abbiamo bisogno di gesti che aprano a cogliere come il Padre ha un disegno di bene e uno sguardo di compassione su tutti i suoi figli.

Alessandro Cortesi op

Buon Natale

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Natale è festa di germogli, di luce esile, non abbagliante, eppure capace di fendere il buio che avvolge intorno.
è presenza di vita… corporeità e fragilità… è festa di inizi, ed è principio di cammini, insieme. Non nelle cose eclatanti, non nelle strategie per maneggiare con il potere, ma nelle cose piccole, negli inermi, nelle vittime delle periferie si fa vicino e presente il sogno di Dio, un sogno di incontro, che si allarga come cerchi d’onda nell’acqua.

Natale è festa di partenze, per annunciare a chi è considerato non contare nulla, che agli occhi di Dio è unico e importante. Agli occhi di Dio e agli occhi di tutti coloro che si lasciano toccare dai piccoli segni: ‘un bambino avvolto in fasce’. Nel tempo c’è un seme ed una promessa di vita per sempre. Dio prende con sè questa storia, ne svela un orizzonte grande, e dice che ogni situazione a partire dalla più nascosta e dimenticata,  si apre ad una parola ultima che è radice di ogni nostra speranza.

Un augurio di buon Natale agli amici

Alessandro

IV domenica di Avvento – anno C – 2012

700217Mi 5,1-4a; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45

Beata te che hai creduto all’adempimento delle parole del Signore… La pagina di Luca indica alcune direzioni nelle quali intendere il Natale stesso come occasione per accogliere un dono che non è qualcosa, ma qualcuno, una presenza, dono per un cammino di incontro e di fede.

Alzatasi Maria andò in fretta verso la montagna, verso una città di Giuda… Luca narra i movimenti di Maria prima della nascita di Gesù, eppure è già presente il riferimento a tutto il cammino di Gesù stesso. Luca presenta infatti Maria non solo come la madre di Gesù, ma come la donna credente: è un cammino del credere in rapporto alla morte ed alla resurrezione del profeta di Nazareth. Ella vive un cammino di fede in rapporto a Gesù, nell’accoglienza della chiamata di Dio nella sua vita e nel muoversi nella linea dei poveri di Jahwè.

Non solo Maria è la madre che lo ha partorito ma Luca fa cogliere come Maria sia esempio di quella condizione dei poveri che sono beati perché hanno creduto. Nel suo vangelo si legge: “Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: ‘Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato’. Ma egli rispose: ‘Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la realizzano” (Lc 11,27-28). Maria è per Luca colei che ha ascoltato la parola di Dio e l’ha resa storia nella sua vita.

Alzatasi: alzarsi è il verbo proprio della risurrezione. Maria è ripresa quasi in una istantanea fotografica nel suo alzarsi immediatamente dopo le parole: ‘Ecco la serva del Signore si compia in me secondo la tua parola’. La parola di Dio non è solo soffio di una voce, ma parola che realizza ciò che reca in sé. Dio disse… e la luce fu… E’ creativa perché capace di costituire e trasformare: ha la capacità della poesia nel senso che attua e compie ciò che comunica.

Maria di fronte alla parola risponde con l’atteggiamento dei poveri, nella disponibilità e nell’accoglienza ad un’opera che è di Dio in lei e di lei nell’affidamento in Dio. Per Luca nella piccola storia di Nazareth letta in contrapposizione alla grande storia dei grandi e delle potenze politiche e militari, come evento della parola che trasforma e suscita la fede, sta già una risurrezione. Maria è così presentata nel gesto di un risorgere: alzatasi si mise in cammino. In questi verbi sta per Luca il senso del credere. Un alzarsi e porsi in cammino. Risurrezione è allora movimento che fa alzare e spinge ad  un cammino al di fuori di sé, incontro all’altro. Viene così delineata da Luca  una spiritualità della risurrezione in termini del tutto lontani da una spiritualità della chiusura familistica: è apertura all’altro che attende e ha bisogno, è apertura di cammino per andare.

Per Maria il viaggio si caratterizza come viaggio per visitare. E’ questo un tratto del cammino di ogni credente: prima di ogni altra cosa la parola di Dio suscita un alzarsi per visitare, per recare la gioia e il dono di un incontro. E non solo e non tanto per portare, ma un andare per accogliere, per lasciarsi riempire da qualcosa di nuovo che nell’incontro stesso avviene. Non regali vuoti, spesso inutili e indirizzati a chi solitamente possiede già il necessario e di più ancora, ma il dono dell’andare incontro: sta qui il senso del dono come attitudine non di un momento ma dell’esistenza che si pone in cammino verso l’altro. Una spiritualità della visitazione è una spiritualità che si pone in cammino, che vive lo stesso cammino come dono di volgersi verso, di accoglienza di presenza.

Per Maria si tratta di un cammino per un servizio, per andare a salutare e confortare Elisabetta che in tarda età aveva concepito un figlio, lei che tutti dicevano sterile. Ma è anche un cammino per scoprire che Dio agisce nei poveri e si rende presente come dono di vita e di liberazione laddove c’è solo buio e rassegnazione. E’ un viaggio per scoprire  le tracce di un agire di Dio che rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili, che guarda alla povertà della sua serva, che trasforma l’aridità della sterile nella gioia di colei che scopre la fecondità inattesa della propria esistenza.

Maria è così presentata da Luca come donna di fede: beata colei che ha creduto. Non si tratta solamente di un momento ma di un intero percorso di vita. Maria non solo ha creduto ma continua a credere, anche nella crisi.

Viviamo oggi un Natale in tempo di crisi: Luca presenta Maria come donna di fede che nel tempo della crisi sa riconoscere i segni della promessa di Dio e sa farsi carico della responsabilità del servizio. Mettendosi in cammino. Aprendosi ad accogliere un incontro, a visitare.

Nel cammino del servizio, ci dice Luca in questa pagina, nel cammino di una vita che si concepisce nella dimensione della visita e della apertura all’altro, della cura sta già il seme della risurrezione, sta già il movimento della risurrezione.

Alessandro Cortesi op

III domenica di Avvento – anno C – 2012

installazione a Agueda (Portogallo) di studio design IvoTaravaresSof 3,14-18; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18

“E le folle lo interrogavano dicendo: che cosa dunque faremo?” Giovanni Battista è una figura chiave per comprendere Gesù. Attraverso di lui è necessario passare perché Gesù ha scelto di passare attraverso l’incontro con Giovanni. Ma anche è importante perché Gesù va oltre Giovanni. Ed è così passaggio ineludibile nel cammino di chi intende seguire Gesù. Luca infatti vede nel Battista l’annunciatore, colui che precede Gesù che viene come ‘il più forte’: “viene colui che è più forte di me”. Gesù è presentato come il veniente, ed è additato come il forte che vince e porta liberazione e salvezza. Porta ‘vangelo’, bella notizia oltre ogni confine, in una dimensione nuova che tocca non solamente un gruppo, un popolo, ma apre tutte le chiusure. Luca poco prima in rapporto alla predicazione di Giovanni aveva infatti ripreso il testo di Isaia (40,3-5) e a differenza degli altri sinottici era giunto nella citazione sino al v.5: “ogni carne vedrà la salvezza di Dio”.  Il venire di Gesù è dono di liberazione e di vita per tutti, fuori dai recinti culturali e religiosi.

“Che cosa dunque faremo?” La domanda non riguarda tanto la richiesta di ‘cose da fare’, di comportamenti da tenere, quanto piuttosto la questione di una trasformazione interiore che segni l’esistenza nella sua interezza. Sono elencate così tre categorie di persone a cui il Battista indica cosa fare. Sono le folle, poi i pubblicani, esattori delle tasse e i soldati dell’impero romano. Ad ognuna di esse si pone un’esigenza nella direzione non della richiesta di qualcosa di eccezionale ma di vivere un’attitudine di giustizia e di attenzione all’altro.

Innanzitutto Giovanni indica la logica della condivisione: “chi ha due tuniche faccia parte con chi non ne ha”. Il primo passaggio di una vita nella linea della conversione sta nel guardare a chi ha meno, nello sguardo che tenga conto dell’altro e nella decisione di condividere. Ai pubblicani è indicato di accontentarsi di quanto è stabilito, di non esigere oltremodo e di attenersi alla regola richiesta. E’ ancora un modo di agire in cui si apre alla considerazione dell’altro a non schiacciarlo, a rispettarlo. Ai soldati Giovani richiede di non maltrattare e di non usare violenza, indica loro l’esigenza di essere onesti nel riconoscere la dignità delle persone. Sono indicazioni che non chiedono l’abbandono del proprio ruolo e compito, ma suggeriscono vie per vivere con uno stile diverso, guardando gli altri. Sono una via di umanizzazione: si tratta di vivere il proprio compito ma secondo una logica di giustizia.

Giovanni annuncia una presenza di ‘colui che viene’ visto nell’atto di compiere un giudizio: “egli ha il ventilabro nella sua mano per mondare la sua aia per raccogliere il frumento nel suo granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile”. Nel momento del venire del Signore si attuerà una rivelazione dello spessore delle cose. C’è una separazione che avrà luogo tra ciò che conta veramente e ciò che nonostante le apparenze manifesterà la sua inconsistenza, come la paglia che viene consumata presto all’avvampare del fuoco. C’è del grano che viene raccolto, ma c’è pula che rivela la sua inconsistenza e viene bruciata.

Luca in qualche modo a conclusione sottolinea anche un tratto della predicazione di Giovanni che prepara Gesù: “raccomandando dunque anche molte altre cose, annunciava al popolo la buona notizia”. Giovanni è profeta che si rivolge non ad un gruppo chiuso e separato, come era ad esempio la comunità di Qumran che pure attendeva la battaglia finale e l’avvento di due messia. La parola di Giovanni raggiunge tutti anche coloro che erano ritenuti esclusi dal mondo religioso e a tutti suggerisce la possibilità di accogliere una notizia di salvezza: ‘ogni carne vedrà la salvezza del Signore”.

In questo annuncio di una venuta imminente di un giorno di JHWH con i caratteri di un giorno di giudizio e di fuoco, sta un tratto della visione di Dio di Giovanni, secondo gli schemi della mentalità apocalittica: Dio viene per porre fine a questo mondo e per dare inizio ad un nuovo mondo diverso da quello attuale. La preparazione e la conversione richiesta da Giovanni ha i caratteri di un’attesa e di un cambiamento per rendersi disponibili ad una novità che giunge come rottura e come giudizio.

In questo si ritrova la grandezza ma anche il limite di Giovanni: è Giovanni infatti il profeta dell’attesa, ma il volto di Dio che egli attende è un Dio del fuoco. Rimarrà spaesato di fronte alla testimonianza e all’annuncio di Gesù che presenta non un Dio del giudizio ma della salvezza offerta gratuitamente e che chiede solo l’accoglienza nella fede. Luca – nel corso del vangelo – presenta l’invio dei discepoli da parte di Giovanni a chiedere a Gesù: “sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?” (Lc 7,19). Giovanni è veramente un grande profeta e tuttavia l’annuncio di Gesù si porrà in discontinuità con il suo annuncio di un giudizio, perché si connota come annuncio di gioia, di un venire di Dio che si fa vicino e cercatore dei perduti.

Sta qui il messaggio centrale di questa domenica al cuore del cammino dell’avvento: “gioisci, esulta rallegrati, fa festa, perché il Signore Dio è in mezzo a te”. L’invito sta nel trovare la radice profonda di uno sguardo alla vita nei termini della gioia perché il Signore viene. Non per altr motivi. C’è un veniente nel deserto delle nostre esistenze. Ma in questo tempo e in rapporto a questo invito alla gioia le richieste del Battista aprono una considerazione: è possibile ed è importante sperare non solo nel veniente, ma anche che questo suo venire trasformi i cuori. Avvento è tempo di attesa non solo del venire di Dio, ma del cambiamento possibile, del venire di una umanità disponibile a lasciarsi cambiare. E’ sguardo di speranza nel venire di Dio, ma anche sguardo di speranza sui volti e sui percorsi umani, per tutti, non nella confusione di una grazia a buon prezzo, ma nell’esigenza di una responsabilità che accoglie un dono immeritato di presenza: ogni uomo vedrà la salvezza di Dio…

Alessandro Cortesi op

II domenica di Avvento – anno C – 2012

DSCF2666Bar 5,1-9; Fil 1,4-6.8-11; Lc 3,1-6

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare… Luca è attento ad indicare date e nomi, luoghi e indicazioni geografiche. Ricostruisce così un quadro di tempo e di spazio in cui la vicenda di Gesù si inserisce. E la sua attenzione si concentra su Giovanni il Battista e il messaggio al centro della sua vita.

Si potrebbero cogliere alcuni aspetti propri di questa pagina che divengono motivo di riflessione per il nostro cammino di fede oggi.

Luca colloca Gesù in una storia: non è preoccupato di costruire una biografia di Gesù – i vangeli non sorgono come opera di cronaca e con intenti biografici – ma è molto attento nell’indicare che la vicenda di Gesù è quella di un uomo, membro del popolo d’Israele che s’inserisce in una storia ed in un tempo. Parlare di Gesù, per Luca, implica riferirsi ad una vicenda storica, concreta di un uomo che ha incrociato altre persone: in particolare per lui è stato importante un incontro che ha segnato una svolta nella sua vita, con Giovanni Battista.

In questa storia Luca evidenzia il peso dei grandi imperi e delle vicende politiche e di spartizione di territori e di aree di potere. Legge anche la presenza di una autorità religiosa indicata nei capi del sinedrio, punto di riferimento del sistema religioso del tempo.

Ma in questa storia, segnata da capi e da autorità che rappresentano i sistemi del potere, politico e religioso, Luca improvvisamente fa scorgere uno squarcio che apre questa storia ad un’altra dimensione. Non solo apre a considerare che in questa storia è da ricercare la presenza dell’agire di Dio, ma l’attenzione alla parola di Dio smaschera una storia fatta dai dominatori come storia di grandezze fatue e instabili. La presenza di ciò che rimane, della Parola va cercata altrove.

Dopo aver parlato dei poteri politici e religiosi infatti Luca improvvisamente conclude: “la parola di Dio venne su Giovanni”. Giovanni il Battista si fa accogliente della parola di Dio che scende. In questa storia, in cui sembra che gli attori principali e unici siano i potentati umani, v’è una dimensione presente e nascosta: è l’agire della parola che non segue le logiche del potere umano, ma segue altre vie ed emerge altrove. Non nel dominio dell’imperatore o nel potere dei sacerdoti nel tempio, ma nella vicenda di un profeta che si allontana da Gerusalemme, che lascia la sua famiglia di origine sacerdotale per dedicarsi totalmente ad un annuncio di preparazione ad un intervento imminente di Dio nella storia. La parola di Dio scende nel deserto. E il deserto si contrappone alle sedi delle coorti imperiali presiedute dal prefetto, dai palazzi ellenistici costruiti da Erode, vassallo dei romani, e dal Tempio di Gerusalemme, sede dei sommi sacerdoti e della classe sacerdotale.

Mi sembra che Luca suggerisca così due atteggiamenti da coltivare: il primo è l’attenzione alla vicenda di Gesù stesso radicata in una storia. E’ stato veramente uomo e va ascoltata  e letta la storia in cui egli ha vissuto. Ma la storia va letta non lasciandosi prendere dalla visibilità dei dominatori, ma alla ricerca dello scendere della Parola di Dio. Questa storia va letta anche per comprendere quale via Gesù ha seguito, che tipo di umanità ha indicato con il suo cammino umano. In particolare il fatto che Gesù sia stato affascinato dalla presenza del Battista – un dato indiscusso del suo percorso storico – costituisce una domanda che Luca apre. Come mai Gesù vide in Giovanni qualcuno di importante per  il suo cammino? Perché proprio il Battista, questo profeta che lasciò la sua famiglia di stirpe sacerdotale – figlio di Zaccaria – per recarsi nel deserto, lontano da Geruslaemme, dal sistema religioso e lontano dai centri del potere politico? E poi in quale modo Gesù si distaccò anche da Giovanni presentando un annuncio ed un volto di Dio diverso da quello del Battista?

In secondo luogo Luca suggerisce di sostare sulla dimensione del deserto, dove Giovanni si reca e dove la Parola si rende presente. E’ il percorso scelto da Gesù quando si recò dal Battista nel deserto. E’ anche il passaggio richiesto ad ognuno che desideri seguire Gesù. Il deserto è luogo che  rinvia all’esodo e all’esilio, luogo in cui scoprire una dimensione di pellegrinaggio e di cammino come aspetto costitutivo dela fede stessa: il deserto è luogo di conversione alla parola, al modo di agire di Dio, luogo di incontro con Dio senza appoggi umani. Una fede in cammino, sciolta, libera, capace di cambiamento e di mettersi in discussione. Spoglia di certezze che derivano da costruzioni culturali, di potere e racchiuse in sistemi religiosi, ma alla ricerca del soffio della Parola. Un invito ad un fede povera, ma per questo più autentica, nel seguire il cammino di Gesù e nel riscoprire il suo cammino umano…

Alessandro Cortesi op

 

 

I domenica di avvento – anno C – 2012

DSCF3173Ger 33,14-16; Sal 24; 1Tess 3,12-4,2; Lc 21,25-36

Ognuno attende qualcosa nella vita anche se spesso non riesce ad esplicitare i desideri del cuore. Spesso l’attesa è soffocata dall’abbondanza di cose, di rumore, che soffoca lo spazio dell’apertura ad altro. Ci sono le attese superficiali, le molte vacue attese di un mercato che genera continuamente bisogni, e cose da attendere con ansia.  E ci sono attese profonde, quelle che non possono essere appagate solamente dall’abbondanza delle cose e degli strumenti tecnologici. Quelle che non sono tacitate da tutte le forme del divertimento seminato a piene mani e che inducono ad essere solamente consumatori di cose o di esperienze. Vi sono attese nelle profondità del cuore che fanno rimanere inquieti e in ricerca, e poi le attese quotidiane che emergono con forza nel tempo della crisi. Anche le più piccole attese sono grembo di una attesa che sta al fondo della vita umana. Si attende qualcosa o qualcuno mentre tutto attorno si fa più buio e impaurisce. Ci chiediamo oggi come vivere un’attesa nella fede nel tempo della crisi.

Dai testi di questa domenica si possono cogliere alcune vie per vivere l’invito che segna il tempo dell’avvento, l’invito a stare svegli, a vigilare coltivando una speranza in cui è presente il profumo della gioia:  “Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell’umanità oppressa da tanti mali e apri i cuori alla speranza, perché sappiamo attendere…il ritorno glorioso del Cristo… ”

Il Dio della promessa non viene meno. “Verranno giorni in cui io realizzerò le promesse… farò germogliare per Davide un germoglio giusto”. Di fronte a tutto ciò che contraddice le attese, Dio rimane fedele. La sua fedeltà si manifesta in piccoli segni di vita che vincono il gelo della morte, così come un germoglio si affaccia come promessa di vita da un ramo che sembra ormai secco e senza futuro. Un germoglio è indicazione che una nuova vita sta emergendo già, mentre tutto attorno sembra soffocare e smentire ciò che solo uno sguardo capace di attenzione riesce ad individuare. Il germoglio è anche appello e invocazione: questa vita va protetta, custodita con meraviglia, coltivata. Solamente chi conosce la pazienza dell’attesa e la fatica del maturare di cose nuove e di tempi nuovi, può coltivare germogli. Un tempo nuovo è annunciato da quel germoglio: sono i piccoli segni che ricordano che Dio è fedele alle sue promesse e che questa storia è una storia visitata. Avvento è tempo di maturazione di uno sguardo capace di fermarsi ai piccoli segni di vita attorno a noi e dentro di noi: sono segni di un tempo nuovo. C’è un mondo che sta venendo meno, ma questa storia è essa stessa grembo di un venire che si sta affacciando. Non è speranza vana ma fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse.

“Quando cominceranno ad accadere queste cose risollevatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi che i vostri cuori non si appesantiscano…”. L’invito di Luca alla sua comunità è ancora nella linea di saper leggere i segni: la vostra liberazione è vicina. Nel tempo della prova è facile lasciarsi vincere dal pensiero che non c’è futuro e che siamo nella fine. La parola del vangelo è invito a non assecondare i sentimenti di desolazione e catastrofismo. E d’altra parte è invito a guardare in faccia il presente, a rimanere in questo tempo, ma con uno sguardo che si leva alto: senza fuggire dalla responsabilità nella storia, ma accogliendo la chiamata a stare in questo tempo, nella speranza. Può essere la scoperta che in un tempo in cui per molti la crisi fa venir meno ogni speranza, si può scoprire il senso profondo di una promessa che riguarda tutti i popoli e l’intera storia come una storia che lega insieme, che apre ad una solidarietà e a dun senso della vita da affrontare non contro l’altro, ma insieme.

“Vegliate in ogni momento pregando”. Il senso profondo del vegliare sta nelle parole di Paolo ai tessalonicesi: “Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi …”. Il tempo della crisi è opportunità per cambiare direzione di vita, per aprirsi ad orizzonti nuovi , per scoprire l’importanza dell’ascolto. E’ occasione per ospitare le attese di cose essenziali che provengono da altri vicini e lontani, per scoprire il legame che unisce e suscita un impegno per ‘sortire insieme’ dalle prove.   Vegliare è non farsi rendere insensibili e scoprire le chiamate alla compassione. Tempo dell’essenziale e della semplicità. E’ un tempo in cui non lasciare che il cuore divenga pesante, incapace di aprirsi al senso del cammino. In un mondo che finisce scorgere i segni di vita nuova che aprono ad una speranza nutrita di gioia.

Avvento è tempo di attesa, è anche tempo di nascita. L’avvento ci ricorda che l’uomo è essere di attesa ed essere di nascita. E nell’umanità sono le donne le custodi dell’attesa e della nascita: a loro è data in modo particolare quella conoscenza esistenziale che non si pone sulla linea del possesso e della conquista ma si fonda sulla percezione fondamentale di mancanza, sulla ricerca, sulla accoglienza. Un modo di custodire l’attesa e la nascita indicazione di una conversione per tutti ad uno stile di vita diverso.

Alessandro Cortesi op

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