Sir 3,2-6.12-14; Col 3,12-21; Lc 2,41-52
“Ogni anno i suoi genitori si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua”. Nel contesto di un pellegrinaggio per la festa di Pasqua è situato da Luca un episodio di quando Gesù aveva dodici anni. Un festa di Pasqua che rinvia alla Pasqua di Gesù e a tutto il suo cammino.
E’ un episodio che offre uno sguardo su anni di cui poco si sa della vita di Gesù: gli anni di Nazareth, della sua infanzia, della sua giovinezza. Per prima cosa dovremmo cogliere un elemento importante. Il silenzio di Nazareth è un silenzio da conservare. Luca lo conserva rileggendo solo alcuni momenti alla luce della Pasqua. Il suo sguardo sulla vicenda di Gesù lo coglie in continuità con tutto il cammino del Primo Testamento che giunge sino a lui.
Invita poi a cogliere come al cuore del crescere di Gesù, nella sua maturazione umana, nella sua relazione con i genitori sta una realtà decisiva, il suo rapporto con il Padre. “Non sapevate che devo stare nelle cose del Padre mio?” Stare nelle cose di Dio indicato come Padre suo… Tutta la vita di Gesù si pone nella relazione fondamentale con il Padre, nel vivere l’ascolto e fedeltà al Padre, che nella sua predicazione e nei suoi gesti egli presenterà con il volto dell’Abbà misericordioso.
Al centro di questo racconto non sta tanto la preoccupazione di offrire una cronaca di una avvenimento accaduto nell’infanzia di Gesù, quanto di tracciare uno squarcio sulla sua identità, sul suo cammino umano quale luogo di un rapporto unico e profondo con il Padre. Tutte le relazioni umane sono poste in una nuova luce e Gesù è presentato come un ragazzo ebreo che fa della relazione con Dio, il Padre, il criterio di fondo della sua esistenza, delle sue scelte. Nella sua umanità traspare una dimensione profonda che è quella di una sapienza che genera stupore.
Gesù è trovato dopo tre giorni nel tempio seduto in mezzo ai dottori: Luca delinea così la figura di Gesù proprio nel tempio, luogo della dimora di Dio. Lì, nel tempio, Gesù ascoltava e interrogava i dottori “ E tutti quelli che udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. Lo stupore di fronte a Gesù è uno dei tratti dei racconti dei primi capitoli di Luca. Chi lo accosta vive un sentimento di meraviglia, e proprio tale capacità di stupirsi è suggerita da Luca come uno dei caratteri della fede.
E’ anche un racconto che parla di ricerca: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre e io ti abbiamo cercato angosciati… Perché mi cercavate?”. Nelle parole di Maria c’è una preoccupazione di ricerca. La risposta di Gesù – difficile da comprendere – presenta orientamento nuovo da dare alla ricerca su di lui: c’è una ricerca di lui che deve passare attraverso il seguire la sua strada. E’ la strada della fedeltà al Padre, quella che conduce Gesù a subire l’ostilità, il rifiuto e la condanna. Su questa strada si deve orientare la ricerca di lui, nelle cose del Padre suo…
Anche Maria non comprende la risposta di Gesù. Come lei anche i discepoli non comprenderanno. Tuttavia Luca presenta un tratto essenizale della figura di Maria: “sua madre serbava tutti questi avvenimenti nel suo cuore”. Maria è presentata come la ‘sumballousa’, colei che tiene insieme, che si interroga, che cerca di leggere gli avvenimenti come luogo di una parola di Dio sulla sua vita, anche se non comprende. E’ una indicazione sull’attitudine della fede che caratterizza Maria nel suo stare accanto a Gesù.
Questa pagina è letta nella festa della santa famiglia. Si potrebbe dire che Gesù scardina modalità di pensare alla famiglia basata su modelli culturali di chiusura. La beatitudine presentata più avanti nel vangelo è: “beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la compiono” (Lc 11,27-28). Al cuore del suo percorso sta il rapporto con il Padre che conduce ad intendere in modo nuovo tutti i rapporti. A Gesù sta a cuore che nella vita vi sia una ricerca di affidamento e di ascolto del disegno di amore del Padre su ciascuno dei suoi figli. Gesù nella sua vita ha manifestato non la preoccupazione di presentare un modello di famiglia, ma ha agito in modo da accogliere ogni persona richiamando allo sguardo di misericordia di Dio. Per lui non ci sono esclusi o persone da tenere lontano, ma ognuno, qualunque sia stato il suo cammino e qualunque sia la sua condizione è chiamato a rispondere ad una chiamata che pone in ricerca, a ‘stare nelle cose del Padre’, ad aprirsi all’amore gratuito e fedele, ad accogliere questo rapporto di amore che rende capaci di relazioni nel dono di sè.
Questo racconto di Luca ci parla anche di difficoltà e di incomprensione nella vita: non tutto è chiaro, c’è una ricerca da vivere, ci sono momenti difficili da affrontare. E’ il cammino di ogni famiglia umana. Ma si potrebbe cogliere un duplice richiamo: Gesù deve stare nelle cose del Padre. Ognuno è chiamato a scoprire la chiamata di Dio nella sua vita, a lasciare spazio alla relazione fodnamentale con Dio in cui tutte le altre relazioni trovano senso. In secondo luogo anche nella fatica di comprendere è da mantenere l’apertura allo stupore e la capacità di mettere insieme, di interrogarsi su situazioni e avvenimenti in cui è presente una parola di Dio per noi. Questa attitudine di ricerca, di ascolto, di lasciarsi interrogare dalle situazioni, dai cammini delle persone non dovrebbe forse e essere anche l’attitudine di una chiesa capace di vivere in pellegrinaggio, capace di prendere con sè inquietudini, incertezze, ricerche delle persone cercando in ogni percorso una chiamata di Dio?
Oggi sperimentiamo tante difficoltà che attraversano la vita delle famiglie, in particolare delle donne che sono fatte oggetto di violenza proprio all’interno delle mura delle case che dovrebbero invece essere luoghi di cammino insieme nella relazione. Viviamo anche una realtà spesso segnata dalla violenza nell’uso stesso delle parole, da atteggiamenti di emarginazione e disprezzo, da prese di posizione che colpevolizzano. Tante persone soffrono nel sentirsi escluse a diversi livelli, sociale e religioso. Abbiamo bisogno di parole buone, capaci di dire il bene su percorsi d’amore, senza giudicare, capaci di invitare alla responsabilità di ricerca e di crescita sempre possibile. Sentiamo il bisogno di parole come quelle che Gesù pronunciava aprendo futuro e dando speranza. Abbiamo bisogno di gesti che aprano a cogliere come il Padre ha un disegno di bene e uno sguardo di compassione su tutti i suoi figli.
Alessandro Cortesi op
Domenica della Santa Famiglia – anno C – 2012
Sir 3,2-6.12-14; Col 3,12-21; Lc 2,41-52
“Ogni anno i suoi genitori si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua”. Nel contesto di un pellegrinaggio per la festa di Pasqua è situato da Luca un episodio di quando Gesù aveva dodici anni. Un festa di Pasqua che rinvia alla Pasqua di Gesù e a tutto il suo cammino.
E’ un episodio che offre uno sguardo su anni di cui poco si sa della vita di Gesù: gli anni di Nazareth, della sua infanzia, della sua giovinezza. Per prima cosa dovremmo cogliere un elemento importante. Il silenzio di Nazareth è un silenzio da conservare. Luca lo conserva rileggendo solo alcuni momenti alla luce della Pasqua. Il suo sguardo sulla vicenda di Gesù lo coglie in continuità con tutto il cammino del Primo Testamento che giunge sino a lui.
Invita poi a cogliere come al cuore del crescere di Gesù, nella sua maturazione umana, nella sua relazione con i genitori sta una realtà decisiva, il suo rapporto con il Padre. “Non sapevate che devo stare nelle cose del Padre mio?” Stare nelle cose di Dio indicato come Padre suo… Tutta la vita di Gesù si pone nella relazione fondamentale con il Padre, nel vivere l’ascolto e fedeltà al Padre, che nella sua predicazione e nei suoi gesti egli presenterà con il volto dell’Abbà misericordioso.
Al centro di questo racconto non sta tanto la preoccupazione di offrire una cronaca di una avvenimento accaduto nell’infanzia di Gesù, quanto di tracciare uno squarcio sulla sua identità, sul suo cammino umano quale luogo di un rapporto unico e profondo con il Padre. Tutte le relazioni umane sono poste in una nuova luce e Gesù è presentato come un ragazzo ebreo che fa della relazione con Dio, il Padre, il criterio di fondo della sua esistenza, delle sue scelte. Nella sua umanità traspare una dimensione profonda che è quella di una sapienza che genera stupore.
Gesù è trovato dopo tre giorni nel tempio seduto in mezzo ai dottori: Luca delinea così la figura di Gesù proprio nel tempio, luogo della dimora di Dio. Lì, nel tempio, Gesù ascoltava e interrogava i dottori “ E tutti quelli che udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. Lo stupore di fronte a Gesù è uno dei tratti dei racconti dei primi capitoli di Luca. Chi lo accosta vive un sentimento di meraviglia, e proprio tale capacità di stupirsi è suggerita da Luca come uno dei caratteri della fede.
E’ anche un racconto che parla di ricerca: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre e io ti abbiamo cercato angosciati… Perché mi cercavate?”. Nelle parole di Maria c’è una preoccupazione di ricerca. La risposta di Gesù – difficile da comprendere – presenta orientamento nuovo da dare alla ricerca su di lui: c’è una ricerca di lui che deve passare attraverso il seguire la sua strada. E’ la strada della fedeltà al Padre, quella che conduce Gesù a subire l’ostilità, il rifiuto e la condanna. Su questa strada si deve orientare la ricerca di lui, nelle cose del Padre suo…
Anche Maria non comprende la risposta di Gesù. Come lei anche i discepoli non comprenderanno. Tuttavia Luca presenta un tratto essenizale della figura di Maria: “sua madre serbava tutti questi avvenimenti nel suo cuore”. Maria è presentata come la ‘sumballousa’, colei che tiene insieme, che si interroga, che cerca di leggere gli avvenimenti come luogo di una parola di Dio sulla sua vita, anche se non comprende. E’ una indicazione sull’attitudine della fede che caratterizza Maria nel suo stare accanto a Gesù.
Questa pagina è letta nella festa della santa famiglia. Si potrebbe dire che Gesù scardina modalità di pensare alla famiglia basata su modelli culturali di chiusura. La beatitudine presentata più avanti nel vangelo è: “beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la compiono” (Lc 11,27-28). Al cuore del suo percorso sta il rapporto con il Padre che conduce ad intendere in modo nuovo tutti i rapporti. A Gesù sta a cuore che nella vita vi sia una ricerca di affidamento e di ascolto del disegno di amore del Padre su ciascuno dei suoi figli. Gesù nella sua vita ha manifestato non la preoccupazione di presentare un modello di famiglia, ma ha agito in modo da accogliere ogni persona richiamando allo sguardo di misericordia di Dio. Per lui non ci sono esclusi o persone da tenere lontano, ma ognuno, qualunque sia stato il suo cammino e qualunque sia la sua condizione è chiamato a rispondere ad una chiamata che pone in ricerca, a ‘stare nelle cose del Padre’, ad aprirsi all’amore gratuito e fedele, ad accogliere questo rapporto di amore che rende capaci di relazioni nel dono di sè.
Questo racconto di Luca ci parla anche di difficoltà e di incomprensione nella vita: non tutto è chiaro, c’è una ricerca da vivere, ci sono momenti difficili da affrontare. E’ il cammino di ogni famiglia umana. Ma si potrebbe cogliere un duplice richiamo: Gesù deve stare nelle cose del Padre. Ognuno è chiamato a scoprire la chiamata di Dio nella sua vita, a lasciare spazio alla relazione fodnamentale con Dio in cui tutte le altre relazioni trovano senso. In secondo luogo anche nella fatica di comprendere è da mantenere l’apertura allo stupore e la capacità di mettere insieme, di interrogarsi su situazioni e avvenimenti in cui è presente una parola di Dio per noi. Questa attitudine di ricerca, di ascolto, di lasciarsi interrogare dalle situazioni, dai cammini delle persone non dovrebbe forse e essere anche l’attitudine di una chiesa capace di vivere in pellegrinaggio, capace di prendere con sè inquietudini, incertezze, ricerche delle persone cercando in ogni percorso una chiamata di Dio?
Oggi sperimentiamo tante difficoltà che attraversano la vita delle famiglie, in particolare delle donne che sono fatte oggetto di violenza proprio all’interno delle mura delle case che dovrebbero invece essere luoghi di cammino insieme nella relazione. Viviamo anche una realtà spesso segnata dalla violenza nell’uso stesso delle parole, da atteggiamenti di emarginazione e disprezzo, da prese di posizione che colpevolizzano. Tante persone soffrono nel sentirsi escluse a diversi livelli, sociale e religioso. Abbiamo bisogno di parole buone, capaci di dire il bene su percorsi d’amore, senza giudicare, capaci di invitare alla responsabilità di ricerca e di crescita sempre possibile. Sentiamo il bisogno di parole come quelle che Gesù pronunciava aprendo futuro e dando speranza. Abbiamo bisogno di gesti che aprano a cogliere come il Padre ha un disegno di bene e uno sguardo di compassione su tutti i suoi figli.
Alessandro Cortesi op