la parola cresceva

commenti alla Parola della domenica e riflessioni

Archivi per il mese di “dicembre, 2016”

Maria ss. Madre di Dio – anno 2017 – Giornata della pace

img_2064(Duomo di Trento – rosone della facciata)

Num 6, 22-27; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

I racconti dell’infanzia di Luca non sono narrazioni di cronaca o di descrizione di avvenimenti con preoccupazioni dello storico. Sono invece ricchi di teologia, intessuti di riflessioni indirizzate a comunità che vivono l’esperienza della fede in Gesù dopo la sua morte. Sono scritti pensando alla situazione di credenti che sperimentano le fatiche e difficoltà del continuare nel tempo la via del seguire Gesù. Luca proietta quindi sin nei primi momenti della vita di Gesù, il riferimento all’esperienza di coloro che hanno accolto la sua presenza e lo seguono.

Nello sguardo alle presenze che attorniano Gesù alla nascita Luca offre un quadro diversificato di reazioni e sentimenti. Pone così in luce i tratti dell’esperienza del credere e del discepolato nelle attitudini di coloro che hanno accolto la bella notizia dell’incontro con Gesù. In lui si è manifestato il volto di Dio che capovolge le logiche proprie del mondo riguardo alla grandezza ed è stato posto in discussione il modo di pensare Dio stesso. Luca insiste sul segno che riguarda una salvezza donata da Dio alla storia. Il segno è un bambino, avvolto in fasce: è un segno piccolo e povero, che contrasta con la grandezza degli imperi e con il dominio sui popoli (il censimento di Cesare Augusto). Gesù nella sua vita racconta il volto di un Dio che si può incontrare non nei luoghi del potere umano, ma nella vita dei poveri, nella condizione di chi è escluso “perché non c’era posto per loro nell’alloggio”.

Luca anche insiste su questo segno piccolo che è volto di un bambino con Maria e Giuseppe: è presenza di un bambino con i suoi genitori. L’incontro con Dio passa attraverso le vicende della vita umana ordinaria, nell’esperienza della cura per un bambino inerme, bisognoso di tutto, che nasce nel contesto di un amore umano concreto. L’incontro con Dio passa attraverso la cura ed il piegarsi all’umano fragile.

A questo punto Luca offre un profilo di chi è stato segnato da questa bella notizia presentando le reazioni di chi ha visto questo piccolo segno e se ne è lasciato toccare. Sono presenze non di chi umanamente è ritenuto importante o rilevante, ma di chi è marginale, di persone piccole, senza nomi illustri: sono i pastori, sono persone senza nome ma di cui si sottolinea la capacità di stupore, è Maria stessa, è Giuseppe.

Un primo tratto del profilo di chi segue Gesù è quello dell’uscire e del cammino: “i pastori andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”.

I pastori si sono lasciati prendere da una chiamata di messaggeri e si sono posti in cammino: in ogni cammino umano, in ogni uscita da sicurezze per aprirsi all’incontro sta una novità e un dono. Tutto ciò avviene con urgenza: è bella notizia che apre a orizzonti nuovi la vita e chiede di essere comunicata. Dopo aver visto non rimangono chiusi, vanno a riferire, comunicano ad altri non un insegnamento ricevuto, né particolari richieste. Comunicano la gioia di un’esperienza inaudita: per loro, i dimenticati dalla storia, c’è posto nel cuore di Dio. La presenza di quel bambino dice loro che Dio si prende cura di chi è piccolo. Scorgono che l’incontro con Dio non è questione di sistemi religiosi o di appartenenze particolari, ma è possibile nella vita, nella loro vita concreta.

Una seconda reazione è quella di persone senza nome, di cui però si dice che vivono una ascolto di quanto è loro comunicato e si aprono allo stupore. “Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori”. Anche qui il riferimento va alla vita della comunità nel tempo: l’esperienza della fede sorge nella testimonianza e nel ricevere una parola di testimoni che ricordano e richiamano l’incontro con Gesù: da qui può nascere uno stupore che cambia l’esistenza. Lo stupore è il tratto proprio dei racconti dell’infanzia di Luca che in questo atteggiamento condensa il senso di novità che prende di fronte ad un’esperienza di un Dio che si rende vicino, che fa sorgere vita che porta nascite e nuovi inizi in situazioni segnate dalla sterilità, dalle vecchiaia, dalla difficoltà.

Infine Luca sottolinea una attitudine propria di Maria: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Maria tiene insieme, fa simbolo. Il suo ascolto è interiore. Penso si possa leggere questa indicazione come movimento proprio del cuore del credente che tiene insieme lo sguardo di fronte al comunicarsi di un Dio che sceglie la povertà, fragile e vulnerabile, ad un operare di Dio e le difficoltà, domande e dubbi che provengono dalla storia, dalle contraddizioni.

Di Giuseppe non si dice nulla: solamente che era presente. Nel fugace accenno al suo nome si può cogliere solamente una presenza silenziosa, uno stare accanto che non fa mancare la sua cura, la sua vicinanza. E’ forse indicazione di una esperienza credente del mantenersi vicini, con la propria individualità, con il proprio nome, comunicando nel silenzio l’ascolto di una chiamata e di una missione. Giuseppe appare come un albero piantato, che rimane al suo posto e vive così la risposta al nome che gli è dato.

Infine ancora i pastori: Luca qui indica un altro tratto dell’esperienza del credere espresso nei verbi del lodare e rendere gloria a Dio. Nell’esperienza dell’incontro con Gesù, si apre una comprensione nuova della vita: la gloria di Dio si compie nella pace per coloro che egli ama. La gloria di Dio allora è la vita di chi vede riconosciuta la sua dignità, è una vita in relazioni nuove di giustizia, di riconoscimento. La gloria di Dio è possibilità al povero di avere dignità e vita.

“I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”

img_2284(disegno – cartone di Pietro Bugiani – Pistoia)

Voci di donne

Il 1 gennaio è giornata di preghiera per la pace. In questi giorni il settimanale “La repubblica delle donne” ha promosso un sondaggio sulla figura di donna dell’anno. Tre volti sono stati indicati: la mamma di Giulio Regeni, ricercatore torturato e ucciso al Cairo lo scorso gennaio, che ha manifestato coraggio e forza di fronte all’ingiustizia nella ricerca di verità; l’avvocato Lucia Annibali, sfigurata con l’acido dal suo ex partner e divenuta simbolo della lotta contro la violenza sulle donne; Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa, prima cittadina di un luogo di frontiera dell’accoglienza dei migranti che dall’Africa affrontano la traversata attraverso il mar Mediterraneo.

In una intervista a cura di Maria Accettura, Paola Regeni così si è espressa: “«Penso che in Italia anche chi proviene da un paese di piccole dimensioni possa diventare cittadino del mondo. Non a caso si parla di “identità glocali”, legate al territorio ma con uno sguardo aperto sul mondo. Fiumicello ha un’identità friulana ma è in posizione strategica e quindi in contatto con altre culture, con la Slovenia e l’Austria. Le nostre stesse famiglie d’origine hanno diverse provenienze. Noi abbiamo sempre viaggiato anche con i bambini piccoli, lo ritenevamo fondamentale per l’educazione. Perciò lasciare Giulio libero nelle scelte e negli spostamenti faceva parte del nostro modo di essere». E ad una domanda sul suo rapporto con suo figlio ha così risposto: “I figli ci insegnano molto se siamo disposti ad ascoltare. Giulio in particolare che cosa le ha trasmesso? «Mi ha permesso di seguirlo, che non è sempre scontato, e questo è stato stupendo. Mi ha insegnato molte cose a livello culturale, e con lo spirito critico che lo contraddistingueva ha cercato di farmi comprendere le problematiche che vivono i giovani di oggi. Giulio era energia: di fare, conoscere e relazionarsi».

Un’altra storia di madri – trascurata dalla grande comunicazione e che si pone in contrasto al dilagare di mentalità dello scontro e della pretesa di risolvere i problemi con la violenza e l’oppressione, proviene da una iniziativa organizzata da donne, madri appartenenti al movimento delle donne per la pace, sorto nel 2014 in Palestina: si tratta di una marcia di donne che recentemente hanno manifestato insieme, camminando, cantando e pregando ciascuna secondo le modalità della propria cultura e tradizione religiosa, ebree, musulmane e cristiane invocando una pace che appare impossibile tra israeliani e palestinesi (qui il video). Nella loro inermità si sono radunate a migliaia per esprimere nel camminare insieme un orizzonte inedito e nuovo ed hanno cantato la preghiera delle madri contro la logica della guerra.

Ancora una parola di donna dà a pensare: è la parola della madre di uno degli agenti che a Sesto san Giovanni hanno fermato e poi ucciso l’attentatore tunisino Anis Amri che pochi giorni prima a Berlino aveva compiuto una strage di persone inermi scagliandosi con un Tir a tutta velocità nel mercatino di Natale nei pressi della Gedächtnis Kirche. Mentre i titoli dei giornali e i commenti su questo evento risuonavano di parole d’odio, di vendetta, di soddisfazione per l’annientamento di un pericoloso criminale, le parole di questa madre  sono state una delle poche, flebili espressioni che hanno manifestato un pensiero anche per la vita di chi aveva seminato tanto dolore seguendo la logica assurda della violenza e che ha avuto anche la sua vita spezzata. Ha ricordato così il senso di una pietà umana di fronte alla morte di ogni uomo, anche dell’assassino, per non lasciarsi imprigionare dalla medesima logica di male e scegliere la nonviolenza: voce di una donna nel tempo della violenza.

Voci di donne in un giorno memoria di Maria e di preghiera per la pace.

Alessandro Cortesi op

img_2273-versione-2(Martino di Bartolomeo, polittico, part. 1403 – museo di san Matteo, Pisa)

Natale del Signore – anno A – 2016

img_2322Natale del Signore – anno A – 2016

Is 9,1-6; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14

“Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse…”. Le tenebre sono cifra del momento che viviamo: tenebre di una situazione di violenza diffusa. Viviamo il tempo di una guerra globale e non dichiarata che continua nell’indifferenza e attraversa i luoghi della quotidianità. Assistiamo allo sgretolamento di percorsi in cui nel tempo e faticosamente erano stati riconosciuti dignità e diritti. Viviamo l’accrescersi di manifestazioni di rabbia, razzismo e intolleranza verso gli stranieri. Le tenebre sono anche quelle di un sistema economico e finanziario che genera ingiustizia e soffoca: annienta le vite di popoli ridotti alla fame, toglie il respiro e i sogni ai giovani privandoli di speranza e futuro.

Notte e buio segnano anche le nostre vite ordinarie, i percorsi delle nostre famiglie in tanti modi: perdite di persone care, malattie, difficoltà a sostenere i ritmi di una vita sempre più complessa ed esigente, dolori, difficoltà economiche, preoccupazioni per i figli, per i loro problemi e il loro futuro, egoismi e incapacità di comunicare, incomprensioni, dissidi. Buio è tutto ciò che ci opprime e angoscia. Buio è il luogo delle nostre paure espresse ed inespresse.

Nel buio di queste tenebre, in una condizione di spaesamento l’annuncio di Isaia, profeta che ha uno sguardo lungo sulla storia è psoto al centro della lituriga di Natale: “A coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”.

E’ annuncio di una luce che è entrata squarciando fessure nelle tenebre. E’ anche una promessa sulla storia che indica un orizzonte di liberazione e di pace: “tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva… ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco”. Isaia scorge un intervento di Dio che libera da pesi insopportabili e da ciò che tiene legato a logiche di oppressione e violenza. E’ un intervento che inaugura un mondo diverso in pace: non ci saranno più passi marziali di soldati che avanzano per uccidere, ma tutto ciò che ha a che fare con la guerra, la guerra delle armi, ma anche l’aggressività e l’odio vicino, è reso vano.

Isaia indica in un bambino il segno della possibilità di inizi nuovi anche in una realtà di tenebre: “un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”. Questo bambino è un figlio donato: il nome di questo bambino è ‘principe della pace’. Il suo venire apre ad una storia di pace che è orizzonte di tutta la storia umana.

Un bambino nel suo essere inerme, privo di difese e di strumenti di offesa, segnato dalla fragilità estrema e bisognoso di cure. Questo bambino è un figlio affidato, segno della presenza di Dio che è potente rovesciando i criteri della grandezza umana: non s’impone con la forza ma nel suo presentarsi indifeso scardina la logica delle armi e della guerra. Questo bambino è portatore di luce nuova, apre un orizzonte di pace.

“Non temete. Ecco vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo. Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore che è il Cristo, Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia” (Lc 2,10-11)

Il vangelo fa scorgere nel volto di Gesù, bambino, nel momento della sua nascita, i tratti di colui che visse la sua vita come servizio fino in fondo per amore: ‘avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine’

Dio ha deciso di abitare in mezzo a noi come uomo. D’ora in poi il luogo dove incontrarlo è nel volto delle persone, negli altri. La luce che ci dona non è per fuggire da questa storia, ma entra nelle tenebre del nostro mondo per salvare questa storia. Natale è evento di povertà e abbassamento di Dio: “Spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, divenendo simile agli uomini: apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato…” (Fil 2,7-9).

Natale è irrompere della promessa e dell’annuncio che oggi è il tempo dell’aurora: il nostro buio è luogo in cui è pronunciato il ‘no’ di Dio ma in cui il suo ‘sì’, la presenza dono di un bambino, è germoglio e primizia di una fioritura in cui ciascuno di noi è coinvolto: è venuto per formarsi un popolo che gli appartenga (cfr. Tt 2,14).

Nelle parole degli angeli, messaggeri di belle notizie, c’è un annuncio a ‘non temere’: indicano inizi nuovi, invitano a mettersi in cammino, a leggere i segni della sua presenza. Una luce, anche solo una debole fiammella è in grado di attraversare le tenebre: là dove essa si leva ritorna a noi il coraggio di sollevarci. Natale è annuncio che la presenza di Dio può nascere e trovare spazio nel cuore di ogni persona. A noi sta accogliere questa presenza, farla crescere in noi. Il quotidiano, il vissuto di ogni momento e di ogni rapporto è luogo in cui far crescere tale incontro, lasciandoci coinvolgere, ponendo i nostri passi su quelli di Gesù, vivendo come lui ha vissuto. Da portare nel cuore oggi è forse solo una domanda: come “vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza”? come rendere questa parola vita ed esperienza delle nostre giornate?

Alessandro Cortesi op

maria-barghouthy-refugee-camp(disegno di Maria Barghouty, bambina siriana rifugiata)

Con il pensiero ad Aleppo

Dopo cinque anni di guerra il popolo siriano è vittima delle violenze e della guerra. Samir Nassar, arcivescovo di maronita di Damasco ricorda la situazione di violenza e sofferenza: «Il rumore infernale della guerra soffoca il canto di gloria degli angeli. La sinfonia angelica del Natale lascia il posto all’odio, a crudeli atrocità compiute nell’indifferenza globale. Oggi chiediamo all’Emmanuele, al Dio-con-noi, di portare, con la sua grazia, i doni di cui la Siria ha urgente bisogno: la pace, il perdono e la compassione»

«Il bambino Gesù ha molti compagni in Siria. Milioni di bambini non hanno più casa e vivono senza riparo, in tende o in alloggi di fortuna, proprio come la stalla di Betlemme. Gesù non è solo nella sua miseria. I bambini siriani, abbandonati, orfani e psicologicamente devastati dalle scene di violenza che hanno provato e visto, vorrebbero tanto essere al posto di Gesù, perchè il Cristo almeno ha sempre i suoi genitori. Questa amarezza si vede nei loro occhi, nelle loro lacrime e nel loro mortificante silenzio».

Nelle parole del vescovo si rifrange la disperazione e il senso di abbandono di chi vive in questo momento in Siria: «Molti bambini siriani invidiano Gesù perché Lui ha trovato almeno un posto umile per nascere e un riparo, mentre alcuni di loro sono nati sotto le bombe o durante un esodo che li ha portati lontano dalla loro patria».

La condizione delle donne è drammatica: «Ci sono in Siria tante madri in difficoltà: madri sfortunate che vivono in condizioni di estrema povertà, costrette ad assolvere ai doveri familiari da sole, senza i loro mariti, morti o dispersi. Donne che cercano in Cristo un po’ di consolazione. Quando guardano alla Sacra Famiglia e vedono la presenza rassicurante di Giuseppe, queste madri piangono per le loro famiglie prive di un padre: questa assenza alimenta paura, ansia e preoccupazione».

«Allo stesso modo gli uomini, disoccupati o stremati dalla fatica di cercare il sostentamento per i loro cari, vedono in san Giuseppe un uomo che ha saputo prendersi cura della sua famiglia, nel momento del bisogno, della fame e del pericolo, anche fuggendo, in un viaggio da profughi, in Egitto».

Per la comunità cattolica maronita «la luce di Cristo è l’unica che porta consolazione e speranza. La sua vicinanza all’umanità, espressa nel mistero dell’Incarnazione, infonde il coraggio di vincere la morte e la fiducia in un futuro fatto di pace, perdono e compassione».

Dalle comunità di Siria che celebrano il Natale proviene un grido di pace. E’ invocazione che chiede di fare di questa festa occasione per ricordarsi degli altri. Natale è chiamata a scorgere la pace come orizzonte che accomuna i diversi cammini nel mondo delle molte religioni e di chi non ha religione. Il grido di preghiera per la pace si fa denuncia per ogni utilizzo della religione per la violenza, per scopi che contrastano con la radice più profonda delle fedi, e si fa ricerca di una pace dono di Dio che sia reso concreto in scelte e azioni, percorso possibile tra diversi popoli.

Natale… col pensiero ad Aleppo invocando la pace.

Alessandro Cortesi op

Auguri!

“La mia porta sarà sempre aperta per lei e per questa nuova rete… Mentre chiedo al Signore di non abbandonarla mai, soprattutto in questo momento difficile, la accompagno con riconoscenza e affetto. Non si dimentichi di pregare per me o, se non prega, le chiedo che mi pensi bene e mi mandi ‘buona onda’. Sinceramente, Francesco”

Riprendo e inoltro questi auguri inviati da Francesco, vescovo di Roma, in una lettera inviata ai fratelli sindaci e sorelle sindache che hanno partecipato nei giorni scorsi ad un incontro di confronto sulle politiche migratorie.

E’ un augurio che parla di porte aperte e di reti da tessere, dice il rispetto per ognuna e ognuno nel suo cammino, parla di riconoscenza e affetto.

Fra le righe dice che la stessa fede trova il suo senso solo se si pone al servizio di un cammino umano. Partecipi di una medesima storia si può vedere nell’altro un volto  accomunato nell’impegno a costruire insieme qualcosa di buono per sè e per gli altri.

Allora buon Natale con un pensiero buono per chi legge e con l’augurio di “buena onda’… ed anche con l’augurio di poter festeggiare in modo semplice con amici! (ac)

 

“Torno presto. Sarò fuori per poco, solo per la mia festa di compleanno”image001.jpg

IV domenica di Avvento – anno A – 2016

img_2248(Giovanni Pisano, Madonna col bambino, Museo nazionale di san Matteo – Pisa)

Is 7,10-14; Rom 1,1-7; Mt 1,18-24

Al re al trono Isaia prefigura la nascita di un nuovo re giusto dal nome ‘Emmanuele’ (Dio in noi), un autentico erede di Davide, non come Acaz stesso e i re infedeli che ponevano la loro fiducia in alleanze di imperi più forti.

La dinastia di Davide continuerà e l’Emmanuele sarà esempio di abbandono fiducioso in Dio. Isaia delinea così il figlio di Acaz, Ezechia, come Emmanuele, re con i tratti di pietà e fedeltà a Dio. Questa promessa indica un orizzonte che va oltre (cfr. Is 11,1-16). Dio stesso stabilirà il regno del messia (l’unto, il consacrato) come situazione di pace, oltre ogni orizzonte di spazio e di tempo: ‘grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine’ (Is 9,5-6). Isaia annuncia anche un ‘resto’, un piccolo gruppo che troverà stabilità nell’appoggiarsi nel Dio fedele e solo in lui. “In quel giorno il resto di Israele… non si appoggeranno più su chi li ha percossi, ma si appoggeranno sul Signore, sul Santo d’Israele, con lealtà” (Is 10,20).

Questo testo apre così all’attesa di un futuro in cui si attua la promessa di Dio a Davide in un cammino di popoli. Isaia indica un segno, ed una speranza oltre i confini del tempo: Dio interviene nella storia con segni che indicano il suo disegno di salvezza.

Matteo ha presente questi testi profetici quando scrive il suo vangelo. Nel volto di Gesù coglie il compimento di promesse e attese. L’annuncio dell’angelo a Giuseppe è presentato per far entrare Gesù nella discendenza di Davide. Così è ripreso lo schema classico di un annuncio di nascita: c’è la presenza di un messaggero, la chiamata per nome, l’invito a superare le difficoltà; il rinvio ad un segno e indicazioni su chi sta per nascere (cfr. Gdc 13,1-24).

Lo Spirito Santo è all’opera sin dal momento dell’inizio della vita di Gesù. Un messaggero comunica a Giuseppe di ‘non temere’ e di lasciarsi coinvolgere nell’opera di Dio. Giuseppe giusto, cioè fedele, vive una duplice fedeltà, a Maria a cui è legato e alla chiamata di Dio. Si abbandona nella fede a Dio che lo chiama.

Maria che darà alla luce un figlio, è invitata a scorgere che c’è un’opera dello Spirito santo nella sua vita, accoglie la volontà di Dio sulla sua vita: il suo cuore è spazio aperto oltre gli schemi umani. Come il sonno di Adamo anche il sonno di Giuseppe è luogo in cui opera Dio creatore. E come nel sogno dei magi si attua la guida di Dio vicino. Giuseppe è presentato come uomo giusto, cioè fedele. Nel profilo di Giuseppe si delinea così quello del credente, che vive la fatica del dubbio e l’abbandono della fede. Ed infine prende con sé Maria.

A Giuseppe è affidato il compito di dare il nome a Gesù, nome che significa ‘il Signore salva’. Emmanuele è nel vangelo di Matteo il nome di Gesù: ‘Dio con noi’, nome che riprende le promesse del Dio vicino in tutta la storia di salvezza. In questo nome è racchiuso il senso della vita di Gesù stesso. La salvezza è dono di vita, di perdono, di liberazione ed ha un nome che rinvia ad una presenza. Ed è un nome affidato.

Al cuore delle nostre esperienze sta un’attesa profonda, l’attesa di un nome, di qualcuno che solo può salvare. Quel ‘nome’ sta oltre ogni nostra attesa e possibilità, è dono ed è avvento, venire gratuito di Dio che libera e salva.

Alessandro Cortesi op

800px-robert_campin_-_l_annonciation_-_1425a(Robert Campin, Trittico di Mérode, 1427, Metropolitan Museum – New York)

La figura di Giuseppe compare, in modo insolito e originale, in una scena di annunciazione secondo lo stile fiammingo:  è il trittico Mérode (dal nome degli antichi proprietari) conservato ora al Metropolitan Museum di New York, attribuito alla bottega di Robert Campin. E’ un dipinto databile tra il 1422 e il 1430, periodo che in Italia vede attivi tra altri Masolino da Panicale, Masaccio, Paolo Uccello, Filippo Lippi.

Il trittico, elaborato con pittura a olio, è composto di tre pannelli, quello di sinistra nell’ambientazione di un giardino, quello al centro, con l’angelo e Maria in un salotto e quello a destra nell’interno della bottega di un artigiano con una finestra che affaccia su un panorama cittadino, su un piazza tipica di una città delle Fiandre, in cui si muovono persone prese dalle faccende della vita quotidiana.

Il pannello centrale raffigura la scena dell’annunciazione di Maria posta all’interno di una casa, nel contesto di una stanza in cui al centro sta un tavolo e Maria è raffigurata in posizione seduta a terra.

Un angelo con capelli ricci che scendono sule spalle, con la veste bianca e cintura azzurra da cui spuntano sulle spalle ali colorate con tinte variegate, appare come appena entrato e sembra che stia cercando di attirare a sé l’attenzione di Maria con un gesto di saluto mentre s’inginocchia. Maria, con i lunghi capelli sciolti, profondamente assorta nella lettura di un libro non sembra si sia accorta della sua presenza. L’arredo della sala e i dettagli delle vesti e degli oggetti presenti sono tratteggiati con una particolare cura. Si possono distinguere sullo sfondo un bacile sospeso e un asciugamano che reca i tratti di un velo della preghiera ebraica; Sullo sfondo una finestra con i battenti aperti, ma con un parapetto a grata fa intravedere il cielo e le nubi. Sopra la tavola, di forma rotonda, sono disposti un libro e un rotolo. Sono riferimento alle Scritture e al rotolo di Isaia con le profezie sul messia. Maria appare adagiata a terra con un’ampia veste di colore rosso e trova sostegno su di una panca davanti al camino. Regge tra le mani un libro proteggendolo con un velo che ne indica l’importanza e il valore. Dietro a lei un camino con la parete annerita davanti al quale una tavola traforata funge da protezione del fuoco. In un vaso poggiato sulla tavola è contenuto un giglio fiorito, simbolo di purezza, e su un candeliere una candela che si sta spegnendo fa salire alcune volute di leggero fumo. Dall’alto, attraverso i vetri di una finestra ovale giungono i raggi di una luce che attraversa la stanza e in questa luce compare la figura stilizzata di un omuncolo che regge la croce: è il simbolo della presenza di Gesù nel momento in cui l’angelo giunge ad annunciare a Maria il concepimento. I raggi attraversano il vetro senza danneggiarlo. La candela è spenta da questo soffio dello Spirito che giunge a lei recando una luce più grande di ogni lume terreno. L’atmosfera che regna su questo squarcio di vita quotidiana è quella di un profondo silenzio. Nel silenzio si compie qualcosa di grande, l’irrompere dello Spirito, l’azione di Dio e l’incarnazione del Verbo.

img516Nel pannello di destra Giuseppe è fissato mentre è al lavoro nella sua bottega di falegname che viene descritya come una stanza attigua della medesima casa. Anch’egli vestito con un abito di colore rsso, come Maria, assorto nel suo lavoro, appare ignaro di quanto sta avvenendo nella stanza vicina. E’ alle prese con una trivella e sta forando una tavola per predisporre una protezione di riparo del fuoco simile a quella che si trova nel caminetto. La bottega è occupata di strumenti di lavoro e sullo sfondo la finestra si apre sulla piazza della città. Ben in vista sono però due elementi che attraggono l’attenzione dell’osservatore, una trappola per topi sul tavolo di lavoro e un’altra trappola esposta al di fuori della finestra su un banco che aggetta al di fuori.

Dietro a questi oggetti sta un significato che il pittore vi ha racchiuso rendendoli chiave di lettura dell’intero trittico e suscitando così l’interesse di chi osserva.

Ma prima di individuare il loro senso si può porre attenzione alla parte sinistra del trittico, ambientata nel giardino che è cinto da mura e che conduce ad accedere con una porta che si apre all’ambiente centrale. Nel giardino sono raffigurati i profili dei committenti. Sono ricchi mercanti di Malines vestiti con abiti eleganti e la donna con il capo avvolto da un velo segno della condizione di donna sposata e un rosario tra le mani.

robert_campin_-_l_annonciation_-_1425Lo studio della composizione ha posto in risalto come la figura della donna e quella a lato in secondo piano, di un messaggero che giunge con un cappello di paglia in mano a portare un annuncio – raffigurato con l’abito dei messi comunali di Malines – siano figure aggiunte in un secondo tempo alla composizione. A questo punto si può indicare una possibile spiegazione dell’intero trittico.

Questo fu commissionato all’artista Campin prima del matrimonio del committente e solo a distanza di qualche tempo furono aggiunte da un altro pittore suo discepolo, Rogier van den Weiden, le figure della donna e del messo. La donna è la sposa del committente e il messo forse viene ad annunciare la prossima nascita di un loro figlio. Il dipinto sorge quindi come un ex voto per chiedere la protezione di Maria su questa nuova famiglia. E le sue dimensioni assai limitate (120×64 cm) confermano che era un dipinto non destinato ad una chiesa, ma ad un ambiente domestico in cui si pongono insieme sguardo al mistero dell’incarnazione e sguardo alla vita di una famiglia del tempo.

In tale contestualizzazione si può cogliere come nel dipinto il rinvio all’ambiente della casa e all’intervento di Dio si intrecciano e sono compresenti. La chiave di lettura diviene quell’elemento posto in risalto nella bottega di Giuseppe: la trappola per topi. Secondo un’interpretazione di Agostino infatti la croce di Gesù Cristo è trappola per il diavolo perché nell’umanità di Gesù stava nascosta la divinità che vinse la morte (Agostino, Sermo 263, De ascensione Domini). Tale simbolo diviene così figura della redenzione. Gesù trasse in inganno il diavolo celando la sua natura divina nella natura umana. E nella morte di Gesù si attuò la volontà di Dio di salvare l’umanità (cfr. Gregorio di Nissa, Oratio catechetica magna 24). Così il matrimonio di Maria e Giuseppe è velo che nasconde la realtà profonda dell’intervento di Dio nella vita umana. E’ come un riparo che tiene protetto il mistero della divinità di Gesù nascosta nella sua umanità e nella vita con Giuseppe e Maria nel silenzio di Nazareth. In tale senso è velo: così dal di fuori – dalla piazza – nel rapporto di Maria e Giuseppe le persone possono scorgere solamente un matrimonio umano, ma la loro è vicenda umana che racchiude una realtà più grande e diviene così trappola per il diavolo che viene ingannato. Infatti se si osserva bene l’oggetto che sta sulla finestra della bottega non è simile ad una una trappola per topi, come quella che sta sul banco, ma può essere letta come un letto matrimoniale. In quella casa chi guardava da fuori vedeva un matrimonio ordinario, (Meyer Schapiro, “Muscipula Diaboli,” The Symbolism of the Mérode Altarpiece, “The Art Bulletin” 27, 3,1945, 182-187).

A questa spiegazione si potrebbe aggiungere un proseguimento: il matrimonio di Maria e Giuseppe racchiude un mistero più grande nella loro unione che si dipana nella casa di Nazareth. Ma anche la famiglia dei committenti è toccata dal mistero dell’incarnazione. Nella loro vita insieme e nell’accogliere il messaggio di una nascita partecipano, nel giardino, alla vicenda di quella casa: nella loro unione e nel ricevere la notizia del giungere di un figlio possono cogliere nella trama della loro esperienza il celarsi della visita di Dio, di quell’annuncio che è salvezza per l’umanità e che è opera del Dio umanissimo presente e operante nelle trame della vita umana. E’ la presenza di un Dio nascosto che rinvia ad un cammino nell’andare oltre il velo, nel leggere i segni, nell’entrare nelle profondità del silenzio, nel non cadere nelle trappole di quanto immediatamente appare.

Alessandro Cortesi op

Nel tempo della corruzione

E’ appena uscito per i tipi della casa editrice Nerbini (Firenze) il volume Nel tempo della corruzione globale. Idee per un cambiamento, a cura di Giuseppe Alibrandi e Alessandro Cortesi

promosso dal Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ Pistoia.

img_2177Qui di seguito l’Indice del volume

INDICE

Giuseppe Alibrandi – Alessandro Cortesi Introduzione.
 La corruzione, male del nostro tempo p.5

Pietro Domenico Giovannoni Note sulle radici storiche della corruzione in Italia p. 21

Giuseppe Alibrandi I fenomeni corruttivi: 
indicazioni per una definizione  p.37

Cecilia Turco Il sistema punitivo dei fenomeni corruttivi:
 un approccio giuridico  p.49

Filippo Buccarelli Habitus e corruzione:
 la tortuosa via italiana alla legalità  p.57

Sebastiano Nerozzi, Vito Pipitone Giorgio Ricchiuti Corruzione, istituzioni e sviluppo economico  p.67

Graziano Bernabei La cifra che cambia la vita,
ma la cambia davvero?  p.107

Vincenzo Caprara Contrasto alla corruzione responsabilità di tutti: buone pratiche e istanze etiche  p.115

Alessandro Cortesi Corruzione e religiosità:
un approccio teologico  p.127

 

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III domenica di Avvento – anno A – 2016

img_2152Is 35,1-6.8.10; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

“Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa”. Il deserto è invitato a gioire e la steppa a fiorire per la felicità. E’ una visione di gioia, di coraggio, un quadro di speranza per una novità che sta irrompendo nella storia: ‘Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi’. Il venire di Dio che salva attua così un rovesciamento inatteso: ‘lo zoppo salterà come il cervo, griderà di gioia la lingua del muto’. L’immagine della strada nel deserto è annuncio di un tempo in cui non vi saranno più tristezza e pianto: nel deserto scorre una via appianata, e su di essa cammina un popolo liberato verso un orizzonte di pace.

La pagina del vangelo presenta il dialogo tra i discepoli di Giovanni Battista e Gesù. Giovanni in carcere per la sua critica del potente Erode invia i suoi a domandare a Gesù: ‘sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?’. Sta qui racchiuso il dubbio di Giovanni, il suo interrogarsi sul messia. La venuta di Gesù non sta compiendo un rivolgimento della storia: non è un messia che realizza quel giudizio che pure era elemento forte della predicazione del Battista. Anzi si presenta come presenza che non s’impone, non compie giudizi eclatanti e non manifesta minacce.

Gesù invita a guardare i suoi gesti. Nel suo agire c’è un annuncio da leggere. Lì si sta rendendo presente la promessa dei profeti: “andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la bella notizia”. Gesù nella sua vita è bella notizia per i poveri perché dice loro che Dio prende le loro parti. Non è portatore di castigo e giudizio ma vive la sua stessa vita nel segno del dono, della vicinanza, della tenerezza.

I suoi gesti sono segni di quel mondo rovesciato che Isaia aveva indicato. Dice infine: ‘beato colui che non si scandalizza di me’. Seguirlo è una sfida difficile. Disorienta chi sogna un messia secondo la misura del potere, dell’affermazione umana.

E’ necessario cambiare il punto di vista: solo chi vive in una situazione di povertà, può aprirsi a questa bella notizia. Gesù si presenta con il volto di chi si prende cura e accoglie attese di liberazione e vita. I suoi gesti sono i segni di un mondo nuovo già iniziato. Esso cresce là dove qualcuno li continua nonostante le smentite e le contraddizioni.

Possiamo tenere insieme nella nostra vita il sogno di Isaia e il dubbio di Giovanni. La domanda e l’inquietudine di Giovanni aiuta a vivere in profondità una domanda su Gesù, la sfida di una fede difficile incarnata nella storia. Il sogno di Isaia ci aiuta a guardare alla speranza fondata sulla promessa di Dio che illumina la vita.

Alessandro Cortesi op

 

DSCF0014.JPGAspettare con costanza

Mount Palomar è nome di un osservatorio astronomico in California negli Stati Uniti, dove è situato uno dei più grandi telescopi della terra, luogo di osservazione di uno spazio di stelle e pianeti lontani. Palomar è anche il nome che Italo Calvino ha dato al personaggio di un suo libro proprio pensando a quel luogo di osservazione.

Il signor Palomar desideroso di liberarsi dall’eccesso di parole vuote e senza senso del suo presente, cerca di farsi osservatore di cose minime e vicine, nel silenzio. Conduce così la sua osservazione con una attenzione meticolosa e precisa. “…il signor Palomar ha deciso che la sua principale attività sarà guardare le cose dal di fuori. Un po’ miope e distratto egli non sembra di solito rientrare per temperamento in quel tipo umano che viene di solito definito un osservatore. Eppure gli è sempre successo che certe cose – un muro di pietra, un guscio di conchiglia, una foglia, una teiera – gli si presentino come chiedendogli un’attenzione minuziosa e prolungata…”.

Un prato, l’onda del mare, il volo degli uccelli, un seno nudo, la luna, i cibi in vendita, una pantofola sono elementi di una osservazione minima e scrupolosa. Palomar guarda le cose vicine come se fossero lontane e le cose lontane come se fossero vicine.

Cerca di liberarsi da parole vane e astratte per ridare senso alle parole, passando per il silenzio, evitando le parole scontate: “Anche il silenzio può essere considerato un discorso, in quanto rifiuto dell’uso che altri fanno della parola; ma il senso di questo silenzio-discorso sta nelle sue interruzioni, cioè in ciò che di tanto in tanto si dice e che dà un senso a ciò che si tace”.

Ma nessuna cosa si lascia afferrare completamente e comprendere. Per vincere instabilità e incertezza Palomar cerca di affidarsi ad un metodo di osservazione e descrizione, ma si accorge quanto sia difficile una osservazione di tutto ciò che è attorno e si scontra con l’impossibilità di compiere il desiderio di afferrare e classificare. Pretende di controllare e comprender la realtà, ma si ritrova a non riuscirvi. Sperimenta il fallimento e un rapido sprofondare nella solitudine. Le cose più vicine e familiari gli divengono inconoscibili. Ogni cosa può essere scomposta e ricomposta ma non si giunge a conoscerla. Vive così inquietudine e ricerca perenne, rimettendo continuamente in discussione i risultati raggiunti. Giunge così a volgersi in direzione diversa verso l’interiorità. Matura la convinzione di non poter conoscere nulla di esterno scavalcando se stesso: l’universo si manifesta a lui come lo specchio in cui poter contemplare solo ciò che deriva da una conoscenza rivolta a se stessi.

“Palomar, non amandosi, ha sempre fatto in modo di non incontrarsi con se stesso faccia a faccia; è per questo che ha preferito rifugiarsi tra le galassie; ora capisce che è col trovare una pace interiore che doveva cominciare. L’universo forse può andare tranquillo per i fatti suoi; lui certamente no. La strada che gli resta aperta è questa: si dedicherà d’ora in poi alla conoscenza di se stesso, esplorerà la sua geografia interiore, traccerà i diagrammi dei moti del suo animo, ne trarrà formule e teoremi, punterà il suo telescopio sulle orbite tracciate dal corso della sua vita, anziché su quelle delle costellazioni”. Ma proprio nel momento in cui intraprende tale nuova direzione della sua osservazione e ricerca Palomar muore.

Così ebbe a dire o stesso Italo Calvino che in Palomar delineò un profilo del suo percorso personale e una riflessione sul percorso della società contemporanea “Rileggendo il tutto, m’accorgo che  la storia di Palomar si può riassumere in due frasi: Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato”.

“Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra”.

Alessandro Cortesi op

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