la parola cresceva

commenti alla Parola della domenica e riflessioni

Archivi per il mese di “agosto, 2023”

XXI domenica tempo ordinario – anno A – 2023

Is 22,19-23; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20

“gli porrò sulla spalla la chiave di Davide, se egli apre, nessuno chiuderà…”. Il profeta Isaia legge un evento avvenuto al tempo del re Ezechia: il re sostituisce un dignitario di corte che non era stato affidabile e ad un altro affida le chiavi: sono il simbolo di autorità e colui a cui sono affidate è chiamato a rendere conto e ad esercitare una funzione di responsabilità  con giustizia, ad essere custode del popolo: “sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda”.

Tale riferimento è ripreso nel vangelo di Matteo (16,19) nel dialogo tra Gesù e Pietro in cui Gesù affida a Pietro un compito nella comunità: “a te darò le chiavi del regno dei cieli… “.

Questo gesto è posto nel quadro del dialogo tra Gesù e i discepoli che al centro ha la domanda: ‘La gente chi dice che sia il figlio dell’uomo?’ È Simon Pietro a rispondere: ‘Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente’. Riconosce così che Gesù è messia e in lui vede un rapporto unico con il Padre. Pietro però deve riconoscere che tale sguardo è un dono che gli viene dall’alto, dovrà scoprire che il suo rapporto con Gesù non è frutto di sua capacità o potere, ma unicamente dono. E solo a questo punto Gesù affida a lui un compito in rapporto alla comunità: lo indica come roccia (Kefa) su cui la comunità è edificata. La base su cui vive la comunità di Gesù è il dono di vita e rivelazione del Padre, che apre a rimanere nella attesa e nell’abbandono a lui. È affidamento di una responsabilità.

Pietro dovrà anche comprendere che non è sufficiente conoscere qualcosa di Gesù: la domanda ‘voi chi dite che io sia?’ richiede di intraprendere un cammino. E’ invito a conoscere Gesù non nella definizione di una identità teorica, ma in un coinvolgimento della vita, nel seguirlo sulla via da lui percorsa. Pietro fatica ad accettare tutto questo, anzi si ribella. La sua idea di messia è quella di una figura che comanda e si impone con un potere. Gesù invece non è un messia che intende avere un dominio: la sua via è la fedeltà al Padre, la via del dono e della debolezza fino alla croce e per questo incontrerà la sofferenza e la morte. Qui si innesta la simbologia di legare e sciogliere. A Pietro non è affidato un potere da tenere come privilegio ma è chiamato a tenere vivo il senso di questo dono: dovrà custodire la consapevolezza del dono del Padre e seguire Gesù come suo testimone: e così dovrà fare la comunità insieme con lui.

Il vangelo di Matteo pone particolare attenzione alla comunità che segue Gesù e la indica come ‘convocazione’ / chiesa. Nella vita di questa comunità si dovrà ‘legare e sciogliere’. E’ questa la funzione di interpretare nelle diverse situazioni ciò che si deve tenere e ciò che si deve lasciare. E’ il faticoso percorso di discernimento e di scelta, che tutti coinvolge nella comunità insieme. Nella comunità sarà necessario continuare lo sforzo di accogliere la volontà di Dio interrogandosi nel cammino e cercando quale è la volontà di Dio in rapporto alla via seguita da Gesù.

Nel libro dell’Apocalisse nella sezione delle lettere alle chiese si legge: “All’angelo della chiesa di Filadelfia scrivi: Così parla il Santo, il Verace, colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre” (Ap 3,7-13). Il versetto di Isaia è richiamato in rapporto a Gesù Risorto. E’ lui il vivente che guida le comunità disperse con la sua parola. E’ il Messia Colui che ha la chiave di Davide ed è una chiave che apre percorsi di vita.

Alessandro Cortesi op

XX domenica tempo ordinario – anno A – 2023

Is 56,1.6-7; Rom 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28

“Gli stranieri che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore e per essere suoi servi, li condurrò sul mio monte santo…”

Lo sguardo del profeta si allarga ai popoli lontani: per essi ci sarà un posto nel monte del tempio, luogo dell’incontro con Dio. E il tempio stesso viene ad assumere il profilo di una casa per tutti, di preghiera per tutti i popoli. Nessuno può essere escluso dall’incontro con il Dio dell’alleanza.

Tale orizzonte di apertura universale è passaggio di crescita nel percorso della fede d’Israele: certo la fede del popolo è chiamata a guardarsi dall’esaurimento, dal cedere al grande peccato l’idolatria, dal venir meno alla fedeltà al Dio dell’esodo confondendosi con i culti degli stranieri, ma d’altra parte la presenza dello straniero nel popolo dell’alleanza è un segno importante. Ricorda che Dio ha rivolto lo sguardo a Israele nel suo essere  vittima e straniero in Egitto ed è sceso a liberarlo. Per questo dovrà mantenersi continuamente in cammino, non nella fissità di chi possiede la terra e si pone come dominatore, ma nella disponibilità di chi ricorda una salvezza ricevuta.

L’elezione non è privilegio da difendere, ma missione che apre. Per essere un segno tra i popoli e per favorire il cammino di pagani e stranieri verso un disegno di pace che si estende e coinvolge tutta l’umanità (cfr. Is 2).

Lo straniero ricorda anche che Dio è ‘altro’, è ‘straniero’ lui stesso. Il Dio straniero, diverso e non racchiudibile si fa vicino nei volti di chi chiede accoglienza e sperimenta la debolezza.

Anche Gesù, proprio nel territorio di Tiro e Sidone, regione dei pagani, incontra una donna straniera. E questa gli chiede un gesto di liberazione e guarigione. Ma Gesù risponde che è venuto solo per le pecore perdute d’Israele. La donna non si arrende e richiama l’immagine di una tavola in cui c’è da mangiare per tutti, per i figli, ed anche per i cagnolini che raccolgono le briciole che cadono. E questo termine ‘cagnolini’ racchiude allusione ai pagani detti ‘cani’ con disprezzo dagli ebrei che guardavano a loro con distanza. L’insistenza della donna, il suo richiamo, il suo rivolgersi a Gesù con fiducia conducono ad un cambiamento in Gesù stesso. In fondo quelle pecore perdute sono anche tutti coloro che cercano senso e salvezza come lo erano le folle incontrate nel suo camminare, pecore perdute e senza pastore (Mt 9,36). E Gesù si muove nella compassione che è il modo di agire di Dio. Si prende cura e ascolta il grido dei poveri. Riconosce nel volto della straniera, nel suo abbandono l’apertura fondamentale che orienta la vita all’Altro: la tua fede ti ha salvata.  

Gesù loda così la fede di una donna pagana, fuori dai recinti religiosi, che a lui si rivolge con fiducia e lo ha condotto ad un superamento di barriere di divisione e di esclusione.

La donna aveva colto la possibilità di un nutrimento di vita per tutti oltre le divisioni religiose e i privilegi: non chiede il pane dei figli ma si accontenta delle briciole per i cagnolini. Gesù vede in lei la testimone di una valicatrice di muri religiosi e culturali.

Gesù loda la fede di questa donna e la indica come una fede ‘davvero grande’. I percorsi della fede sono profondi e sono nascosti nelle profondità dei cuori. Viviamo un tempo di giudizi perentori e di condanne senza appello per le esistenze di chi chiede di superare le forme di esclusione e le mentalità religiose che discriminano e umiliano. In quelle voci, in quelle ricerche sta spesso nascosta una fede grande, sofferta, una fedeltà di chi attende un cambiamento anche nell’istituzione ecclesiale benché tutto concorra a spingerli lontano per altre strade. Il messaggio di questa domenica è un invito a scorgere i tesori della fede nascosti nelle profondità dei cuori, ad assumere lo stile della compassione di Gesù, al di sopra di ogni codificazione, a vivere l’accoglienza quale tratto rivelativo della fede nel Dio capace di accogliere senza riserve e senza condizioni e di dare sapzio ad ogni ricerca e attesa.  

E riprendo così quanto le parole scritte con mitezza e delicatezza da Antonio Autiero – così diverse nello stile da tante parole nutrite di violenza, di durezza, di condanna – dopo aver partecipato come amico ai recenti funerali di Michela Murgia: “La porta e la sua soglia (una volta Michela ed io abbiamo fatto una lectio accademica in dialogo su questo tema) mettono davanti alla sfida radicale di cosa se ne vuole fare di essa, barriera per impedire o area di accoglienza. Molti si sono sentiti accolti da Michela, leggendo i suoi scritti e ascoltando le sue parole, si sono visti aperta una porta davanti, su orizzonti di maggiore luce, per dare esito di compimento e non di disfatta al gemito nel quale si sentivano avvolti.

L’intreccio tra religioso e politico che Michela ha voluto fosse espresso con il suo funerale era ed è in realtà un’istanza centrale del suo modo di stare al mondo ad occhi aperti, di abitarlo con responsabilità e cura, di trasformarlo con volontà tenace e non da sola. Per esprimere così la profondità del suo essere credente, la radicalità del suo essere cittadina. Vedendo a fondo l’intreccio, ella ha saputo esprimere l’indignazione sia per quelle visioni religiose che avevano scelto, legittimato e incrementato le vie dell’esclusione, sia per quegli abbozzi distorti di progetti e di programmi politici che dell’esclusione e dei privilegi fanno la base di raccolta per pescare nel bacino dei consensi. (…) La sua traiettoria dalla teologia alla politica passava attraverso l’esperienza narrativa, fatta di volontà di comunicazione, letteraria e oltre. Così come il suo afflato politico le metteva sott’occhio il vissuto scabroso di quella parte di umanità dolente, esclusa, marginalizzata e le faceva trovare il linguaggio dei diritti da difendere e per cui battersi, come riflesso di quella luce, pathos di quel gemito e coscienza di quella porta, di cui lei, attraverso i testi biblici al suo funerale ancora avrebbe voluto parlarci” (A. Autiero, Le due voci del cuore di Murgia. Politica e religione  per un unico sogno, “La Stampa” 15 agosto 2023).

Alessandro Cortesi op

Assunzione di Maria – anno A – 2023

Ap 12,1-10; Lc 1,39-56

Due pensieri possono essere di aiuto e guida in questa festa dell’Assunzione. Vorrei leggerla come festa che conduce a riproporre orizzonti ecumenici – che significa scorgere ciò che costruisce la casa comune di una convivenza oltre i confini –  in un tempo di lacerazioni e di ripiegamenti identitari.

Il grande segno della ‘donna vestita di sole’ è quello che l’autore della Apocalisse lascia alla comunità interpretare. Ed è un segno tutto orientato a far scorgere nel profilo di questa donna non un riferimento individuale ma la vicenda del popolo di Dio. E’ un popolo che tiene insieme il cammino del popolo della alleanza, del deserto, delle dodici tribù, ed insieme quello dei credenti provenienti in Cristo. La donna è incinta e sta per partorire. In questo simbolo è racchiusa la fecondità e la presenza di una vita nuova che sorge da tale realtà colletiva di un popolo che ascolta la chiamata di Dio: è un figlio ed è anche insieme il frutto di un parto di vita in molteplici forme. Ma proprio a questo punto appare un altro segno, un drago rosso: è segno di tutto ciò che si oppone a tale fecondità, a questo dare vita e tutto divora nella sua insaziabile avidità. E’ una forza di male legata ai centri del dominio e del potere, le teste con diademi, che attua la distruzione che il dominio e la violenza recano con sé – è il cinismo del potere che usa la legge per respingere i derelitti, è la arroganza dei poteri che alimentano la violenza e la guerra – E la donna “partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro” (12,5). L’autore offre un elemento per interpretare il segno. Riprendendo il salmo 2  in cui si parla del re che con scettro di ferro domina tutte le genti  (Sal 2,9) che dalla prima comunità cristiana è letto come indicazione di Gesù messia, l’allusione va appunto a Gesù messia che nasce dal popolo-chiesa. Ma è anche rinvio a tutto ciò che in rapporto a Gesù, alla gratuità del suo amore, il popolo-chiesa opererà nel senso di vita nuova e di fecondità creativa nella storia. L’autore di Apocalisse vede a questo punto un repentino passaggio: “e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio.” (12,5-6). E’ il deserto il luogo in cui camminare senza sostegni e lontano dai poteri del mondo. In questa condizione la donna–popolo, nel deserto, scoprirà che tutto ciò che esprime come frutto di bene e di testimonianza non va perduto.  Nel deserto Dio non lascerà senza nutrimento e sostegno il suo popolo. La ‘donna’ è simbolo di una realtà collettiva, del popolo di Dio che va formandosi nella storia, laddove si lascia spazio alla fecondità dell’amore.

La pagina del vangelo presenta l’incontro di due donne sulla soglia di una casa. E quest’incontro fatto di accoglienza, di premura e di apertura sincera al saluto e all’ospitalità apre ad una discesa dello Spirito. “Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta…”. Nella ordinarietà di un incontro in cui l’alzarsi di Maria inizia un cammino di attenzione e servizio e la generosità di Elisabetta apre quella casa all’ospitalità, lì scende lo Spirito, lì trova sorgente una corrente di benedizione. Tutto nasce da un cammino e tutto ha inizio da un incontro. Le parole di Maria nel suo canto, danno voce al senso di questo momento: “Dio ha guardato alla bassezza della sua serva…”. Le sofferenze dei poveri che non hanno attenzione e accoglienza, gli incontri vissuti nella cura per l’altro, i gesti di soccorso e di cura sono luoghi di una storia nuova, non racchiudibile in codici e formulazioni di dottrine. E’ la storia della famiglia-popolo di Dio aperta ad ogni cammino umano che si pone in strada pensando agli altri e oltrepassa ogni confine. Ed è la storia di incontri sulla soglia, di porte aperte e di soccorso prestato: in questi incontri si attua una discesa dello Spirito, pentecoste che si compie sulle soglie e nella quotidianità.

Alessandro Cortesi op         

XIX domenica tempo ordinario anno A – 2023

1Re 19,9.11-13; Rom 9,1-5; Mt 14,22-33

La narrazione dell’esperienza di Elia sul monte, della sua desolazione e dell’incontro inatteso con Dio che si fa sentire nel silenzio è una tra le pagine più intense del Primo Testamento. “… il Signore passò davanti a lui” ma il Signore non passa né nel terremoto, né nel fuoco, né nel fragore di un vento impetuoso.  La presenza di Dio si fa vicina nella voce di un impalpabile silenzio che non lascia spazio ad alcuna pretesa di possedere Dio, di pronunciarne il nome o di farne un idolo.

Elia si copre il volto con il mantello e con questo gesto dice l’esperienza del suo stare davanti al volto di Dio. Aveva vissuto la sua testimonianza, si era scontrato con i profeti di Baal, si era attirato l’ira del re preoccupato di avere una religione a servizio dei suoi interessi. In una condizione di solitudine e di desolazione vive la sconvolgente esperienza del farsi vicino di Dio: la ‘voce di un leggero silenzio’ giunge ad Elia nel deserto aprendo il suo cuore ad una promessa di futuro e con l’invito a riprendere il cammino.

Dio non si fa incontrare in eventi sconvolgenti, ma in punta di piedi si avvicina nel momento del deserto, sul monte. Non è là dove si pensa che egli sia, ma si comunica a noi silenziosamente in modo nascosto, rivolge la sua chiamata in modo discreto, non segue le logiche del clamore o dell’entusiasmo religioso. Questa pagina racchiude certamente una critica ad una religiosità che confonde Dio con gli elementi della natura per dire che Dio è il totalmente altrimenti, ma è anche e soprattutto una grande proposta di una fede liberata dalla pretesa di possedere Dio stesso. La sua presenza è come soffio, il suo nome è silenzio che rinvia ad un cammino, ad una ricerca ad un futuro da accogliere. Elia scopre che il Dio che lo chiama è un Dio nascosto, i suoi pensieri non corrispondono ai pensieri di grandezza e di potenza umani. La sua promessa apre ad un ‘oltre’ e ad un ‘altrove’. Elia deve convertirsi ad un nuovo volto di Dio che lo costringe ad una sempre nuova conversione, a  riprendere il cammino che lo porterà ad incontrare in modo nuovo gli altri.

Nella pagine vangelo Gesù dice: ‘Coraggio, sono io, non abbiate paura’. Afferra Pietro e lo richiama: ‘perché hai dubitato?’

Sulla barca di fronte alle forza del male simboleggiate dallo sconvolgimento del mare, la paura è vinta da una parola di Gesù parola che è promessa di presenza e vicinanza. La sua parola vince le onde e rinvia ai prodigi dell’esodo quando Dio fece passare a Israele il mare (Es 15,8.16). Al mare, simbolo delle forze della morte, dice ‘Taci, calmati’. Nella risurrezione ha sconfitto il buio del male, ed ha portato la pace. Invita i suoi ad avere fede che è abbandono in un incontro: è la fiducia di essere tra le mani del Padre buono, che ha cura di noi, ci libera da ogni male e ci rende responsabili di liberazione per gli altri.
Alessandro Cortesi op

Trasfigurazione del Signore – anno A – 2023

Dan 7,9-10.13-14; 2Pt 1,16-19; Mt 17,1-9

Sei giorni dopo… così inizia Matteo il suo racconto della trasfigurazione. E’ una notazione marginale, quasi trascurabile, ma racchiude un essenziale riferimento per comprendere l’intera pagina e la sua narrazione di un’esperienza decisiva di incontro con Gesù.

Il rinvio a sei giorni prima è da collegare infatti al momento in cui Gesù aveva posto ai suoi una domanda che li coinvolgeva direttamente: Voi chi dite che io sia?

E quella domanda aveva ricevuto la risposta di Pietro “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Ma a queste parole Gesù aveva reagito notando che dire questo non è affermazione proveniente da capacità umane ma da una rivelazione del Padre. Non solo ma Gesù aveva indicato che il suo essere messia (Figlio del Dio vivente) si poteva cogliere solo nel suo cammino “doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto…e venire ucciso e resuscitare il terzo giorno”. E tutto ciò era per Pietro motivo di scandalo e di incomprensione. E Gesù chiamava chi lo seguiva a concepire il proprio cammino sui suoi passi, condividendo la sua via, nella linea del dono, del servizio. Erano chiamati a seguire non una promessa di affermazione e di potenza, non di guadagni e di comodità indifferente, ma il volto del messia povero che condivideva la vicenda delle vittime e dei poveri della storia.

E sul monte sei giorni dopo, ricorda Matteo, Gesù si fece incontrare  avvolto di luce: il volto brillava in quel momento in cui vicino a Gesù c’erano i tre Pietro Giacomo e Giovanni: i medesimi tre che saranno accanto a lui nel momento più buio, delle tenebre e del disorientamento di fronte alla morte, nell’orto degli ulivi quando Gesù venne arrestato per essere condotto al processo e alla condanna.

Quel momento di luce  si fissò nel ricordo dei discepoli a divenire momento di rivelazione: il volto del messia che stava andando verso Gerusalemme è volto di luce. Essi sono accompagnati a scorgere sul volto del servo sofferente che percorre la via della croce i tratti del Figlio amatissimo, di colui che rivela le profondità dell’amore del Padre. Ed anche i discepoli sono partecipi di quella luce, desiderosi di fermarsi là, di trattenerla: …facciamo tre tende. Ma quel momento non può essere trattenuto: il cammino continua e ai discepoli, a conclusione della narrazione è data un’indicazione essenziale per sostenere il cammino anche nei giorni bui, anche nel momento in cui la luce sembra sparita: ‘Ascoltatelo’. “Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo»”. L’ascolto è l’orizzonte in cui rimanere per accogliere la via di Gesù e per percorrerla, anche quando prevale il buio e non c’è la luminosità del monte ad aprire lo sguardo.

E nella lettera di Pietro compare quasi un’eco di quell’esperienza, e l’indicazione di cammino per una comunità che cerca ogni giorno di seguire il suo Signore:

«Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino”  

C’è una attesa da coltivare, una attesa di luce ma quello squarcio di luce che è stata esperienza dei discepoli è forza nel cammino e ci chiede di rimanere nell’ascolto e nell’accoglienza del suo amore.

Alessandro Cortesi op

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