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commenti alla Parola della domenica e riflessioni

Archivi per il mese di “aprile, 2024”

V domenica di Pasqua – anno B 2024

At 9,26-31; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

L’immagine della vigna è familiare ad Israele ed alla Bibbia; l’ulivo con la vite è parte del panorama mediterraneo.

La vigna ritorna tante volte nei testi biblici: è segno del popolo d’Israele che Dio guarda con cura appassionata. E’ segno di promessa e benevolenza. D’altro lato parla di infedeltà, di dimenticanza e di durezza di cuore.

Anche nel IV vangelo la vite è immagine ripresa nei discorsi dell’ultima cena: attorno ad essa è tessuto il secondo discorso di addio di Gesù ai capp. 15 e 16, che succede in modo un po’ problematico al primo discorso che occupa i capp. 13 e 14 perché questo termina con le parole: ‘Alzatevi, andiamo via di qui’ (Gv 14,31). Il riferimento alla vite si può accostare alla benedizione  sul vino, uno dei momenti del rito della pasqua ebraica. In tale contesto il richiamo alla vigna con le sue valenze di dolcezza e cura ma anche di drammatica infedeltà e giudizio, è ripresa. Gesù dice: ‘Io sono la vera vite’ e la vite diventa uno degli elementi che compare in una di queste formule ‘Io sono’ che il IV vangelo usa per indicare l’identità di Gesù.

La vite passa da essere rinvio ad Israele ad indicare la presenza stessa di Gesù: la vera vite è lui. Nella metafora si può cogliere la sua vicenda personale ma anche la dimensione comunitaria, la comunicazione di vita che da lui proviene. In lui si compie la cura e la fedeltà colma di affetto del Padre che la vite come simbolo racchiudeva. Ancora è lui che porta quei frutti che il Padre si attendeva: frutti di misericordia. Sono giunti allora in lui i tempi ultimi.

Ma nelle parole di Gesù questa identificazione della vite con la sua persona si apre anche ad un altro aspetto: in lui si compie una comunicazione nuova, una comunione di vita. Tutti coloro che a lui sono uniti e traggono la linfa che da lui proviene sono colore che credono nel suo nome: sono tralci viventi della sua stessa vita e potranno portare frutto in questo legame.

‘Rimanete in me’ è l’invito ripetuto più volte in questa pagina: all’inizio del IV vangelo alla domanda di Gesù ‘Che cosa cercate?’ i discepoli lo seguirono e ‘rimasero’ presso di lui lui (Gv 1,39). Il verbo ‘rimanere’ dice una familiarità di vita, un legame di amicizia, una intimità di condivisione. L’offerta di amicizia di Gesù ai suoi genera una reciprocità: i tralci rimangono nella vite ma è anche Gesù che rimane nei suoi e sta qui la possibilità di portare frutto.

L’essere discepoli di Cristo si attua nei frutti che esprimono lo stile della sua presenza e il senso della sua vita. Gli stessi tralci non vivono da soli, distaccati gli uni dagli altri, ma insieme: Gesù propone ai suoi un ‘rimanere’ che implica accogliere e vivere come comunità. Motivazione e forza dello stare insieme sta nella forza di vita che da lui proviene. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.

Alessandro Cortesi op

Un seminario su scienze religiose e insegnamento

Segnalo per chi fosse interessato

COMUNICATO STAMPA

Si terrà il venerdì 10 maggio pv dalle ore 15 alle 19 presso la sede Istituto Superiore Scienze Religiose della Toscana in piazza Tasso 1/A Firenze il seminario dal titolo “Ripensare gli Istituti Superiori di Scienze Religiose: per uno statuto accademico”. L’evento è promosso dalla rivista Egeria e dal Centro Espaces Giorgio La Pira di Pistoia e sorge da un’esigenza dell’attuale momento in cui sono in discussione nuovi orientamenti riguardanti la struttura degli ISSR.

Occasione immediata della riflessione è la pubblicazione del libro di Lino Prenna, già ordinario di pedagogia generale all’Università di Perugia  ‘Dio fece tre anelli’ che accosta una riflessione sullo statuto disciplinare delle scienze religiose e degli ISSR ad una proposta concreta sull’insegnamento delle religioni nella scuola italiana.

Il seminario si articola in due momenti: un primo momento sarà dedicato alla configurazione disciplinare degli Istituti Superiori per l’insegnamento scienze religiose. Con un profilo non assimilabile né alle scuole di teologia per laici né ai dipartimenti di filosofia o storia delle religioni, essi si connotano per uno statuto particolare che richiede di essere approfondito al fine di evidenziarne le aree proprie di ricerca, di didattica, di metodologia.

Un secondo momento intende approfondire la questione connessa dell’insegnamento della religione o delle religioni nella scuola: l’attuale configurazione dell’Insegnamento della Religione Cattolica nella scuola italiana ha radici nell’Accordo di revisione del Concordato lateranense tra Stato e Chiesa ma la situazione culturale del Paese vede trasformazioni rilevanti oggi da considerare anche per rispondere in modi nuovi ad esigenze di preparazione culturale nel contesto attuale e di formazione.

Per questo il seminario intende offrire sia un ascolto delle domande che provengono dai docenti di religione e affrontare i temi relativi al profilo degli insegnanti e alla loro formazione. Interverrà al seminario anche mons. Daniele Gianotti, vescovo di Crema e presidente del comitato della Conferenza Episcopale Italiana per gli studi superiori di teologia e scienze religiose.

Il seminario vedrà la partecipazione di docenti e studenti dell’ISSR della Toscana e della redazione della rivista Egeria Rivista di scienze religiose, espressione della ricerca dell’ISSR Toscana. Sarà possibile seguire a distanza l’evento inviando previamente richiesta di iscrizione a: info@bibliotecadeidomenicani.it.

In allegato si invia la locandina del seminario.

IV domenica di Pasqua – anno B – 2024

At 4,8-12; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18

Gesù nel IV vangelo si presenta con l’immagine del buon pastore. E’ pastore preoccupato soprattutto che le sue pecore possano avere vita e per questo offre la sua stessa vita facendone dono per gli altri. Il riferimento va alla figura del servo di YHWH del Terzo Isaia: ‘non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto…si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori…” (Is 53,3-7). Si tratta del profilo di un condannato e sfigurato. E’ volto che si contrappone al volto di Gesù, ‘pastore bello’: la bellezza che comunica sta nell’orientamento della sua vita come dono: è la bellezza del gratuito, della novità di chi si consegna e si spende. Il pastore indicato nel IV vangelo porta infatti i tratti sconcertanti della figura del servo che dà la sua vita per tutti. Ed è contrapposto al mercenario, centrato su di un profitto da guadagnare, ripiegato sul proprio tornaconto. Il primo grande messaggio di questa pagina riguarda l’identità di Gesù come pastore che ha fatto della sua vita un dono in relazione con una comunità che raccoglie attorno a sé.

Un secondo messaggio è relativo al ‘conoscere’: il pastore ‘conosce’ le sue pecore, anzi si attua una conoscenza reciproca: ‘conoscere’ indica un coinvolgimento dell’esistenza e la reciprocità propria dell’amore. Non solo il pastore conosce ma anche le pecore conoscono. L’incontro con Gesù apre ad un incontro più grande che è quello tra il Figlio e il Padre: ‘come il Padre conosce me e io conosco il Padre’. Il dono di Gesù nel rapporto con i suoi è comunicazione di amicizia che coinvolge in una storia di relazione: ‘Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamati amici’. La conoscenza tra il Figlio e il Padre è relazione di dono e di accoglienza, reciprocità di vita; così il ‘conoscere’ che lega Gesù a noi è dono di incontro e diventa uno stare in lui. Da questo condividere la sua vita stessa matura una vita orientata a continuare le scelte che sono state le sue.

C’è un terzo messaggio da cogliere. Gesù è pastore che non chiude e pensa agli altri come nemici ma guarda oltre i confini: “ho altre pecore che non di quest’ovile”. Il raduno che Gesù attua supera le barriere di separazione: il suo sguardo raggiunge altre pecore di altri ovili. Il suo dono genera la possibilità di un incontro nuovo tra diversi e lontani. Ma soprattutto la sua cura tende a superare le barriere che dividono gli ovili e si rivolge ad un incontro dove sia possibile la condivisione nella diversità. In Gesù questa larghezza di orizzonti deriva dalla sua libertà: è l’attitudine di chi non pensa la sua vita come privilegio da difendere ma come dono: ‘io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo’.

La bellezza del pastore si rende visibile nella gratuità e nella libertà con cui offre la sua vita e rende così possibile un percorso di incontro e comunione, di reciprocità nell’amore.

Alessandro Cortesi op

In memoria di don Tonino Bello (18 marzo 1935- 20 aprile 1993)

Da un’intervista a don Tonino Bello al ritorno dalla marcia di Sarajevo – dicembre 1992)

“Abbiamo voluto dimostrare al mondo, all’Europa, all’Italia che ci sono segni alternativi alla violenza, si può trattare, si può entrare dove avvengono le guerre anche disarmati. Noi non abbiamo portato nulla né doni né armi. E chi ci voleva bloccare non era la gente che subisce la guerra ma i potenti che la manovrano, quelli che vogliono far credere che la guerra è inevitabile. Certo il nostro è stato davvero un gesto folle. Come è folle la pace, del resto. Al di fuori, cioè, del buon senso. Anche l’amore è aldilà del buon senso, della prudenza, dei reticoli delle nostre saggezze carnali.
Comunque, al di là di questa lucida follia (per i rischi e i pericoli che comportava), siamo felici di aver dato con questa spedizione dei segnali profetici all’Italia e all’Europa. La trattativa è possibile. La guerra è ormai incapace di risolvere i conflitti. Il bisogno di pace sta diventando endemico; la gente non vuol sentirne parlare di violenza armata. Ci è parso poi di aver fatto le prove generali di quelli che saranno eserciti di domani. Pensate al tempo in cui l’ONU si attrezzerà di un esercito di 300-400 mila obiettori di coscienza, esperti di strategie non violente, tecnici della difesa popolare nonviolenta…
Si risolveranno così i conflitti: con strategie preventive e con interventi riparatori nonviolenti! Questo è il futuro che ci aspetta. Questa è la profezia nuova che dobbiamo annunciare”

Nuova pubblicazione: Dante a veglia

E’ appena uscito per i tipi della casa editrice Nerbini di Firenze il volume ‘Dante a veglia’. Il volume contiene contributi di studio di: Francesco Bargellini, Mario Biagioni, Stefano Bindi, Giovanni Capecchi, Alessandro Cortesi, Laura Diafani, Giampaolo Francesconi, Roberta Gentile, Giovanna Frosini

Chi è interessato può fare richiesta a: info@bibliotecadeidomenicani.it.

Qui si può scaricare l’introduzione

e l’indice del volume

III domenica di Pasqua – anno B – 2024

At 3,13-15.17-19; 1Gv 2,1-5a; Lc 24,35-48

Gli Atti degli Apostoli presentano alcuni tratti fondamentali della prima predicazione su Gesù che al centro vede la testimonianza della sua morte e risurrezione. Pietro, prendendo la parola a Gerusalemme contrappone l’agire degli uomini con la loro violenza all’azione potente di Dio che non ha lasciato Gesù nell’oscurità della morte ma lo ha ‘rialzato’: a Lui Gesù ha affidato tutta la sua vita chiamandolo Abbà: è lui che lo ha risuscitato dai morti.

La prima comunità ha vissuto l’incontro nuovo con Gesù, il crocifisso, dopo i giorni della passione nel suo farsi loro incontro. Il medesimo di prima, ma vivente in modo nuovo. Gesù non è tornato alla vita di prima. La sua risurrezione è evento non richiudibile nella storia, ma è irruzione dell’ultimo. E’ assolutamente nuovo e non dicibile perché evento escatologico. La presenza del Risorto chiede di essere riconosciuta con uno sguardo nuovo, nella fede. Pietro annuncia a Gerusalemme che con il suo intervento il Padre ha portato a compimento ‘ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il Cristo sarebbe morto’. Luca insiste in tutta la sua opera, sul fatto che la passione di Cristo è stata predetta dai profeti (cfr. Lc 9,22; 18,31, 22,22; 24,7; At 2,23; 3,18; 4,28). Non si tratta del compimento di una previsione; piuttosto è  coerenza letta nella luce della Pasqua, tra l’agire di Dio nella storia di salvezza e la vicenda di Gesù di Nazaret. La sofferenza, la passione e la morte di Cristo sono così viste come adempimento del farsi vicino di Dio all’umanità per vie che sono altre dalle nostre vie. Cristo compie le Scritture perché vive l’inermità, il servizio, la condivisione della vita dei disprezzati. Per la prima comunità poteva presentarsi il rischio, dopo la Pasqua, di dimenticare che Gesù aveva scelto di condividere la condizione delle vittime. Nel suo vangelo Luca è attento a tutto ciò narrando il percorso di Gesù verso Gerusalemme dove incontrò rifiuto e condanna. La risurrezione è evento in cui il Padre conferma che quella via è la via della vita e della risurrezione. Il Padre ha glorificato il torturato e disprezzato della croce: la sua gloria è l’altro versante del suo dono e della fedeltà al suo progetto.

Luca presenta l’apparire il Risorto a Gerusalemme, dove gli undici e gli altri con loro sono condotti ad aprirsi ad un incontro nuovo con Gesù. Insiste sul fatto che il Risorto è il medesimo del crocifisso e la sua presenza è viva e reale. Preoccupato di contrastare interpretazioni puramente spiritualistiche – forse presenti anche nella sua comunità – proprie di una mentalità che disprezzava il corpo, Luca contrasta l’idea che la risurrezione sia identificabile con una sorta di immortalità dell’anima. La risurrezione investe tutte le dimensioni della persona di Gesù: ‘Sono proprio io’ dice ai suoi.

E’ possibile un incontro reale con Gesù ed essere coinvolti nella sua vita di Risorto in una condizione nuova percepibile nella fede. Nel gesto di mangiare insieme si rende vicina la sua presenza: Gesù che aveva condiviso la tavola con i suoi ora si dà ad incontrare in modo nuovo inatteso, e comunica che la sua vita coinvolge tutte le dimensioni della vita umana. Richiede da loro uno sguardo di affidamento nel percorso di fede. Così Gesù in mezzo ai suoi apre all’intelligenza delle Scritture: proprio il ritornare alle Scritture è itinerario per scoprire il disegno di fedeltà di Dio nella storia ed è luogo in cui incontrare il Risorto. Il saluto della pace racchiude anche una missione. Nell’esperienza di condividere il pane, di ascoltare delle Scritture, di tessere pace il Risorto si dà ad incontrare e suscita il cammino della testimonianza.

Alessandro Cortesi op

II domenica di Pasqua – anno B – 2024

At 4,32-35; 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31

Lo spirito e la pace sono i doni del Cristo risorto.

Negli Atti degli apostoli la vita della prima comunità è descritta, con sottolineatura della condivisione: la fede in Gesù risorto genera una vita di fraternità. Segni ne sono la condivisione dei beni ed una comunanza che parla da sè e attrae: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo ed un’anima sola”. La vita di questa comunità trova suo centro nella risurrezione di Gesù: “Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù”. La fede nel Signore risorto genera innanzitutto comunione in lui e con gli altri.

Al cuore del vangelo sta una beatitudine rivolta a coloro che, senza vedere, crederanno: “Beati quelli che, pur non avendo visto crederanno”. Il IV vangelo è particolarmente attento a tratteggiare gli itinerari del credere. Tommaso vive la fatica e il dubbio e la sua esperienza diviene simbolo del percorso di ogni discepolo. Il suo cammino è passare da una fede intesa come verifica di evidenze, appoggiata sui segni e sul vedere, ad un credere che si affida alla testimonianza.

Gesù incontrato dai suoi come colui che si pone in mezzo reca due doni: la pace e lo Spirito. E’ il medesimo Gesù  incontrato prima della Pasqua, colui che ha vissuto la sofferenza e la morte. Non è un altro: la gloria della risurrezione è incomprensibile se slegata dalla passione e morte di Gesù che si è chinato a lavare i piedi. Per questo Gesù risorto mostra ai suoi le mani e il costato. E’ proprio lui, il medesimo. Nella risurrezione reca le ferite della passione. Così risponde all’esigenza di Tommaso ma fa cogliere l’identità e la continuità tra la sua esperienza prima della Pasqua e la sua vita nella condizione di risorto. La sua presenza ora non è più come quella di prima: chiede di essere incontrato nella fede, genera una gioia profonda nel cuore: l’incontro con lui sarà vissuto nell’accogliere la missione che egli affida e nel vivere i doni dello Spirito e della pace.

Gesù è quindi il medesimo che ha percorso le strade della Palestina, incontrando i suoi e annunciando il regno di Dio. E’ morto sulla croce. La sua presenza si rende ora vicina in modo nuovo: è il Risorto, che fa entrare i suoi in una nuova comunione con lui.

Ai suoi offre il dono dello Spirito: come sul primo uomo Adamo Dio aveva alitato un soffio di vita (Gn 2,7) così ora Gesù soffia sugli apostoli comunicando lo Spirito: una nuova creazione ha inizio: sulla croce l’ultimo respiro di Gesù era stato una consegna del suo spirito (Gv 19,30).

Lo Spirito è donato con la missione di continuare l’opera di Gesù del perdono: “Come il Padre ha mandato me così anch’io mando voi”: l’invio degli apostoli ha le sue radici nella missione del Figlio da parte del Padre. La missione del Padre che genera l’invio e manda gli apostoli ad essere continuatori dell’opera di salvezza di Cristo.

A conclusione sta un riassunto del vangelo: “Molti altri segni fece Gesù in presenza  dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.

Credere è cammino, credere è esperienza di incontro e ogni percorso del credere conduce a condividere una vita donata. Accogliere e trasmettere i doni della pace e dello Spirito è per i credenti è partecipare alla risurrezione e farsene responsabili nella storia.

Alessandro Cortesi op

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