Un pensiero di buon Natale…
“In molti Paesi di destinazione si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio. Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano (…)
Abbiamo bisogno di rivolgere anche sulla città in cui viviamo questo sguardo contemplativo, «ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze […] promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia», in altre parole realizzando la promessa della pace.”
(Francesco, Messaggio per la giornata della pace – 1 gennaio 2018)
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Pieter Bruegel, Censimento di Betlemme – Museo Reale delle Belle Arti Bruxelles
Se non fosse per il titolo – il censimento di Betlemme – a nessuno che guardi questo dipinto verrebbe da pensare che Pieter Bruegel il vecchio in questa tavola a olio abbia inteso rappresentare il viaggio di Maria e Giuseppe da Nazareth a Betlemme, la città di Giuda, per farsi registrare.
Il dipinto respira un’aria che non ha nulla della rappresentazione sacra, non evoca atmosfere religiose, né cerca di ricostruire il mondo palestinese della nascita di Gesù. E’ piuttosto un scena che immerge nel clima delle terre del Nord alla metà del ‘500, segnate da inverni pesanti, da freddo, neve, gelo, ed anche dal lavoro, dalla fatica, dalla povertà di cose di ogni giorno.
Bruegel conosceva la vita dei contadini nelle vaste pianure tra Bruxelles e Anversa, i suoi ricordi gli avevano fatto imprimere nella mente le strutture di case e villaggi, parte di una natura che nell’inverno manifestava il suo aspetto spoglio, indurito dal ghiaccio e imbiancato dalla neve.
Forse non a caso sceglie il momento del censimento quale tema del suo dipinto: in esso in qualche modo scorge il senso del Natale. E lo legge non come evento lontano e romantico, ma quale presenza nascosta, segno da individuare nella trama quotidiana della vita dei poveri, nascosto tra le pieghe della vita, nei suoi aspetti quotidiani, di peso e sofferenza.
Del censimento parla il vangelo di Luca: è una decisione dell’imperatore, il dominatore del mondo che intende contare le popolazioni delle sue terre. Convocare tutti ad essere contati è un modo per verificare misure ed estensione del proprio dominio e per aumentare le entrate delle tasse. Non solo. E’ anche un modo per dire che la vita di ogni persona sottostà ad un potere da cui dipende e da cui è controllata in tutto. Così il farsi registrare è gesto di sottomissione ad un comando che ricorda dipendenza e sudditanza, nel rapporto tra i piccoli e i grandi della terra, tra i servi e i padroni.
Anche Maria e Giuseppe si misero in viaggio per farsi registrare… Così riporta Luca nel suo vangelo. Anche Luca in qualche modo è pittore. Sapeva dipingere con il suo scrivere. Nelle pennellate di questa pagina Luca compone un dittico: da un lato la decisione dell’imperatore – che era chiamato signore e salvatore – e la sua pretesa di dominare tutta la terra, in una articolazione del potere che giungeva a controllare le persone più umili fino alle periferie dell’impero. Dall’altro la storia di una famiglia come tante, sorpresa nel quotidiano dell’esistenza, nel momento di una gravidanza avanzata, costretta a mettersi in viaggio, ad affrontare i pericoli del cammino per farsi registrare, per andare a Betlemme il paese di origine. Una storia piccola contrapposta alla grande storia, una vicenda trascurabile e inosservata agli occhi di chi vede solo le vicende degli imperi e dei grandi del mondo. L’imbrunire di un giorno senza data e i calendari segnati nei libri. In questa piccola storia tuttavia la povertà e piccolezza di un piccolo segno sta al centro e custodisce una preziosità unica. E’ visibile solamente a coloro che vivono ai margini dei regni e della vita, a coloro che si lasciano illuminare da voci di messaggeri inaspettati e si lasciano mettere in cammino.
E Luca parla così di un bambino che prima ancora del suo nascere ha vissuto come migrante, è stato portato in viaggio, affrontando intemperie e precarietà, quando ancora era nella pancia di Maria. E lei e Giuseppe hanno subito il rifiuto di essere ospitati alla locanda, dove erano giunti. Perché non c’era posto per loro nell’alloggio… Ma quel bambino era autentico salvatore, senso della vita e speranza per tutti, nelle fasce del suo morire e risorgere…
Luca scorge nella vita di questi piccoli, Maria, Giuseppe, il loro bambino, un segno di grande luce che sconvolge la grande storia, la contesta e la rovescia: ha rovesciato i potenti dai troni…
Pieter Bruegel è pittore olandese, sensibile alla vita dei villaggi e delle stagioni di terre del Nord, i cui inverni sono segnati dal gelo e dalla neve. Forse leggendo la pagina di Luca ha pensato al freddo di quell’inverno del 1566 in cui iniziò a preparare la tavola ed i colori ad olio per il suo dipinto. E nel suo censimento riporta un racconto che parla del figlio di Dio riportandolo alle dimensioni del quotidiano dei figli degli uomini. L’atmosfera è quella di un tramonto, quando le temperature scendono repentine. Sullo sfondo il sole appare come una palla rossa che sta rapidamente calando all’orizzonte fino a nascondersi in fondo alla pianura, nel momento della giornata che lascia spazio al gelo. Il suo disco si scorge in lontananza rigato dai rami, completamente spogli, di un grande albero piantato davanti alla porta locanda, dove, alla base del suo tronco, si accalca una piccola folla intirizzita.
Mentre le nubi iniziano ad oscurare il cielo e voli di sparuti uccelli lo solcano velocemente, la vita di gente semplice vede il suo dipanarsi nello spazio di un paese imbiancato dalla neve. Un ghiaccio grigio e consistente copre il fiume e gli specchi d’acqua. Vicino alla locanda c’è chi trascina fuori i maiali per ammazzarli e provvedere ad un po’ di cibo. Nei pressi di carri in sosta alcune galline zampettano sul terreno gelato alla ricerca di qualche briciola da beccare, mentre da una grande botte coperta di neve un uomo sta spillando del vino. Uomini e donne sono piegati sul loro lavoro, chi con sacchi o fascine sulle spalle, chi con ramazze, chi cercando qualche verdura zappettando nell’orto gelato. L’intera scena rinvia ad attività quotidiane. E’ un’umanità dolente e in movimento, tra cui non manca la presenza dei piccoli: in lontananza si scorgono infatti profili di bambini che giocano sul ghiaccio. E verso il villaggio da diverse direzioni pellegrini e viaggiatori giungono con sulle spalle pesanti carichi sorreggendosi con bastoni. Avanzano a fatica sulla neve mentre le scarpe pesanti stridono sul ghiaccio. Nelle case del villaggio ancora non sono accese le luci, e i profili sono delineati dai tetti innevati. Il movimento degli uomini appare come un brulicare di formiche, talvolta in fila, talaltra in ordine sparso. Davanti ad alcune porte si affollano gruppi di persone infagottate in mantelli e con coperte sulle spalle o con i cappucci e berretti a coprire il capo. Sono tutti coloro che si sono spostati affrontando la fatica, convocati per il censimento. Ora fanno la fila davanti alla porta della locanda, che appare in primo piano, adulti e bambini, mentre qualcuno sulla soglia è fissato nel gesto di chi riceve un pagamento o legge liste di nomi. E forse un’altra locanda si intravede in fondo al villaggio alla cui porta si accalca una piccola ressa.
In questa scena di ordinarietà, di lavoro e di povertà, in cui il gelo dell’inverno tutto avvolge come un peso, al centro del dipinto si possono distinguere alcune figure di chi sta per giungere, dopo lungo peregrinare, alla porta della locanda. Un uomo piegato cammina recando sulle spalle un sacco e guidando con la mano un asino e un bue. Sull’asino è seduta una donna. S’intravede la sua cuffia bianca lasciata per un tratto scoperta e i tratti del volto. Il capo è contornato dalle falde di un ampio mantello che scende ampio a coprire anche l’asino che la porta. Al centro del censimento Bruegel tratteggia così i profili di Giuseppe e Maria, nel momento in cui stanno giungendo, a sera, alla locanda dopo il lungo viaggio. Come tanti contadini e abitanti dei villaggi che si mettono in fila, nel disordine e nel vociare provocato dalla presenza di molti, in attesa di un tetto caldo, di trovare luogo dove riposare, di avere un po’ di pane e qualcosa di caldo per scaldare le membra intirizzite dal gelo e dalla fatica.
Al cuore di questa scena è posto un segno di amore, quasi un fuoco nascosto, ma anche il segno di una solidarietà. E’ la tenerezza di una donna incinta che si difende dal freddo con una coperta sulle spalle ed è la resistenza di un uomo che guida gli animali. Così Bruegel scorge il venire di Gesù salvatore in mezzo all’umanità. E’ un venire che entra e attraversa il suo tempo, i paesaggi a lui familiari delle terre del Nord. Si confonde con la vita di poveri contadini e con la quotidianità di persone senza nome. Si fa vicino in chi compie un viaggio, nel peregrinare di poveri che si affollano alla locanda di un paese. E’ condivisione di un cammino e della fatica di tanti appesantiti dalla vita. Tutto attorno frattanto la vita quotidiana si svolge nei gesti ordinari, nelle cose di ogni giorno, in un contrasto tra il penoso fare del lavoro e la leggerezza del gioco, tra il correre dei bambini e il penoso avanzare dei vecchi. Il volto del Figlio di Dio ha i tratti umanissimi di un figlio di uomini, nascosto nel grembo di una donna in viaggio.
Partecipe di un cammino, è al cuore di una storia di amore che si dipana anche nei gesti di chi conduce gli animali e di una donna capace di coraggio e forte. Come tanti innumerevoli altri, costretto alle sofferenze e alle prove. Il censimento è atto di un potere che sovrasta, riduce a numero e impoverisce. Giuseppe e Maria recano i tratti di volti piegati, condotti dalla vita a spostarsi, a lasciare il loro paese, ad affrontare con un bambino in grembo, la fatica di un viaggio nella morsa del gelo. Sono ritratti prima di affrontare la coda alla locanda ove già si stanno accalcano tanti richiedenti, il parapiglia tra la folla e poi il rifiuto e l’allontanamento. Anch’essi respinti e tenuti lontani.
Una storia semplice che reca in sé l’annuncio e la promessa di un volto di Dio sconvolgente e diverso. Non abitante di cieli lontani ma vicino, umanissimo, che s’identifica con poveri paesani in viaggio. E forse Bruegel ponendo al centro della scena una coppia e gli animali suggerisce anche quel rovesciamento che Gesù è venuto a portare. Non il dominio dell’imperatore che ordina il censimento è la forza che regge il destino nella vita, ma quel mistero di amore racchiuso e custodito nella storia di quelle presenze, nel loro affetto, in un amore custodito, e dove anche gli animali, l’asino e il bue daranno il calore della cura, con il loro respiro, a colui che sta per nascere fuori dalla locanda perché per lui non c’era posto…
Ti sei lasciato portare
nel cammino
hai conosciuto la tenerezza
di donna innamorata
la fedeltà
di un uomo giusto
compagno che prende e sa portare
capace di accompagnare e
custodire
hai camminato e ancora
cammini
nascosto nella vita
dove c’è il coraggio di
un sì al Dio
che guarda ai piccoli
rovescia i potenti
e innalza gli umili
hai vissuto la tua esistenza
come viaggio
di chi chiede ospitalità
aperto a visitare
ed entri nel villaggio
come poi a Gerusalemme
cavalcando un asino
la tua presenza
è celata
nelle pieghe della vita
amore velato nei nostri amori
nel lavoro di poveri
nella fatica di chi è senza nome
agli occhi dei grandi
ma ha un volto unico
e un nome che mai
sarà dimenticato.
Apri i nostri occhi a scorgere
la visita
del Dio umanissimo
Buon Natale 2017
Alessandro
Domenica della Santa Famiglia – anno B – 2017
(pagina aggiornata il 30.XII.2017 – mi scuso per l’errore – ac)
Gen 15,1-6; 21,1-3; Ebr 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40
‘Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la legge di Mosè (Maria e Giuseppe) portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore… Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea alla loro città di Nazaret’.
In questo andare e tornare da Gerusalemme, in attenzione alle prescrizioni della legge, è descritto l’incontro nel tempio con il vecchio Simeone e con la profetessa Anna, due anziani presentati come persone in attesa e capaci di accogliere una profonda novità nella loro vita.
La fragilità di una vita appena nata, la freschezza di un bambino entra in una storia segnata dalla vecchiaia e la rinnova. Al centro di questo incontro la chiave per comprenderne il significato sta nelle parole del cantico di Simeone.
Queste sono richiamo ad antichi annunci del profeta Isaia: “Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà” (Is 40,15); “io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino alle estremità della terra” (Is 49,6); “i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria” (Is 62,2).
Sono memoria di una storia di attesa e di speranza. Simeone non indica qualcosa di futuro che deve venire, ma guarda al presente e si rivolge al bambino che tiene tra le braccia: l’attesa della salvezza ha ora un nome, è qualcuno, è quel bambino, avvolto in fasce, segno debole in cui si rende vicina la debolezza dell’amore di Dio entrata nella storia per cambiare e donare salvezza e speranza per tutti: ‘i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te per tutti i popoli…’
Maria e Giuseppe hanno portato a Gerusalemme il loro bambino per consegnarlo a Dio: sta qui il compimento autentico della legge, una consegna, una restituzione. E quel bambino è luce per Israele e per tutti i popoli. Simeone riconosce in quel volto il compiersi delle promesse sul Messia. Indica il percorso della vita di Gesù: la sua vita sarà sotto il segno della debolezza dell’amore, sarà un ‘segno di contraddizione’. Passando per il cammino della sofferenza e subendo il rifiuto, integrando nella sua via le conseguenze della malvagità umana, e la stessa condanna ingiusta, Gesù ha reso la morte stessa, che contraddice il disegno di vita di Dio, luogo di accoglienza e di manifestazione dell’amore.
La narrazione di Luca è poi attraversata da un corrente di stupore: non solo il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui (cfr. Lc 2,33), ma anche Simeone ed Anna, pur nella vecchiaia hanno occhi che si lasciano muovere dalla meraviglia. La capacità di stupirsi è propria di chi non è chiuso nella propria autosufficienza ma è aperto alla vita come consegna e dono. Accogliere il volto di un Dio che si fa vicino nel segno di un bambino inerme è sfida ad una conversione su come vivere la fede.
Maria e Giuseppe hanno consegnato Gesù il figlio. Abramo, il primo credente, ha vissuto il cammino drammatico dell’affidamento a Dio di Isacco, il figlio della promessa. Ed è questo anche il cammino di fede di ogni persona, di ogni comunità e di ogni famiglia: affidare al Signore la propria vita, i propri figli, perché tutto partecipi al venire di Gesù per servire e dare la vita per tutti, al suo dono di salvezza per tutti i popoli.
Alessandro Cortesi op
(Pietro Bugiani – Preghiera)
L’equivoco della famiglia
“L’equivoco della famiglia” (ed. Laterza 2017) è titolo di un libro di Chiara Saraceno sociologa torinese, impegnata da anni nella ricerca attorno alle questioni relative alla famiglia e alle sue trasformazioni.
Una prima sottolineatura che il libro evidenzia sin dal titolo è l’equivoco a cui il termine famiglia facilmente conduce. Più che di famiglia si dovrebbe parlare di forme diverse di famiglia, di famiglie al plurale. C’è un carattere dinamico dell’istituto familiare nel tempo. Nelle diverse epoche e contesti la famiglia ha avuto diverse funzioni. “Gli studi antropologici ed etnologici, e da ultimo di storia sociale, hanno mostrato la varietà di esperienze familiari nel passato, contemporaneamente indicando l’impossibilità di ricostruire una vicenda unitaria di trasformazioni, all’interno della quale rintracciare il filo unitario della famiglia” (L’equivoco, 5).
Oggi è difficile determinare un confine alle definizioni e esperienze di famiglia. Se un aggettivo si addice alla condizione delle famiglie oggi è quello di essere s-confinate: “Le famiglie, infatti, si trovano a esistere contemporaneamente nello spazio stretto delle definizioni normative e in quello più indefinito delle relazioni ed esperienze concrete, che spesso eludono le definizioni e i confini normativi” (L’equivoco, 17). Ma le famiglie sono s-confinate anche per la condizione di un’epoca in cui la mobilità geografica impone in diversi modi alle famiglie confini mobili, si pensi alle famiglie migranti, o con coniugi di nazionalità diversa, o alle famiglie in cui qualcuno si trova a vivere altrove per lavoro o studio.
Anche in conferenze Chiara Saraceno ha avuto modo di esplicitare l’idea che non esiste un unico modello di famiglia formulato sulla base di un presunto paradigma naturale. La famiglia è istituzione umana che risente degli influssi della storia e dei movimenti sociali e legata a contenuti e regole che nel tempo hanno subito e subiscono cambiamenti.
“La famiglia esiste dove c’è appartenenza non solo dal punto di vista biologico ma anche affettivo, e dove è presente un radicamento che genera relazione e accoglienza. Tuttavia ciò non si manifesta allo stesso modo in tutte le società umane, acquisendo un significato diverso a seconda del contesto sociale e culturale”. (Leggere la città, Pistoia 2017)
Oggi la famiglia trova espressione soprattutto nella dimensione affettiva e dell’amore. Non sempre non dappertutto è stato così. Lo sposarsi per motivi economici o per accordi di famiglie di origine o per altre ragioni sociali è stato il modo in cui le famiglie si sono formate nel passato.
“Il matrimonio ha attraversato profondi mutamenti nel corso delle ultime tre generazioni, soprattutto a causa dei cambiamenti nelle aspettative per la vita di coppia e l’educazione dei figli: è così passato da un fatto basato sul rispetto e sulla fedeltà coniugale, con finalità quasi esclusivamente riproduttive, a uno dei tanti, possibili modi di convivenza sociale, più legato a un sentimento di amore e di affettività che non alle sole ragioni pratiche” (ibid.)
“Era già avvenuto nei paesi nordici ed anche in Francia e in Germania, dove ormai da diversi decenni il matrimonio aveva perso il ruolo di rito di passaggio, per divenire piuttosto rito di conferma. Non si va a vivere insieme come coppia solo dopo che ci si è sposati. Piuttosto, ci si sposa dopo aver sperimentato qualche anno di vita insieme e sempre più spesso anche dopo aver avuto uno o più figli… siamo quindi di fronte ad un importante cambiamento culturale, oltre che comportamentale, del significato del matrimonio e della sua collocazione nella vicenda della coppia. Rimane da vedere se ciò comporterà anche un indebolimento del matrimonio in quanto tale o solo una sua trasformazione… Considerare, come fa qualcuno, la diffusione delle convivenze senza matrimonio un indicatore di deresponsabilizzazione e incertezza è semplicistico. Al contrario, può essere la conseguenza di una maturata consapevolezza che non basta sposarsi per essere capaci di vivere insieme e lavorare a un progetto di vita comune” (L’equivoco, 19-20)
Proprio il cambiamento culturale relativo alla considerazione della finalità e fondamenti del matrimonio con accento sulla componente della libertà di scelta ispirata dall’amore e in vista di una solidarietà condivisa ha condotto a considerare la possibilità di unione di coppie dello stesso sesso. Da qui il riconoscimento anche giuridico delle coppie omosessuali.
“Le innovazioni giuridiche che in molti paesi hanno portato al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, e i dibattiti che le hanno accompagnate in tutti i paesi, sono la prova di quanto le definizioni di famiglia e di coppia siano un costrutto insieme culturale e legale, basato sul sentire condiviso circa ciò che è buono e accettabile nei rapporti interpersonali insieme più intimi e socialmente rilevanti, un ‘comune sentire’ che cambia da una società e da un’epoca all’altra” (L’equivoco, 24)
La vita delle famiglie fa riferimento alla vita e la vita precede e va oltre le configurazioni giuridiche benché il riconoscimento giuridico abbia una particolare importanza:
“C’è famiglia ogni volta che, al di là delle definizioni giuridiche, ci si prende responsabilità duratura l’uno verso gli altri. Responsabilità di accudimento, solidarietà e reciprocità”. (Intervista Bergamonews)
La vita delle famiglie è segnata oggi da violenze nascoste e pervasive, da rapporti nei quali una parte spesso le donne si trovano ad essere vittime di non riconoscimento, di oppressione e di violenze psicologiche e fisiche. I modelli di genere non solo riguardanti la sessualità, ma la divisione del lavoro e i ruoli sociali potenzialmente sono produttori di violenza
“La famiglia ha anche un lato oscuro. L’aspetto oscuro si crea proprio perché la famiglia è un luogo di intrecci affettivi emotivi molto profondi che possono generare anche grandi violenze. Queste violenze hanno una radice anche in modelli di genere maschile e femminile asimmetrici e stereotipati, che andrebbero cambiati” (Intervista Bergamonews)
“La violenza sulle donne è la drammatica punta dell’iceberg di rapporti tra uomini e donne basati su modelli di genere polarizzati, che forniscono grammatiche delle relazioni, mappe di navigazione dei rapporti, falsate, che non aiutano ad affrontare gli imprevisti e le delusioni” (L’equivoco, 144)
Viene indicata la prospettiva di una disponibilità generativa quale via per costruire famiglia nella varietà delle forme, ma nella responsabilità di far spazio e accompagnare altri nel cammino della vita:
“Ciò che dovrebbe importare, dal punto di vista non solo della coesione sociale, ma anche dello sviluppo della capacità umana di ciascuno è che venga coltivata, sostenuta e riconosciuta la disponibilità ad instaurare rapporti di responsabilità e reciprocità duraturi, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, ma anche di quelle che l’età ha reso fragili. Senza disponibilità generativa, ovvero senza la disponibilità e capacità di dare spazio ad altri, accompagnandoli nel mondo perché possano percorrere la propria strada, non si dà famiglia, qualunque sia la forma che essa prende” (L’equivoco, 9).
Alessandro Cortesi op