XXVI domenica del tempo ordinario – anno B – 2021
Nm 11,25-29; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48
Nel deserto, nel cammino dell’Esodo Mosè sceglie settanta fra gli anziani di Israele quale aiuto per guidare il popolo. Ricevono il dono dello spirito di profezia. Ma improvvisamente Eldad e Medad, che non erano tra quelli prescelti ed erano rimasto nell’accampamento furono investiti dallo spirito e ‘si misero a profetizzare’. Tale evento suscita sorpresa e disorienta perché qualcuno esterno al gruppo istituito ha ricevuto un dono particolare e si fa portatore della parola di Dio – vive il compito di profeta – senza essere istituito tale. Mosè a fronte delle rimostranze risponde: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!”.
Queste parole manifestano lo sguardo lungo di Mosè, il suo essere uomo di Dio, capace di scorgere che Dio va al di là delle gabbie religiose in cui l’istituzione racchiude la sua parola e il suo dono. Invita ad accogliere la libertà dello Spirito che non può essere racchiuso nei progetti e nelle strutture umane. Mosè suggerisce di accogliere con disponibilità quanto lo Spirito suscita anche al di fuori delle appartenenze costituite. E indica anche un orizzonte di promessa: è il sogno che tutti siano profeti nel popolo del Signore, testimoni del suo agire. Nella profezia di Eldad e Medad si rende presente l’azione dello Spirito che soffia dove vuole. C’è una profezia da ascoltare e accogliere al di fuori e oltre ogni barriera e sistema religioso. Sta in questa apertura il segreto che rende disponibili
La pagina del vangelo raccoglie alcuni brevi insegnamenti di Gesù che rinviano al suo stile. Di fronte a qualcuno fuori del gruppo dei discepoli che opera miracoli come segni di liberazione i discepoli reagiscono dicendo che non è ‘uno dei nostri’. Ancora si manifesta la mentalità di chiusura e di incapacità a scorgere il soffio di Dio al di fuori dei confini stabiliti. Gesù per contro invita a riconoscere i segni della presenza dello Spirito e non vivere nella chiusura, nell’autoreferenzialità e nell’atteggiamento di chi sempre vede negli altri un pericolo. “non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”.
La vita al seguito di Gesù si riconosce non per atti di religiosità e di culto, ma per un operare quotidiano nei gesti più semplici: sono i gesti della accoglienza della cura, del conforto. “Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”.
Anche un bicchiere d’acqua offerto, un gesto quotidiano e quasi insignificante, è invece importante agli occhi di Gesù e lui indica che non andrà perduto. In ogni gesto che esprime un dono si rende presente la comunicazione di Dio stesso che è Dio della gratuità e della misericordia. Le parole di Gesù sono dure a fronte di chi offende i piccoli: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare”. Segue un forte invito a tagliare tutto ciò che può essere di impedimento e di inciampo (scandalo) a chi è più debole nella fede. Rompere con ogni occasione di male e di peccato è esigenza chiara di Gesù a chi desidera seguirlo. In queste parole emerge un forte appello a considerare il proprio cammino sempre in rapporto agli altri e a vivere un impegno di responsabilità che coinvolge tutta l’esistenza rifuggendo senza riserve ogni ipocrisia e doppiezza. Le dure parole della lettera di Giacomo rivolte ai ricchi che opprimono il giusto si pongono in questa linea: non si può vivere rimanendo indifferenti alla sofferenza degli altri. Ogni tesoro diverrà ruggine, cioè rivelerà la propria inconsistenza e giungerà alla rovina se non è inteso secondo la logica della condivisione con i poveri. Nell’uso dei beni si attua una scelta di accoglienza o rifiuto del volto stesso di Dio.
Alessandro Cortesi
Responsabilità
“La vera emergenza migranti non è quella di cui parla la propaganda populista, ma quella che potrebbe abbattersi sull’Europa se non verranno governati gli sconvolgimenti meteo-climatici che già oggi attraversano il pianeta. E che domani rischiano di capovolgere gli equilibri geopolitici della comunità internazionale e i rapporti sociali ed economici dei Paesi occidentali. Stando ai dati presentati nell’ultimo rapporto della Banca Mondiale Growndshell entro il 2050 almeno 216 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa del cambiamento climatico e delle sue conseguenze” (Francesca Santolini, La Stampa 23 settembre 2021).
Nella giornata mondiale del migrante e del rifugiato in questo tempo segnato dal perdurare della pandemia e dal maturare della consapevolezza dei danni arrecato dall’agire umano sull’ambiente si pone sempre più urgente la questione di tenere unita la considerazione della crisi ecologica e della questione climatica con la questione sociale. Il periodo della pandemia ha visto lo spropositato arricchirsi di pochi miliardari e l’impoverimento di intere popolazioni sul pianeta. Nel suo primo discorso al Congresso degli USA nell’aprile scorso Joe Biden ha indicato come 650 miliardari americani hanno aumentato il loro patrimonio netto di tremila miliardi di dollari in questo periodo. Mentre nel frattempo solamente negli USA venti milioni di persone perdevano il lavoro.
Alcuni esempi possono essere significativi: secondo la rivista Forbes Jeff Bezos risulta essere la persona più ricca del mondo nel 2021 con un patrimonio di 177 miliardi di dollari, con un incremento di 64 miliardi rispetto allo scorso anno per la crescita delle azioni di Amazon. Elon Musk è al secondo posto con 151 miliardi di dollari: ha aumentato il suo patrimonio di 126,4 miliardi in un anno dovuto all’aumento delle azioni di Tesla del 705%. Il francese Bernard Arnault ha quasi raddoppiato la sua fortuna, da 76 a 150 miliardi di dollari per l’aumento delle azioni di marchi come Louis Vuitton e Christian Dior. Seguono Bill Gates e Mark Zuckerberg con una crescita dell’80% delle azioni di Facebook.
Questi dati lasciano senza parole pensando alla condizione di impoverimento che la pandemia ha aggravato per gran parte dell’umanità nel mondo: a titolo di esempio, e per richimaare attenzione nel disinteresse generale, si può menzionare la situazione del Libano in cui vi è mancanza di combustibile per le auto, la fornitura di energia elettrica è limitata e razionata durante il giorno impedendo le normali attività di ospedali e aziende, e gli stessi medicinali sono di difficile reperibilità nelle farmacie. E’ sconvolgente la situazione di ingiustizia globale che vede l’arricchimento dei super-ricchi mentre i poveri sendono sempre più in condizioni di indigenza. E tale arricchimento si attua in un fondamentale disinteresse verso la condizione globale del clima e dell’ambiente: si tocca quindi con mano l’insipienza del ricco che non si rende conto che i beni che possiede hanno un riferimento sociale ineludibile e che pensa di poter godere da solo la propria ricchezza disinteressandosi di una casa comune. L’impatto della crisi climatica non colpisce solamente le aree più povere del pianeta ma si sta già rendendo visibile nei suoi effetti disastrosi e nel generare spostamenti di popolazioni per fuggire dalle zone colpite da eventi estremi e calamità naturali e dal progressivo innalzamento delle acque.
In Fratelli tutti (2020) Francesco ha scritto: “in ogni caso, queste capacità degli imprenditori, che sono un dono di Dio, dovrebbero essere orientate chiaramente al progresso delle altre persone e al superamento della miseria, specialmente attraverso la creazione di opportunità di lavoro diversificate. Sempre, insieme al diritto di proprietà privata, c’è il prioritario e precedente diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra e, pertanto, il diritto di tutti al loro uso” (FT 123) E in Laudato sì (2015) ha ricordato che «la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata» (LS 93).
Una redistribuzione delle ricchezze attraverso una tassazione dei patrimoni e un deciso orientamento a impiegare risorse in scelte economiche di sincero rispetto dell’ambiente sono due sfide che l’attuale momento storico pone all’umanità intera.
Alessandro Cortesi op
XIV domenica tempo ordinario – anno C – 2022
Is 66,10-14; Gal 6,14-18; Lc 10,1-2.17-20
“quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo”. Il messaggio dello scritto ai Galati è un annuncio della libertà cristiana in contrasto con il rischio, sempre presente, dello svuotamento del vangelo. Paolo affronta la questione delle richieste per seguire Gesù: per stare con lui, non è necessario sottostare alle norme culturali articolate in un sistema religioso ma è esperienza di relazione e di incontro che apre oltre le chiusure e la pretesa di superiorità rispetto agli altri che genera ostilità ed esclusione.
Il dono d’incontro con il Signore Gesù è possibilità di una relazione nuova che coinvolge discepoli che provenivano dal popolo ebraico ma si apre anche al mondo dei ‘pagani’. Paolo aveva comunicato questo nella sua predicazione ai Galati e ora non nasconde la sua delusione: essi avevano accolto il ‘vangelo’ da lui annunciato come forza liberante, ma ben presto si erano volti a chi intendeva riportarli alle strettoie di una legge intesa come elemento di chiusura e di opposizione all’altro. Paolo così reagisce duramente contro chi poneva la condizione seguire l’osservanza della legge giudaica per essere cristiani. Per Paolo rimane fondamentale l’esperienza sulla via di Damasco: lì gli si era reso chiaro che Gesù Cristo gli era venuto incontro per primo donandogli una luce nuova sulla sua vita e sulla sua missione: la salvezza è dono senza alcuna condizione previa, non è conquista di tipo religioso. Il cammino del credere apre alla riconoscenza e alla responsabilità per tale dono, senza erigere barriere, senza esclusioni, testimoniando e ricordando la libertà dono del vangelo. Non si conquista quindi una salvezza attraverso l’obbedienza alla legge. Ma si tratta di accogliere un dono e condividerlo. Da qui sorge la gratitudine. Dal riconoscersi afferrati dell’amore – e per Paolo la croce è evento di amore – sorge la riconoscenza che diventa cammino esistenziale. Se nella vita ci si scopre salvati si apre un modo nuovo di impostare i rapporti e uno sguardo diverso alla vita stessa nella gratuità, nell’accoglienza, nell’orientamento alla pace. Il dono di relazione ricevuto chiede di essere comunicato.
Luca narra l’invio da parte di Gesù dei settantadue discepoli. Sono mandati a raccogliere i frutti di una semina che non viene da loro. Le messi già pronte per la mietitura indicano un’opera dello Spirito già in atto. Ciò che si richiede ai discepoli è capacità di riconoscimento e disponibilità al servizio. Sono inviati a riconoscere la fecondità dell’agire di Dio e ad accogliere.
Gesù non predispone un gruppo specializzato: questo invito è per tutti, discepoli e discepole. Il numero settantadue è simbolico e nella tradizione biblica indicava i popoli dell’umanità originaria (Gen 10). L’invio di Gesù è rivolto così a tutti e riguarda l’invio alle messi. Si tratta di una fecondità già in atto da riconoscere e raccogliere che coinvolge tutti i popoli.
Gli inviati sono chiamati a vivere il loro cammino senza appesantimenti inutili e dannosi – ‘non portate borsa, né bisaccia, né sandali’ e con uno stile che rifiuta violenza ed imposizione – ‘come agnelli’ -. Gesù chiede di portare pace e proprio nella casa cioè nell’incontro nei luoghi della vita inizia a costruirsi la pace: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa!”.
Si tratta di una parola importante per noi in questo tempo in cui la mentalità della guerra è pervasiva di ogni settore della vita. E’ un mandato che richiede condivisione, disponibilità ad entrare nelle città, ad accogliere innanzitutto l’ospitalità ed offrire accoglienza, prendersi cura per percorsi di guarigione e liberazione e non stancarsi di indicare l’orizzonte del regno di Dio: “Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.
Alessandro Cortesi op
Io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace
Riprendo come motivo di riflessione alcune parole di Olga Sedakova, poetessa russa, nella bella intervista a Natalino Valentini, pubblicata da “Il Regno”, 19 giugno 2022 qui consultabile interamente
“– Ol’ga Sedakova, come ha vissuto l’accrescersi delle tensioni che hanno portato al conflitto in atto?
«Devo confessare che per me è molto difficile e doloroso parlare della situazione in cui ci troviamo. In tutta la mia vita non ricordo un periodo peggiore. Il tuo paese sta facendo cose imperdonabili e tu non hai modo di fermarlo o di dichiarare apertamente, pubblicamente, il tuo parere neppure ai tuoi connazionali.
Io, come tutte le persone a me vicine in Russia, fino all’ultimo giorno mai avrei immaginato che una cosa del genere fosse possibile: le truppe russe che bombardano Kharkiv, Odessa, Kiev… Posso dire lo stesso dei miei amici e conoscenti in Ucraina. Nessuno se lo aspettava. Non è stata la tensione tra il popolo ucraino e quello russo di cui si parla. Non ce n’era sostanzialmente nessuna. La propaganda ufficiale stava lavorando per creare un’immagine di “ucraini orribili, neonazisti”. Ma non avrei mai immaginato che questa educazione all’odio avesse una risonanza così pervasiva e diffusa».
(…)
– In uno splendido suo saggio sul Dottor Živago ha magnificamente affermato: «La compassione come dono dello Spirito Santo è la versione russa dell’Amore». Che ne è oggi di questa «compassione»?
«Queste mie parole, e in realtà tutto ciò che ho scritto, ora sono come cancellate, messe in discussione. Non si tratta solo delle mie parole, ovviamente. Tutto ciò che di solito s’associa alla cultura russa: il suo particolare umanesimo, la compassione che riserva alle creature più sgradevoli e insignificanti, la sua grande empatia: dov’è tutto questo se i compatrioti di Leone Tolstoj e di Puškin commettono crudeltà inaudite, tali da essere definite “subumane” da chi le ha viste? (…) Come dice Anna Achmatova, “il debole in Puškin ha sempre ragione”.
E allora dov’è ora questo senso di “giustizia verso il debole”? Perché non ferma gli stupratori e coloro che danno ordine di bombardare civili nelle città? Dove trovarla in coloro che si rifiutano di provare compassione per le vittime? (…) Su queste domande e possibili risposte i nostri intellettuali stanno discutendo per ora on-line.
Posso solo rispondere che né Alexander Puškin, né Lev Tolstoj, né Boris Pasternak hanno inventato quello che hanno detto. Era nell’aria in cui sono cresciuti, nell’acqua – per dirla con Dante – che hanno bevuto, nella lingua in cui hanno ascoltato le ninna nanna da piccoli. Tutto questo rimane oggi, dopo la scuola di crudeltà e disumanità che il nostro paese ha attraversato nel XX secolo? Penso di sì e ne vedo gli esempi.
La catastrofe è che molte persone in Russia non hanno nulla a che fare con la cultura russa. Non ne conoscono il sapore. La cosa terribile è che proprio coloro che sono “fuori dalla cultura”, che credono solo nella violenza, che disprezzano l’uomo, ora in Russia hanno il diritto assoluto di prendere decisioni statali da cui dipende il destino del mondo e il destino di ognuno di noi»”.