Un drammatico incontro, una domanda sul volto di chiesa
Colpisce la notizia che nei prossimi giorni a Milano il Papa incontrerà il card. Martini, malato e costretto ad una parola sussurrata.
Aldo Maria Valli in un articolo uscito in “Europa” 30 maggio 2012, parla di questo incontro cogliendo in esso una dimensione drammatica. Valli accenna alla lettera della guida del movimento ‘Comunione e Liberazione’ don Julian Carrón. Un testo sconcertante. Su questa lettera oggi l’associazione ‘Noi siamo chiesa’ ha pubblicato una presa di distanza dettata da spirito ecclesiale e coraggio di parola.
La lettura di questa lettera alla luce degli eventi delle notizie relative alle vicende di affari e politica della Regione Lombardia degli ultimi tempi, delle vicende del Consiglio regionale e del suo presidente, genera ancor più sconcerto e inquietudine.
Ma certamente l’incontro di Benedetto XVI con il card. Martini assume un valore simbolico che va a toccare una domanda sul futuro. Che ne sarà della linea segnata dal Concilio Vaticano II? Quali vie saprà prendere una Chiesa provocata dagli eventi ad un cambiamento che potrebbe – potrebbe – essere via salutare di ripresa dell’annuncio del settembre di cinquant’anni fa da parte di Giovanni XXIII: una chiesa di tutti e in particolare dei poveri?
Don Virginio Colmegna richiama nel suo blog ‘Sconfinando’ – e proprio in questi giorni – la bellissima immagine suggerita da don Tonino Bello, la chiesa del grembiule. Un ideale a cui tanti aspirano.
Condivido tutte le sue parole. O meglio ‘quasi tutte’. L’unica riga che mi suscita perplessità è il suo accenno all’incontro mondiale delle famiglie di questi giorni a Milano come espressione di una chiesa povera, ospitale e fraterna. Certamente molti che stanno giungendo a Milano in questi giorni recano in se stessi questa attesa ed anche questa testimonianza.
Ma una chiesa per essere veramente ‘chiesa del grembiule’ anziché puntare sui grandi eventi della visibilità mediatica, di conferma della sua influenza sulla società, dovrebbe poter dimostrare maggior capacità di accoglienza verso tanti volti feriti proprio nell’esperienza affettiva, per le famiglie che hanno vissuto rotture, per le inquietudini di chi ha vissuto separazioni, per chi ha ricostruito una vita di coppia e famiglia avendo alle spalle percorsi interrotti. E così pure dovrebbe offrire attenzione e parole e gesti di vicinanza, di apertura per chi vive le forme della convivenza, facendosi non giudice implacabile, ma compagna delle ricerche di percorsi verso un amore vissuto con libertà e responsabilità. E tutto questo nelle scelte, nelle parole, negli atteggiamenti e nelle pieghe del quotidiano. (a.c.)
——-
da Aldo Maria Valli, Martini aspetta Ratzinger, in Europa 30 maggio 2012
“Tra le tante persone che tra venerdì e domenica stringeranno la mano al papa, in occasione della sua visita a Milano per l’incontro mondiale delle famiglie, ci sarà anche un anziano malato, che si muove a fatica aiutandosi con un bastone e parla con un filo di voce. Il suo nome è Carlo Maria Martini. (…)
è difficile non attribuire al faccia a faccia tra questi due ottantacinquenni un che di drammatico. Ratzinger e Martini hanno interpretato e continuano a interpretare due modi diversi di amare la Chiesa, e ora si trovano entrambi, nell’ultima parte della loro vita, al capezzale di questa sposa malata e oltraggiata, colpita nella sua dignità non soltanto da chi mette in piazza i suoi segreti più indecorosi, ma anche, e prima ancora, da chi l’ha trasformata nel terreno di coltura di affarismo e carrierismo. (…)
Nel giovedì santo Benedetto XVI ha chiesto ai preti la fedeltà alla dottrina e ha detto che la disobbedienza non è una strada. Lo ha detto rispondendo esplicitamente ai preti austriaci e di altri paesi europei che hanno scelto di dire no a Roma su questioni come il celibato dei presbiteri e la consacrazione ministeriale delle donne. Anche questi preti, come certi corvi vaticani, si sono risolti a violare le leggi della Chiesa pur di introdurre un elemento di dibattito e di obbligare Roma a fare i conti con la realtà. È vero, la disobbedienza non è una strada. Ma è anche vero che l’obbedienza da sola non basta, specie quando la sposa dà tanti segni di smarrimento. Quali parole avranno il successore di Pietro e quello di Ambrogio? E quanto su di loro peserà la triste lettera indirizzata da don Julian Carrón, guida di Comunione e liberazione, per raccomandare Scola al papa? In quella lettera, trafugata dal corvo e rivelata dal libro di Nuzzi, Carrón distrugge con una vera e propria manganellata l’operato di Martini e Tettamanzi a Milano. La lettera l’abbiamo conosciuta attraverso una via sbagliata, ma ora che la conosciamo non possiamo fingere che non sia mai esistita.
———————–
tratto dal sito www.noisiamochiesa.org
La lettera di Carrón, che sponsorizza la nomina di Scola a Milano, liquida in modo arrogante gli episcopati di Martini e Tettamanzi ed esprime una concezione anticonciliare di Chiesa
Con spirito ecclesiale e parresia, diciamo di non riconoscerci nell’idea di fede e di Chiesa di Gesù Cristo che emerge dalla lettera inviata nel marzo del 2011 da don Julìan Carrón, presidente di Comunione e Liberazione, a mons. Bertello, nunzio apostolico in Italia, in vista della nomina del successore del Card. Tettamanzi. Questa lettera è stata ampiamente diffusa online e anche sul sito di Noi Siamo Chiesa. Essa ha provocato sconcerto e sofferenza in un’area vasta del cattolicesimo e del clero ambrosiano.
Di questa lettera possiamo forse condividere alcune riserve sull’introduzione del nuovo Lezionario nella Diocesi ambrosiana. Il resto è una serie di luoghi comuni e di falsità che fanno pensare che l’autore sia davvero all’oscuro di come la vita della Diocesi di Milano si sia svolta dal 1980 in poi e che l’impostazione ideologica del movimento che presiede faccia velo su qualsiasi cosa. In particolare riteniamo fuori dalla realtà dei fatti e anti-evangeliche :
– le accuse all’insegnamento teologico in campo biblico e sistematico (“si discosta in molti punti dalla Tradizione e dal Magistero, soprattutto nelle scienze bibliche e nella teologia sistematica”);
– le accuse agli interventi nel campo della giustizia sociale in chiave politica unilaterale (gli arcivescovi Martini e Tettamanzi hanno fatto scuola in proposito a livello internazionale fornendo riflessioni e strumenti concreti di grande respiro);
– le accuse al dialogo interculturale ed interreligioso condotto in modo da ridurre il cristianesimo alle logiche del relativismo. Le “cattedre dei non credenti” e gli interventi nel campo del dialogo interreligioso, della bioetica e delle relazioni familiari proposti dal 1980 ad oggi sono state esempi considerati e seguiti in tante altre realtà del mondo cattolico in Italia e nel mondo.
– l’enfatizzazione dei movimenti e il giudizio indirettamente negativo sulle parrocchie come la conseguenza di una concezione “di parte” della vita della Chiesa.
L’idea anacronistica e illiberale che CL e don Carrón hanno del Magistero e della Tradizione e la mancanza di rispetto umano e culturale che mostrano nei confronti dei due episcopati e, indirettamente, delle persone di Martini e Tettamanzi sembrano davvero i dati più evidenti che emergono dalla lettera. Nessuno di noi intende “beatificare” Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi e i loro episcopati. Più volte, sempre pubblicamente e con chiarezza, siamo intervenuti in modo critico su aspetti della gestione pastorale della Diocesi e abbiamo sperato in posizioni più esplicitamente coerenti col Concilio. Ma ciò non ci ha mai impedito di riconoscere l’impegno per la ricerca dei modi migliori per una efficace evangelizzazione e di manifestare stima verso le persone dei nostri due Pastori, anche riconoscendo loro una certa indipendenza nei confronti dei peggiori diktat della CEI e del Vaticano. E’ una posizione ben lontana dalla denigrazione di un’intera esperienza pastorale che compare nel testo riservato di Carrón. Sarebbe bene che il nuovo arcivescovo, invece di tacere come ha fatto fino ad ora, dicesse cose esplicite sugli episcopati dei suoi predecessori, prendendo esplicitamente le distanze da quanto è scritto nella lettera.
La Facoltà Teologica di Milano poi non è censurabile a livello di ortodossia, ma, semmai, per quanto concerne la sua scarsa incidenza culturale e pastorale nella società.
Quanto scrive complessivamente don Carrón dimostra come egli non abbia compreso quanto, per esempio, dice san Paolo ai cristiani della Galazia: “quello che conta non è la circoncisione o la non circoncisione, ma la fede che si costruisce attraverso l’amore” (5,6). Molti esponenti di CL sono ben lontani dall’aver capito il senso profondo di queste parole paoline e quanto universale sia il Vangelo di Gesù Cristo: anche le pagine di Carrón lo manifestano chiaramente.
Siamo sicuri che un numero molto ampio di credenti, non solo della diocesi, condividono queste nostre parole, molto preoccupati di queste derive ecclesiali che non valorizzano minimamente la bellezza e la bontà delle parole evangeliche e offrono della Chiesa di Gesù Cristo nella sua componente cattolica un’immagine che le nuoce profondamente”.
NOI SIAMO CHIESA Milano, 30 maggio 2012
Ma permettetemi anche di spiegare perché questi episodi non sconvolgono in nessun modo la mia Fede, dubbiosa e interrogata da altre vicende umane che incontro ogni giorno nel dolore, nella sofferenza e nella fragilità delle persone con cui condivido un pezzo di strada. La Chiesa è lì, in questi volti, in queste storie di vita. Mi ricordo la bella immagine lasciataci in Casa della carità dal cardinal Dionigi Tettamanzi commentando la parabola del buon samaritano e invitandoci a soffermarci a riflettere sul locandiere e sulla locanda dove ci si prende cura del malcapitato: “La Chiesa è lì”, ci disse.
Il Vangelo di questi giorni raccontava un episodio nel quale i ricchi depongono come offerta denaro tintinnante e superfluo mentre una povera vedova dona i due spiccioli che sono tutto quello che ha. (Vangelo di Marco, 12, 41-44). Gesù indica questa donna come la protagonista di un racconto di Fede che ancora affascina e sorprende. Questo è lo “scandalo” che dovrebbe inquietare, che ha affascinato il mio entusiasmo giovanile, che mi fa essere prete appassionato. E che, tutt’oggi, mi fa cogliere la speranza disseminata nei tanti sotterranei della storia, quella che non esclude nessuno, che pone al centro la gioia della povertà evangelica ed è lontana mille miglia dalle logiche di potere. È l’ingenuità della fede, la spiritualità che non cresce negli intrighi di palazzo e nelle logiche di corte medioevale.
L’immagine di una Chiesa presa dagli intrighi che si specchia in una società sempre più allo sfascio, povera di valori ed eticamente vuota, scandalizza. Al tempo stesso, però, sollecita a testimoniare la bellezza e la semplicità della vita evangelicamente vissuta. Quella per cui continuo a pregare, ogni giorno, nell’Eucarestia, anche per la Chiesa, per il Papa e per il nostro vescovo. Quella per cui tante persone stanno accorrendo a Milano in questi giorni per l’Incontro Mondiale delle Famiglie, portando con sé la richiesta di una Chiesa fraterna, ospitale e lontana dal potere.
Oggi più che mai, non c’è bisogno di una Chiesa che aiuti i poveri, ma di una Chiesa povera, di quella che don Tonino Bello chiamava “la Chiesa del Grembiule”: solo così si può dare ragione della speranza che, ci rivela la Bibbia, è in ciascuno di noi e ci fa sentire aperti, in attesa del futuro”.
Domenica di Pentecoste anno B – 2012
At 2,1-11; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27;16,12-15
Pentecoste. Festa che apre il cuore perché ci parla del soffio dello Spirito. E’ lo Spirito che dà la vita, presente nel respiro delle cose del creato. E’ lo Spirito che suscita la parola, che spinge i profeti. E’ lo Spirito grembo delle diversità chiamate alla relazione. E’ lo Spirito soffio dono della Pasqua che apre a scoprire la vita non da trattenere per se stessi ma come pro-esistenza da vivere per gli altri, da condividere.
Nella tradizione ebraica Pentecoste è festa della mietitura e memoria del dono della Torah, Parola e comunicazione. Luca, negli Atti degli apostoli vede come la vicenda della comunità di Gesù inizi con un dono dall’alto: lo Spirito come forza di trasformazione (fuoco) e di invio (vento che scuote). Inizia proprio come era iniziato il cammino di Gesù nel suo battesimo – e prima ancora al suo concepimento: ‘Lo Spirito santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra’ (Lc 1,35). La comunità di Gesù è legata a lui, la sua vita si ricalca sulla vita di lui. Luca sottolinea che la chiesa nasce a pentecoste, cioè nasce da un dono dall’alto, nasce nel segno della diversità e della pluralità di doni. Nasce come orientata alla comunione che accoglie la chiamata di Israele ad essere comunità convocata da Dio. Chiesa di chiese. E nasce con una apertura a tutta l’umanità su cui è presente lo Spirito che soffia oltre i limiti e muri di divisione.
“A quel rumore la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua”. Il ‘miracolo’ delle lingue è il miracolo della comunicazione e della traduzione. La Pentecoste ci dice che la diversità non è un male, ma sta nel progetto di Dio: la diversità delle lingue, delle culture, dei cammini umani. Ci dice anche che le diversità non devono rimanere separate, senza rapporto, ma sono chiamate a comunicare, possono fiorire solo nell’incontro, e recano in se stesse l’ apertura a crescere, a scoprire il proprio limite, la provvisorietà e la ricchezza dello scambio. La vita è luogo della lotta amorosa di Dio che ci scardina dai nostri particolarismi e dalle nostre chiusure per aprirci a scoprire un dono più grande attraverso i doni dell’altro. Pentecoste è promessa di un’umanità capace di comunicare mettendo in rapporto lingue diverse. Il tempo della chiesa è tempo per aprire canali in cui la voce dell’altro possa essere compresa e accolta come familiare. Anche se questo implica fatica e si scontra con contraddizioni e rifiuti.
Pentecoste è una provocazione per il nostro tempo: un tempo in cui viviamo l’esperienza della diversità, delle lingue, delle culture, delle religioni e spesso avvertiamo tale situazione come problema e come fonte di paura. Pentecoste ci dice che in questa diversità sta un dono di Dio, una chiamata. Lo Spirito apre a nuovi percorsi di fede, a scoprire la chiesa non come appartenenza esclusiva ma come seme di una umanità in relazione. Pentecoste ci dice che lo spirito va inseguito là dove ci precede perchè dello Spirito è piena la terra e lo Spirito è presente in ogni uomo e donna. Le crisi che avvertiamo nel tempo presente sono una grande opportunità di scoperta del vangelo. Sappiamo farci cercatori di tracce dello Spirito, inseguitori di un andare oltre, verso una verità sempre più grande?
“Quando verrà lui, lo Spirito di verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto quello che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. Nel vangelo verità non è una nozione intellettuale da possedere e definire. Verità indica la persona stessa di Gesù. la verità allora non è qualcosa ma qualcuno. Per questo il IV vangelo parla dello Spirito come colui che guida nella verità. Nella verità si può solo essere accolti. Ciò significa godere dell’ospitalità della presenza di Gesù. Il suo volto ed il suo amore per noi, ci fanno vedere il volto del Padre. Nonostante tutte le nostre pretese in questo cammino siamo ancora agli inizi. Possiamo essere guidati verso una verità ancora da scoprire nella sua interezza. Lo Spirito, presenza interiore, dono del Padre e del Figlio, è il grande suggeritore, la guida, la presenza che sorregge in questo incontro. Lo Spirito apre orizzonti nuovi di comprensione del volto di Dio e di accoglienza del suo amore.
Di qui si apre un camminare: “Camminate secondo lo Spirito…” è indicazione per vivere una vita che si lascia toccare dallo Spirito che fa uscire verso l’altro, guida ad ascoltare il suo soffio nella creazione, nella sete di giustizia, nel silenzio di chi prega, negli impegni per la libertà, nei gesti del servizio, nel riconoscere la dignità di ogni volto. C’è spazio per la speranza nella nostra vita è lo spazio che lo Spirito spalanca non come ingenua spensieratezza nelle difficoltà, ma come spinta a vivere nel buio della crisi e nel gelo di inverni civili ed ecclesiali sapendo che la forza della risurrezione è più forte di ogni morte ed apre porte di liberazione.
Alessandro Cortesi op