Pasqua 2019 – Omelia nella notte
In questa notte in questa liturgia ricca di segni, parole canto e silenzi tanti sono i pensieri le emozioni che si presentano.
E’ momento di sosta per guardare la vita come una cammino, con tutte le sue fatiche, le sue gioie, le sue luci, le sue ombre. Anche le nostre piccole vite sono inserite nei percorsi che abbiamo ricordato nelle letture di questa sera: la vicenda di Israele, il popolo delle promesse di Dio, e di tutta l’umanità, è una storia visitata, che si è sviluppata nel tempo. E’ una storia di volti, di situazioni, in cui ritorna una costante, e su questo la lettura di fede si sofferma: la presenza vicina, forte amante di Dio fedele, che non viene mai meno e conduce sempre a ricominciare.
Anche la nostra vita, ed anche quella di chi è qui ma è presente nel cuore di Dio, è una vita visitata. Anche nella storia di questo tempo c’è una promessa, c’è una luce. Noi siamo dentro, immersi in una storia di salvezza che è la storia di questa umanità concreta delle nostre strade, delle persone che incontriamo dei popoli di ogni nazione, cultura, religione… e che chiama a lasciar spazio al disgno di Dio. Questa notte è come andare in soffitta e aprire un antica cassa dove sono riposti i ricordi di famiglia: quante storie, quanta speranza e sofferenza, quanti sentimenti sono racchiusi in quei segni, in quei ricordi…
Su due immagini vorrei soffermarmi dalla lettura del vangelo di Luca: la prima è quella della pietra, la seconda è quella della corsa:
“Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro ma, entrate non trovarono il corpo di Gesù”. La pietra che chiudeva il sepolcro è simile a tante altre pietre che chiudono luoghi di morte. Ed anche nella nostra storia vi sono pietre e massi che chiudono e rendono la nostra vita luogo di morte.
Sono i massi pesanti della violenza, dell’ipocrisia di chi parla di pace ma commercia le armi. I mezzi di comunicazione vogliono farci credere che la guerra porta pace, che la sicurezza viene creata dal dispiegamento degli eserciti, dall’esclusione dei più deboli, dalla costruzione di barriere. Ci sono massi e pietre pesanti che sono i muri, quelli fisici e quelli invisibili costruiti per difendersi ma che impediscono l’accoglienza e che divengono prigioni per chi si lascia rinserrare dalla paura. Ci sono massi anche nei nostri cuori: le nostre piccole o grandi storie di chiusure e di divisione, di rivalità e di ostinazione nel non lasciare spazio agli altri.
Ma questa è la notte in cui ‘la pietra è rotolata via’ e questa memoria diviene forza di cambiamento e responsabilità per noi. Far rotolare ogni pietra che chiude luoghi di morte. E’ questo un impegno che la Pasqua inaugura: e far diventare quelle pietre smontate dai muri di odio pezzi per una costruzione nuova, per lanciare ponti di pace, di incontro, per costruire case in cui sia possibile l’ospitalità, allargare gli spazi della tenda. E’ questa la notte in cui ogni chiusura, ogni oppressione può aprirsi ad una luce: non siamo fatti per rimanere schiacciati da quelle pietre ma per essere liberati e divenire protagonisti di liberazione per altri.
Questa è la notte anche delle corse e delle rincorse, di un andare e venire da quel sepolcro, luogo della morte. Luca nel suo vangelo annuncia che non si deve andare a cercare nei luoghi della morte colui che è vivente e rinvia ai luoghi della vita: ‘Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui è risuscitato… Ricordatevi…’ Queste parole ci dicono che c’è ricerca e ricerca. Non si deve cercare lo stesso Gesù nei luoghi sbagliati. Bisogna correre, correre verso gli altri, raccontare, scoprire che è presente là dove non ce l’aspettiamo. E sono corse, quelle che ricordiamo questa notte di chi non riesce a credere all’annuncio così sperato e così inatteso: ‘Non è qui, si è rialzato’, si è svegliato… è vivo non è prigioniero della morte del buio, non è nel sepolcro, ma vive…
Sono corse di chi, come Pietro si mette a correre per superare lo scetticismo e l’incredulità, e che torna pieno di stupore. E’ questa la notte in cui sentire un po’ anche noi il fiatone di quelle corse e il battere del cuore pieno di gioia nuova, di una gioia unica. Viviamo spesso corse nella nostra vita per arrivare in tempo a svolgere tante faccende, per andare incontro a tante persone. In questa notte scopriamo che le nostre corse possono essere riempite della gioia e dello sconcerto che fa cambiare il modo di guardare alla vita alla storia, alle persone. Se lui è il vivente, allora non c’è storia di fallimento che non possa avere una speranza. Se lui è vivente allora la morte non è l’ultima parola, non è come i titoli di coda al termine di un film con la parola ‘fine’ che cala inesorabile, ma è sempre nuovo inizio.
E’ questa la notte in cui tutti noi che portiamo nel cuore paure, fallimenti, sofferenze, dolori, tutti, proprio tutti, chi si sente inutile e debole, chi avverte di essere escluso e fuori posto, chi sente la vita come un peso insostenibile, chi si sente abbandonato o solo, siamo chiamati a scoprire che non siamo soli, non rimarremo soli. Gesù è il vivente e ha vinto la morte, l’ha presa su di sé attraversandola, per stare con noi, per sempre: ‘Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo…’
E ci manda, di corsa, a raccontare. Sarebbe bello continuare a raccontare la storia della nostra vita sempre da rileggere nella luce della Pasqua… Non lo facciamo solo questa notte… sarà il percorso di ogni domenica, di ogni giorno… nella fede di questo grido che squarcia le pietre, nella luce che vince la notte e ci fa correre a raccontare: ‘Non è qui è risorto, è veramente risorto’.
Alessandro Cortesi op
II domenica di Pasqua – anno C – 2019
At 5,12-16; Ap 1,9-19; Gv 20,19-31
“Io sono il primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi”
Il libro dell’Apocalisse vuole testimoniare una rivelazione: cerca di interpretare la storia a partire dalla chiave di lettura che è Gesù Cristo risorto. Egli è colui che si è rialzato, il risorto, il primo e l’ultimo: non è stato tenuto prigioniero della morte ed ha ora potere su ogni potenza di morte e di male.
Gesù Cristo risorto dice: ‘io sono il vivente’: è questa una delle forme dell’annuncio pasquale ed è apertura di speranza. Se lui è il vivente, il futuro dell’umanità non sta nella morte ma in una vita che sconfigge tutte le forze che si oppongono.
Negli Atti degli apostoli Luca offre alcuni quadri che sintetizzano le caratteristiche principali della vita della comunità cristiana dopo la Pasqua. In questi brevi quadri riassuntivi pone attenzione ad una comunità convocata (compare il termine ‘chiesa’) dalla parola del Signore, all’importanza dello stare insieme, al senso di ammirazione e gioia che permeava la loro vita. E’ anche posta in luce la diversa attitudine nei confronti dei sofferenti e dei malati: ‘portavano gli ammalati nelle piazze… tutti venivano guariti’.
Coloro che solitamente erano nascosti allo sguardo sono posti al centro ed è espressa la forza di guarigione propria della vita di una comunità di testimoni di Gesù. Il rapporto con la sofferenza può avere un mutamento: non è l’ultima parola della vita umana, c’è una forza nuova di salvezza che porta la comunità a farsi carico delle sofferenze, a non evitare le persone malate a non tenerle in disparte o escluderle: sono accolte e poste al centro.
Nelle guarigioni Luca scorge gli effetti della salvezza che Cristo ha donato con la sua morte e la sua risurrezione per tutti. Vi è un accorrere di folle quale movimento che coinvolge persone provenienti da diverse direzioni. La forza di colui che è vivente apre prospettive di vita nuova, di relazioni nuove.
Il IV vangelo ha un’insistenza particolare sul rapporto tra vedere e credere. Tommaso dice ‘ Se non vedo e non metto la mia mano… non crederò’. Gesù aveva sottolineato la difficoltà di chi cercava segni: ‘ se non vedete segni e prodigi, voi proprio non credete’ (Gv 4,48). L’intero capitolo 20 è così narrazione di un lento e progressivo percorso del credere. Dai segni, oltre i segni. Tommaso è figura di ogni discepolo che vive la fatica di aprirsi ad un nuovo modo di incontrare Gesù dopo la pasqua. Non è facile il percorso della fede e c’è tutto un cammino da compiere anche di crisi della fede per aprirsi ad una nuova esperienza del credere.
Nella comunità c’è posto per chi fa fatica, ed anche per tutti coloro che vivono il faticoso passaggio dal credere perché sono alla ricerca di segni, al credere ‘senza avere visto’.
C’è una insistenza così sul vedere: ‘i discepoli gioirono al vedere il Signore’ (v.20). Gli dissero allora gli altri discepoli ‘abbiamo visto il Signore’ (v.25) ma egli disse loro ‘ se non vedo…’.
Il cammino di Tommaso viene presentato come un crescendo di difficoltà riguardo al ‘vedere’ Gesù, e nel contempo il suo vedere è rapportato al credere: ‘se non vedo… non crederò’. Le parole stesse del risorto sono tutte concentrate su questo rapporto tra il vedere e il credere: ‘guarda le mie mani…e non essere più incredulo ma credente’, fino all’espressione della beatitudine: ‘perché hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno’ (v.28).
Tommaso stesso si apre alla resa del credere di fronte a Gesù che gli pone davanti i segni delle ferite della passione, le mani, il costato. Credere è un cammino, esige una faticosa ricerca, ha bisogno di essere accompagnato da Gesù stesso che conduce a superare l’attesa di segni. Gesù non rifiuta di offrire dei segni: sono i segni dei chiodi, i segni della sofferenza e della croce. E’ il crocifisso che è risorto. I segni da rintracciare sono allora quelli della sofferenza di tutti i crocifissi della storia. Lì, in quei segni si scorge una via… Tommaso si apre così ad un riconoscimento di fede dicendo ‘Mio Signore e mio Dio’ Ma Gesù rivolge ai suoi l’indicazione di un’altra beatitudine: quella del credere senza vedere. Sarete felici se vivrete questo: è possibile incontrare Cristo risorto ‘vedendo’ in modo nuovo, oltre i segni, non cercando appoggi ma nell’accogliere la testimonianza e nel lasciarsi coinvolgere nella sua parola e nella sua promessa.
Il vangelo stesso è stato scritto per questo: ‘molti altri segni fece Gesù… ma non sono stati scritti: Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo, abbiate la vita nel suo nome’. Il vangelo è tutto riferito ad un percorso del credere che conduca ad avere vita in pienezza.
Alessandro Cortesi op
Vedere e agire
Quando aveva undici anni Greta Thunberg rimase profondamente colpita dal vedere l’isola di plastica che galleggia nell’oceano Pacifico meridionale prodotta dai rifiuti che inquinano i mari. Un’isola sconfinata dalle dimensioni più grandi del territorio del Messico. Il suo vedere non è stato passeggero ha toccato il suo cuore, ha cambiato la sua vita. Non solo ha visto ma ha si è soffermata a scorgere quello che noi non osserviamo e non vogliamo nemmeno guardare. Questo suo vedere si è allargato ad individuare le varie forme di inquinamento che stanno rovinando l’ambiente e che le fanno dire con insistenza che viviamo in una casa in fiamme in cui correre presto ai ripari perché tutto non venga divorato e il futuro stesso tolto a chi oggi è giovane e a chi verrà.
“Qualcuno dice che invece di scioperare dovrei andare a scuola. Qualcuno dice che dovrei studiare per diventare una climatologa, così potrò risolvere la ‘crisi climatica’. Ma la crisi climatica è già stata risolta. Conosciamo già tutti i dati e abbiamo tutte le soluzioni. L’unica cosa che ci resta da fare è svegliarci e cambiare. A cosa serve imparare nozioni nel sistema scolastico, quando i fatti elencati dalla scienza promossa da questo stesso sistema vengono ignorati dai nostri politici e dalla nostra società?” (Greta Thunberg, La nostra casa è in fiamme)
Come osserva il maestro Franco Lorenzoni nel suo articolo su “Internazionale” (19 aprile 2019) La sfida di Greta Thunberg alla scuola e a tutti noi, Greta con le sue affermazioni limpide, decise, lineari è venuta a scuotere una impalcatura che sostiene una grande incoerenza della scuola:
“Che senso ha, infatti, sostenere che la scuola debba costruire competenze, cioè permettere a ragazze e ragazzi di incontrare, elaborare e costruire saperi che valgano anche fuori, nella società e nella vita, quando le conoscenze essenziali, che hanno a che vedere con il mantenimento degli equilibri del nostro pianeta, sono ignorate e perfino derise dai potenti della Terra? Che senso ha accumulare conoscenze quando gli allarmi sostenuti da rigorose analisi scientifiche, illustrate fin nei dettagli da centinaia di scienziati e fatte proprie – almeno sul piano formale – da conferenze e riunioni internazionali, riescono solo in minima parte a orientare l’agenda politica e l’elaborazione di nuove leggi nei diversi paesi? Che senso ha studiare se non riusciamo a trasformare e riorientare le abitudini e i comportamenti distruttivi della maggioranza di noi abitanti della Terra? Non si tratta di aggiungere qualche nuovo contenuto di studio, ma di mutare il paradigma e criticare alla radice il bugiardo ossimoro dello sviluppo sostenibile. Capire è cambiare – ci ricorda la ragazza svedese – altrimenti è pura finzione.”
Greta Thunberg esprime insieme un grido di aiuto e una provocazione a scorgere nuovi orizzonti per la scuola e per il sapere: “Per quelli che, come me, ricadono nello spettro autistico, le cose sono sempre bianche o nere. (…) Se le emissioni devono essere fermate, dobbiamo fermarle. Per me questo è bianco o nero. Non ci sono zone grigie quando si parla di sopravvivenza.(…) Da molti punti di vista noi autistici siamo quelli normali, e quelli strani siete voi. (…) Il nostro sciopero della scuola non ha niente a che fare con la politica di un partito. Al clima e alla biosfera non importa niente della politica e delle nostre parole vuote, neanche per un secondo. A loro importa solo cosa facciamo nella pratica. Questo è un grido di aiuto” (Greta Thunberg, La nostra casa è in fiamme).
Lorenzoni osserva: “Lo sguardo e la testimonianza di Greta pongono con forza una questione educativa di fondo, riguardo alla nostra relazione con la conoscenza. All’origine della nostra cultura, nelle prime scuole filosofiche dell’antica Grecia, chi insegnava e studiava non si limitava a elaborare e trasmettere conoscenze, ma cercava di sperimentarle su di sé. Prima che studio, la filosofia era esercizio, pratica. Ed è esattamente di questo che parla oggi Greta”.
La richiesta che proviene dagli scioperi di Greta e dalle sue parole pronunciate davanti ai parlamentari dell’Europa e recentemente anche nel Senato italiano è una richiesta alla radice di ripensamento dell’educazione e della funzione della scuola ed anche del rapporto tra scuola e vivere sociale. Sarebbe importante non perdere queste occasioni di ripensamento e di cambiamento.
Alessandro Cortesi op