II Domenica Tempo Ordinario – anno B – 2021

1Sam 3,3-10.19; 1Cor 6,13-20; Gv 1,35-42
In un tempo in cui ‘la parola del Signore era rara’ Dio chiama Samuele. Anche nel tempo dell’aridità e del silenzio Dio non cessa di rivolgere le sue chiamate. La sua parola si fa strada silenziosamente nella notte, richiede cuori attenti, non guarda alle capacità umane, sceglie i piccoli. E’ parola che passa attraverso la rete di volti e presenze e se da un lato è parola dall’alto, essa si fa vicina per le vie della prossimità di chi accompagna e sta accanto. L’aiuto del vecchio Eli, la sua discrezione e apertura al dono che supera gli schemi umani, è presenza delicata, attenta, che non pretende facili spiegazioni né pine se steso al centro, ma orienta il giovane Samuele a riconoscere una voce che non viene da lui.
‘Parla Signore, il tuo servo ti ascolta’. Tutta la vita del profeta sarà sotto il segno della parola: ‘non lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole’ (1Sam 3,19). La chiamata di Dio come acqua che scende sulla terra genera una fecondità nuova e si fa strada sulla terra nei cammini umani, in un cuore disponibile e generoso.
Anche la pagina del IV vangelo vede al centro una chiamata, anzi una catena di chiamate: due discepoli del Battista iniziano a seguire Gesù di cui viene indicato il profilo dallo stesso Giovanni: ‘Ecco l’agnello di Dio’. Una evocazione del suo cammino e della sua vita spesa come il servo di YHWH, agnello muto di fronte alla violenza.
A chi si pone a seguirlo Gesù rivolge una domanda che costituisce un filo unificante dell’intero racconto del vangelo: ‘Che cosa cercate?’ Al cuore di ogni cammino sta una ricerca Da qui inizia un percorso che conduce sino alla domanda ultima ‘Chi cerchi?’ rivolta da Gesù risorto a Maria nel giardino della risurrezione. Il IV vangelo, ma forse l’intera vita di ogni persona, si pone tra queste domande fondamentali. E i primi discepoli gli chiedono dove abiti? Non è questione di un luogo ma di uno stare con lui che si fa cammino.
Il racconto prosegue ricordando come ‘quel giorno si fermarono presso di lui’. Ed è riportato un ricordo preciso dell’ora di questo incontro: un delicato particolare che rinvia ad un’esperienza personale: un momento in cui si fissa un prima e un dopo decisivo della vita. ‘Abitare’ indica di una condivisione di vita espressa anche nei termini del rimanere. Accogliere la chiamata a seguire Gesù è invito a ‘rimanere’ come condivisione di cammino, di orientamento, ed anche più come uno stare uniti, il rimanere dei tralci inseriti nella vite da cui ricevono linfa e corrente di vita.
L’invito di Gesù ai due discepoli ‘Venite e vedrete’ è così apertura a vivere un’esperienza di condivisione che è in primo luogo esperienza di vita. L’incontro con Gesù – ci dice questa pagina – trova suo inizio e sviluppo negli incontri umani. Andrea era fratello di Simone, e poi Filippo incontra Natanaele dicendo ‘Abbiamo trovato…’
Il seguire si dipana nel tessuto umano di amicizie, rapporti, contatti quotidiani. In Gesù chi lo segue scorge aspetti diversi del suo volto, che interrogano e conducono a rimanere con lui: incontrare lui è rispondere alla ricerca profonda che orienta il cammino umano ed è anche aprirsi a cogliere con stupore sempre nuovo le radici del suo andare: Giovanni Battista fissò lo sguardo su Gesù che passava, coloro che lo seguono dovranno continuare a fissare lo sguardo su di lui.
Alessandro Cortesi op
Abitare
C’è un abitare in luoghi che anziché condurre all’autentico senso dell’abitare come riparo, rifugio, incontro, conforto portano all’isolamento, alla disperazione e al senso di esclusione. E’ l’abitare di chi vive nelle carceri e che in questo periodo della pandemia subisce più acutamente di altri le conseguenze di questa crisi.
All’inizio del 2020 gli istituti penitenziari stavano in condizioni sovraffollamento che vedeva un numero di detenuti di circa 11.000 mila unità in più rispetto ai 50.000 posti regolamentari. Lo scoppio della pandemia ha portato al diffondersi di paura e di timori nell’impossibilità di difendersi dal contagio in condizioni di convivenza forzata e senza dispositivi.
“L’impatto della pandemia ha generato paura e spaesamento nei reclusi. Ogni giorno su tv, radio, giornali, si chiedeva di mantenere il distanziamento sociale e di evitare assembramenti, due cose impossibili da fare nelle nostre carceri” osserva Patrizo Gonnella presidente dell’Associazione Antigone.
Proprio il fatto che le carceri sono luoghi di continui afflussi in entrata e uscita e con la presenza di operatori esterni che entrano ed escono ogni giorno, ha comportato un particolare timore per i detenuti di essere esposti al contagio. Oltre a questo le preoccupazioni per la chiusura dei colloqui hanno condotto a situazioni di sofferenza e di rabbia esplose nelle proteste ad inizio marzo in decine di istituti di pena in tutta Italia che hanno visto quattordici morti al termine delle rivolte.
In poche settimane il numero dei detenuti nelle carceri è stato fatto diminuire di circa 8.000 unità soprattutto per il lavoro della magistratura di sorveglianza. Dopo la chiusura dei colloqui in tutte le carceri del paese a tutti i detenuti, sono state concesse chiamate extra rispetto ai 10 minuti a settimana. Ma allo scoppio della seconda ondata della pandemia in autunno le carceri erano ancora in condizioni di sovraffollamento.
E il sovraffollamento genera situazioni di vita che portano a far sì che la pena risulti una afflizione e tortura. La pena non può divenire una punizione, una forma di vendetta, o di esclusione sociale. Proprio il dettato costituzionale, eredità di un lungo cammino di maturazione del senso di umanità nella giustizia ricorda l’ineludibile carattere educativo mirante ad una reintegrazione nella società di chi ha compiuto un reato. Purtroppo nella società italiana ha visto diffusione una mentalità di tipo giustizialista che contrasta con l’atteggiamento di pietà da avere verso ogni essere umano pur se colpevole di crimini. Come ha osservato Gad Lerner la situazione della pandemia ha evidenziato non solo le carenze strutturali del sistema carcerario ma la sua inadeguatezza. Egli osserva come sia necessario “tener presenti le finalità di reinserimento sociale della pena stessa, apprezzare le buone pratiche che riducono la probabilità di recidiva dei reati, studiare misure alternative alla detenzione, e infine denunciare il sovraffollamento delle carceri per quello che è: una realtà incivile e criminogena” (Gad Lerner, Caro direttore, sulle carceri restiamo umani: è una tragedia, “Il Fatto quotidiano” 1 dicembre 2020)
Sono posizioni che evocano le idee dell’ex magistrato Gherardo Colombo (autore di Anche per giocare servono le regole, ed Chiarelettere) oggi impegnato nel diffondere un’idea nuova di giustizia soprattutto incontrando gli studenti nelle scuole: il carcere non è una struttura in grado di educare e l’autentica giustizia si attua unicamente con l’inclusione (Intervista, “Corriere della sera” 11 settembre 2020 ). Patrizio Gonnella presidente dell’Associazione Antigone osserva: “Quello che serve è investire nelle misure alternative, più economiche e più utili nell’abbattere la recidiva rispetto al carcere. Si devono ristrutturare le carceri esistenti, potenziando le infrastrutture tecnologiche per assicurare la formazione professionale anche da remoto, per consentire ancor più incontri con il mondo del volontariato, per aumentare le possibilità di video-colloqui con familiari e persone care che si aggiungano ai colloqui visivi. Bisogna investire nel capitale umano, assumendo più personale civile… quello che serve è un nuovo sistema penitenziario” (A.Oleandri, Carcere, per i detenuti “un surplus di pena” durante la pandemia, “Il Dubbio” 1 gennaio 2021). Proprio la pandemia ha manifestato l’urgenza di un nuovo modo di abitare la detenzione in vista di un reinserimento sociale, di un nuovo modo di abitare nella società, insieme, di un nuovo modo di abitare e di pensare le relazioni
Alessandro Cortesi op
I domenica tempo ordinario – Battesimo di Gesù – anno B – 2021
Is 55,1-11; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11
Il vangelo di Marco inizia con la presentazione del Battista e subito dopo narra il battesimo di Gesù. La voce dal cielo ‘Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto’ è spiegazione dell’evento e proclamazione di fede dell’identità di Gesù stesso. Il gesto di immergersi nelle acque, proposto da Giovanni, era un segno che indicava penitenza e attesa di un imminente venuta di Dio come giudizio. Esprimeva impegno a cambiare vita confessando il proprio peccato. Indicava un rinnovamento radicale in attesa del giorno del Signore.
Giovanni Battista stesso è presentato con le caratteristiche di un predicatore profetico che chiama tutti a conversione. Il luogo dove Giovanni battezzava, il deserto, faceva tornare all’esperienza dell’esodo, fondante per la fede d’Israele. Si trattava ora di camminare in un nuovo esodo riscoprendo l’affidamento al Dio vicino. La predicazione di Giovanni si accentrava sull’indicazione di qualcuno ‘più forte di me… Io vi ho battezzati con acqua ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo’.’Il ‘forte’, nella tradizione profetica, è il liberatore dalla schiavitù ed è messia (Is 49,24-25). Gesù, nella prima catechesi cristiana, viene presentato come ‘il più forte’ che scaccia il male, personificato in Satana il divisore, e opera gesti di liberazione.
Marco presenta Gesù come uno dei tanti in cammino verso il deserto per ricevere ‘un battesimo di conversione per il perdono dei peccati’. Gesù si presenta così solidale con tutti coloro che sentono il peso del peccato e si aprono ad una salvezza donata. Marco descrive l’immergersi di Gesù e ne offre elementi per interpretare questo suo gesto: ‘Uscendo dall’acqua vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba’. I cieli si aprono e discende lo Spirito. E si ode la voce del Padre ‘Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto’. Sono questi elementi delle manifestazioni di Dio.
I cieli si aprono secondo l’invocazione del profeta : “Se tu squarciassi i cieli e scendessi ‘ (Is 63,16-19). Un primo squarciarsi che rinvia allo squarciarsi del velo del tempio al momento della morte di Gesù (Mc 15.39). La colomba richiama alla creazione, quando lo Spirito ‘covava’ come colomba sulle acque (Gen 1,2). Come Isaia aveva visto posarsi sul messia lo spirito del Signore (Is 11,2) così ora la colomba si posa su colui che viene indicato da Marco come il primo uomo di una nuova creazione: ‘lo spirito del Signore è su di me’ (Is 61,1-2). La voce dal cielo richiama il salmo 2,7, un salmo ora riferito al messia. Gesù è proclamato come il Figlio in un rapporto unico con il Padre: è il prediletto, l’unico, come Isacco, il figlio ‘unico’, che passa attraverso la sofferenza e la prova.
Gesù nel battesimo si presenta con il profilo del figlio/servo di Dio: il suo volto reca i tratti del servo sofferente presentato da Isaia: ‘Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui’ (Is 42,1). La voce del Padre riassume così un’espressione della fede della comunità di Marco. Gesù solidale con il cammino dei poveri e dei peccatori è il servo sofferente: uscendo dalle acque, come Mosè e come Giosuè, apre la via della salvezza. Sarà una via non di possesso e di dominio, ma di dono. Il suo cammino si compirà in un battesimo/immersione nella morte donando la sua vita fino alla fine per la salvezza (Mc 10,38).
Alessandro Cortesi op
Perché spendete denaro per ciò che non è pane?
La domanda al cuore della pagina profetica è forte provocazione a interrogarsi dove si spende il denaro e perché lo si spende per ciò che non è pane cioè possibilità di vita per le persone… Il tempo della pandemia ci ha posto davanti alcune grandi provocazioni per un cambiamento di mentalità e di stili di vita. Su due situazioni tra altre si può porre attenzione. La prima riguarda la assurdità delle spese per la produzione e acquisto di armi e lo scandalo del commercio delle armi in un mondo segnato dalla mancanza delle cure minime e della assistenza sanitaria.
Una recente inchiesta della Fondazione The Bridge ha analizzato la situazione italiana riguardo alle politiche sanitarie. Tra il 2007 e il 2017 viene rilevata una diminuzione del 22% delle strutture di ricovero pubbliche e dell’11% delle private, con una parallela diminuzione dei posti letto in ospedale (-35.797). Da parte dello Stato nel periodo esaminato vi è stato un progressivo venir meno di investimenti nel Servizio Sanitario nazionale. Se nel 1969 vi erano 12 posti letto per 1000 abitanti, attualmente vi sono 3,5 posti letto per 1000 abitanti. Sono anche in calo continuo dal 2010 i finanziamenti ordinari da parte dello Stato al Servizio Sanitario Nazionale in rapporto al Pil dal 2010 è in continuo calo. Tale diminuzione di investimenti ha ampliato la distanza e disparità tra le regioni.
A fianco di questa situazione è da porre attenzione alla situazione del commercio delle armi in cui l’Italia è coinvolta ad esempio nel commercio di armi con Paesi in guerra e con Paesi che violano diritti umani fondamentali. (Rita Rapisardi, Armi sì, respiratori no: nel 2020 oltre 26 miliardi in spese militari per l’Italia, “L’Espresso” 20.05.20). La vendita di armi all’Egitto, ad esempio, un paese da cui si attende ancora risposte riguardo all’uccisione dopo tortura di Giulio Regeni e in cui molti giovani innocenti come Patrick Zaki sono detenuti per tempi illimitati senza alcuna motivazione. L’Italia commercia armi, tra gli altri Paesi, con l’Arabia saudita che bombarda lo Yemen con le bombe prodotte dalla tedesca Rwm in Sardegna. Il nostro Paese sta conducendo il progetto di acquisto degli aerei bombardieri F35 che dovrebbero portare bombe nucleari con un contratto che per 6 aerei ammonta a 368 milioni di dollari. (fonte Aresdifesa). La previsione è quella di una nuova flotta di aerei per la spesa complessiva di 14 miliardi di euro. Sono cifre sconvolgenti se si pensa alle urgenze sociali e assistenziali del nostro Paese evidenziate in particolare nel tempo della pandemia.
La domanda ‘perché spendete denaro per ciò che non è pane?’ interroga anche le modalità in cui si affronta la questione delle migrazioni causate da situazioni di ingiustizia. Non fanno più notizia le morti continue nel mare Mediterraneo che è divenuto il grande cimitero di vittime innumerevoli di naufragi ed è muto testimone delle politiche di respingimento e di tortura attuate dalle milizie libiche che formano la cosidetta Guardia costiera libica sostenuta e finanziata dal governo italiano (Nello Scavo, Amnesty International. Ecco le nuove prove: sui migranti in Libia “abusi di Stato”, Avvenire 20.09.20). Ma non è l’unica frontiera in cui i diritti umani sono calpestati mentre il Patto per le migrazioni in Europa è stato proposto soprattutto nella linea di difendere le frontiere e non secondo una lungimirante prospettiva di solidarietà, di protezione per chi cerca asilo, e di apertura di canali legali di immigrazione per garantire percorsi di integrazione e di inserimento nella vita sociale dei paesi di accoglienza.
Già da tempo inchieste giornalistiche e le voci di organizzazioni umanitarie hanno denunciato la scandalosa situazione dei respingimenti a catena che si sta attuando lungo il confine nordest italiano a cui giunge la cosiddetta rotta balcanica dei migranti. Il 23 dicembre è andato a fuoco un campo profughi a Lipa in Bosnia lasciando più di mille persone senza alcun riparo nell’inverno dei Balcani. La Caritas ha dichiarato una catastrofe umanitaria. Per i migranti la prospettiva è quella di tentare quello che chiamano il ‘Game’ – ossia il tentativo di attraversare Croazia e Slovenia per giungere in Italia – che viene ripetuto e ripetuto nonostante le indicibili difficoltà a passare. Ad attenderli infatti ai confini con la Croazia ci sono milizie in uniforme nera e con il volto coperto che agiscono per mandato e con assenso della polizia croata. Queste usano una violenza inaudita su persone inermi e in cerca di protezione e li respingono lasciandoli feriti e con fratture, privi di viveri, soldi, indumenti e telefonini nei boschi o in riva ai fiumi. Chi riesce, nonostante tutto, a raggiungere il confine italiano, viene trattenuto ai valichi dalle forze di polizia che non consente loro di presentare richiesta di asilo. Funzionari di polizia fanno firmare moduli per ricondurli in Slovenia e da qui in Croazia nuovamente al punto da cui sono partiti in Bosnia, fuori dei confini dell’Europa (F.Tonacci, I sogni spezzati di Osman. ‘Tradito a Trieste mi hanno respinto in Bosnia’, “La Repubblica” 5 gennaio 2021). Si tratta di respingimenti dai tratti totalmente illegali attuati dalla polizia italiana che gode del pieno appoggio politico da parte del governo.
Come in Libia si sta attuando la medesima politica di esternalizzazione delle frontiere: il controllo dei confini è consentito in qualunque forma anche in violazione dei diritti umani, pur di fermare i migranti e impedire loro l’ingresso in Europa. La rete “RiVolti ai Balcani” – composta da molte realtà e singoli in difesa dei diritti delle persone – ha rivolto un appello all’Unione europea e alle autorità internazionali (https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/bosnia-si-fermi-disumanita/) per individuare soluzioni a lungo termine che dotino la Bosnia Erzegovina di un effettivo sistema di accoglienza e protezione dei rifugiati e per attivare un programma di evacuazione umanitaria e di ricollocamento dei migranti in tutti i paesi dell’Unione Europea.
“Sarebbe una situazione ampiamente gestibile se l’Europa avesse visione e capacità di investire a lungo termine trovando soluzioni strutturali” dice Francesca Mannocchi, giornalista “Parliamo di circa 6500 persone ospitate in strutture ufficiali in Bosnia Erzegovina, a fronte di altre 3000 che vivono al di fuori dei centri di accoglienza in campi improvvisati. Quindi, circa 10mila persone: una situazione ampiamente gestibile dall’Europa e anche dalla Bosnia stessa” (…) “La Bosnia, come la Turchia o la Libia o per certi aspetti gli hotspot sulle isole greche sono la cartina al tornasole di una grande ipocrisia da parte dell’Europa. Se le risposte non vengono date per anni si genera una crisi….”. (Antonella Palermo, Il ‘limbo’ balcanico e le cicatrici antiche di chi è in fuga, Vatican News 30.12.20)
Veramente la domanda del profeta “perché spendete denari per ciò che non è pane?” chiede oggi risposta e attenzione. Rimane domanda sospesa che invita a contrastare l’orrore compiuto vicino alle porte di casa nostra, a vincere l’indifferenza complice e spinge a lasciarsi immergere nella solidarietà con l’umanità sofferente di questo nostro tempo.
Alessandro Cortesi op