Omelia della veglia nella notte di Pasqua – 2013
Il tempo regalato nella notte: è questo il primo segno di questa sera. E’ forse tempo per ricordare il senso del nostro tempo. Prima che tempo da sfruttare o da trattenere è tempo da restituire. Il vegliare vuol dire questo. E’ tempo da restituire nel camminare insieme, nell’ascoltare, nel custodire la luce di questa notte. La luce che è Cristo nostra Pasqua: è lui primizia di primavera e di risorgere di vita che ci accoglie e coinvolge.
E poi il fuoco, la luce. E le parole che hanno riannodato, accompagnando a riprendere il filo di un gomitolo, i vari momenti di una storia. Dio che si fa vicino e scende a liberare.
Il canto dell’Exsultet: al suo cuore sta l’elemento decisivo che sostiene la vita dei credenti: non una spiegazione della sofferenza, ma l’annuncio che solo la fiducia incondizionata e totale nel Dio benevolo e misericordioso apre le porte di una vita nella libertà. Nella croce di Gesù, che ha attraversato la sofferenza sta il consolante messaggio che Dio non abbandona nessun angolo della vita umana, anche quello oscuro segnato dall’abbandono, dall’insensatezza, dalla solitudine e dal vuoto. E questo esile annuncio di fede che ha solcato la pesantezza del buio della notte dà la speranza che la sofferenza e il male non è l’ultima parola, ma nella nostra vita e nella vita di ogni uomo e donna c’è l’orizzonte in cui la sofferenza sarà eliminata per sempre. Lui il crocifisso è stato risucitato dal Padre; lui il condannato della croce è costituito Unto e Signore, aprendoci la via della libertà.
E poi l’acqua: l’acqua del primo mare, l’acqua del mar Rosso, l’acqua della liberazione, l’acqua vista dalla Bibbia come rinvio alla parola: come l’acqua scende dal cielo, così la parola, come l’acqua non ritorna senza effetto, e fa germogliare e genera processi vitali frutti, cibo, vita, così la parola “non tornerà a me senza aver operato quanto desidero…”. La parola al centro, la parola di Dio nelle parole di uomini.
Ed è una parola l’annuncio che inizia con una domanda: “perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea”
E’ annuncio che distoglie da un presente chinato sul luogo della morte. Apre ad una ricerca nuova ed offre tracce nel passato. Solo ritornando a quello che Gesù ha fatto e detto si può vivere un incontro nuovo con lui. E’il vivente da cercare portando il ricordo, ma non lasciandosi imprigionare dal ricordo. Facendo del ricordo la spinta per maturare speranza.
Le donne recatesi quando era ancor buio al sepolcro, cercano ma non trovano. La loro ricerca è indirizzata al corpo del Signore. E questa ricerca fallita è illuminata dalla voce di due uomini – dice Luca -, portatori di una parola che viene da altrove. E’ la parola al centro della pagina costruita proprio attorno ad essa: il vivente non va cercato tra i morti, ma va cercato altrove, nei luoghi della vita. I credenti d’ora in poi sono invitati a cercare, a cercare sempre, a cercare oltre.
Non sono invitati ad altro se non a cercare, a cercare il suo corpo come corpo di un Vivente. La fede in lui come ricerca del suo corpo, della sua vita in relazione. Non è casuale questo invito. Nel vangelo di Luca si potrebbero rintracciare tante ricerche di Gesù. Sarebbe bello ripercorrere i vari percorsi della ricerca di Gesù nell’intero vangelo di Luca che sembra proprio tessuto su questo filo di base.[1]
‘Non cercate qui ma altrove…’ è l’invito dei messaggeri di Dio; per contro c’è l’indicazione di una ricerca da iniziare. Non nei luoghi della morte ma altrove. E’ vivo. Ma allora Gesù è da cercare, in un movimento che si pone tra la memoria e il presente, tra il ritorno alla Galilea, la ricerca delle sue tracce e l’inseguire i segni della sua vita.
Troppo spesso abbiamo rinchiuso Gesù in un possesso fissato in sistema religioso o nella prccupazione di costruire e mantenere strutture clericali, o in una dottrina chiusa nella pretesa di ridurre tutto a spiegazione, non aperta a ricerca, al silenzio delle domande radicali, alla fede nuda, al riconoscimento della alterità di Dio nella nostra esistenza. La fede è ricerca, la vita cristiana è ricerca, l’esistenza in rapporto al risorto è cercare nella vita.
Ma il cercare è l’attività di chi non sa, di chi chiede, di chi ha bisogno dell’altro, di chi si apre ad accogliere in modi insospettati il suo passare. Dentro la vita. E’ vivente. In queste parole si apre un modo di intendere la fede come relazione e apertura. Il cercatore è l’opposto del difensore tronfio e presuntuoso, è anche l’opposto di chi pur in atteggiamento umile, pensa di dover solo dare – si pensi alle varie forme di paternalismo così diffuse-: il cercatore è povero in radice. Povero perché sa che da ogni altra povertà può farsi cambiare e può lasciarsi aprire alla verità della sua vita e all’incontro con colui che si è fatto povero per noi… L’indicazione di cercare altrove è il delineare anche di una identità di chi crede, che non potrà mai essere identità senza l’altro, senza interrogare, senza leggere i segni, e senza lasciarsi provocare da altri.
Non cercate qui ma altrove, e forse anche c’è anche un altro invito che dovrebbe risuonare dalla lettura del tema dela rcierca nel vangelo di Luca: non intestardirti a cercare, ma lascia spazio a colui che ti cerca. Prima della ricerca umana c’è una ricerca che precede. Lui per primo viene a cercarci nel cammino della vita, e lui si fa vicino, in modi che lui solo sa, laddove non c’immaginiamo (come dirà il racconto dei due di Emmaus), talvolta nella presenza di uno sconosciuto o di un incontro imprevisto. La messa in guardia di Luca in questa pagina è di capovolgere il modo di pensare religioso. Stare nella vita, leggere il presente, accogliere i volti stranieri, lasciarsi interrogare dalle situazioni, dalle voci diverse, dalle altre culture, lasciarsi ferire dalla critica e dal rifiuto rintracciando anche lì la voce del Vivente che mette in cammino. D’ora in poi colui che è vivo si farà vicino nelle parole della vita, nelle parole scambiate, nei cammini condivisi, nei gesti che profumano di ospitalità.
E’ capace di cercare chi sa confrontarsi con una assenza: tutta la vita credente sorge da una assenza, da una mancanza, come anche tutta la vita umana si pone in una ricerca di un tu che sia di fronte, si confronta con il limite e con la mancanza. In questa esperienza di essere soli, Luca suggerisce che la Pasqua apre ad un percorso nuovo, rompe con i ritorni delusi per aprire sempre a nuove partenze.
Non solo ma ci dice anche che il vivente è più di ogni libro che parla di lui, è solamente nella vita che può essere incontrato, solo immergendoci nell’esistenza, nella comunicazione e nell’incontro è possibile trovare sue tracce che resteranno sempre e solo tracce che rinviano ancora a ricercarlo, mai a pretendere di essere coloro che esauriscono la conoscenza di lui. Così come lui si è fatto incontrare nella sua umanità: ritrovare l’umanità di Gesù, la semplicità dei suoi gesti, il senso profondo del suo passare facendo del bene.
Porto una domanda questa notte: quale è il significato possibile della Pasqua per credenti e per non credenti? Per i credenti è apertura alla ricerca, e direi anche per chi non crede. Etty Hillesum scrisse il 3 luglio 1942, prima di essere portata a morire ad Auschwitz: «Io guardavo in faccia la nostra distruzione imminente, la nostra prevedibile miserabile fine, che si manifestava già in molti momenti ordinari della nostra vita quotidiana. È questa possibilità che io ho incorporato nella percezione della mia vita, senza sperimentare quale conseguenza una diminuzione della mia vitalità. La possibilità della morte è una presenza assoluta nella mia vita, e a causa di ciò la mia vita ha acquistato una nuova dimensione». E ancora parlando di tempi angosciosi “Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me… l’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi e anche l’unica che veramente conti è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio… tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”
Le donne sono le prime che accolgono l’annuncio della risurrezione. E’ indicazione fondamentale: la scelta delle donne in un mondo in cui la loro testimonianza non aveva valore e questa traccia conservata nei vangeli, mantenuta nonostante le possibili critiche a cui si esponeva. E’ traccia importante. Ancor oggi le parole più profonde di vangelo provengono da persone che non hanno diritti riconosciuti di testimonianza, da uomini e donne liberi, non integrati in appartenenze chiuse, non impauriti. Sono le persone che vivono la fiducia nell’umanità, la ricerca dei volti degli altri, la capacità dei gesti di cura possibili, nel tessere relazioni nuove, anche in situazioni di morte. Sono costoro che fanno avanzare il mondo, credenti o non credenti. In questa fiducia sta il senso della Pasqua che unisce credenti e non credenti, in una medesima apertura a vivere la povertà di questa notte nella possibilità di attendere dagli altri e dall’Altro la luce che è lampada ai nostri passi.
Dono della Pasqua non è solo l’uscire dal luogo della morte di Gesù, ma è il dono di una possibilità offerta a noi di non rimanere chiusi da tutte le pietre che rinchiudono e opprimono la vita. E’ apertura ad una possibilità di libertà, anche nelle situazioni più pesanti e faticose. Nella fiducia in Dio e nell’umanità.
Alessandro Cortesi op
[1] A partire dal momento della sua infanzia quando Gesù viene rimproverato dalle parole di Maria: ‘tuo padre e io ti cercavamo…’ (Lc 2,44-48) Ma poi c’è anche la ricerca della folle che lo cercava dopo che avevano visto le guarigioni di Gesù a Cafarnao (Lc 4,42) e che cercava di toccarlo (Lc 6,19). Ma c’è anche un’altra ricerca, quella di Erode incuriosito, che cercava di vederlo (Lc 9,9). E Gesù nelle parole conservate da Luca invita alla ricerca ‘cercate e troverete’ (Lc 11,9). E d’altra parte Gesù ha parole dure per una generazione malvagia ‘che cerca un segno’ (Lc 11,29) ma ad essa non sarà dato se non ‘il segno di Giona’. E ancora ‘non cercate perciò che cosa mangerete o berrete, e non state con l’animo in ansia’ cercate piuttosto il regno di Dio (Lc 12,29-30): c’è una ricerca che mantiene nell’angoscia e c’è una ricerca che assorbe tutta la attenzione di Gesù, la ricerca del regno di Dio. C’è anche un ricerca presentata nelle parabole. E’ la ricerca di Dio che si fa incontro: un padrone che viene a cercare frutti dal fico piantato nella sua vigna (Lc 13,6). Ma c’è anche una donna che nella casa cerca attentamente se ritrova la dramma perduta (Lc 15,8) e così c’è il pastore che va dietro alla pecora perduta finché la ritrova: la cerca (Lc 15,4) così come il padre che va alla ricerca prima del figlio che si è allontanato da lui e poi dell’altro che è rimasto vicino. E anche Zaccheo – dice Luca – cercava di vedere Gesù, ma scopre di essere per primo da lui cercato: ‘il Figlio dell’uomo è venuto infatti a cercare e a salvare ciò che era perduto’ (Lc 19,10). C’è un contrasto di ricerche: anche scribi e farisei cercano ma nel tentativo di farlo perire (Lc 19,47), e così scribi e sommi sacerdoti cercarono di mettergli le mani addosso (Lc 20,19) ma ebbero paura del popolo. E il racconto della passione inizia ancora con un movimento di ricerca: ‘cercavano di toglierlo di mezzo’ (Lc 22,2) e così ‘Giuda cercava di trovare l’occasione propizia per consegnarlo loro di nascosto dalla folla’. Gesù proprio nel Getsemani dice a Pietro: ‘Simone satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te’ (Lc 22,31). L’intero lavoro di Luca come evangelista si pone nell’orizzonte di ‘fare ricerche accurate’ (Lc 1,3).
Domenica di Pasqua – anno C – 2013
(Gerhard Richter, vetrata, Cattedrale di Colonia)
At 10,34-43; Sal 117; 1Cor5,6-8; Gv 20,1-9
Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando ancora era buio e vide…
Era buio dentro il suo cuore ed era buio perché ancora la luce dell’aurora di quel mattino di primavera non era spuntata. Il IV vangelo presenta un gesto di amore in apertura di questa pagina: il primo passo della fede sorge da un amore che spinge, da una nostalgia di stare vicino, dal recare nel cuore il desiderio di ritrovare il volto di Gesù. Maria è testimone di un rapporto profondo umanissimo e tenero con Gesù, testimone della scoperta che nella sua vita quell’uomo ha aperto speranza, senso e gioia ai suoi giorni. L’ha chiamata per nome e Maria non può dimenticare quella voce e quello sguardo. Da qui nasce l’alzarsi presto e il cammino che la conduce a vedere. E’ il vedere di una donna – sottolinea Giovanni – e la sua parola il primo germoglio della fede pasquale. Maria di Magdala prende il coraggio, forse insieme ad altre – ma il suo nome è ricordato dal IV vangelo – di alzarsi e andare al sepolcro e vide…Si ritroverà Maria in un altro racconto, sola nel giardino davanti al sepolcro vuoto, in un incontro in cui lei viene accompagnata a spostare la sua ricerca. Maria sta cercando, ma rivolta al Gesù del passato, è legata al ricordo e presa dalla tristezza della morte. Ora dovrà aprirsi a ricercarlo in modo nuovo, vivente, senza trattenerlo…
Il vedere di Maria si fa annuncio e comunicazione: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto”. La tomba vuota di per sé non dice nulla, è segno anche contraddittorio ed apre a pensare varie ipotesi: un trafugamento, oppure uno spostamento. Tuttavia Maria parla di Gesù come ‘Signore’ e così già dice qualcosa della sua identità di colui che ha vinto la morte. Ma dice anche il suo smarrimento di fronte al non sapere…
Da questo primo cammino che è cammino di visita e di attesa, un cammino segnato dall’amore, prende avvio un secondo cammino, quello di Pietro e del discepolo che Gesù amava. Inizia dal vedere di donna, e sorge dal desiderio di amore recato nel cuore da Maria di Magdala. Pietro e l’altro discepolo uscirono insieme e correvano. Non più un cammino ma una corsa. Insieme. Ma l’altro discepolo correva più veloce e arrivò per primo. In questa corsa l’autore del IV vangelo descrive un’esperienza profonda che riguarda i rapporti tra i due, ma non solo, anche tra diverse componenti della comunità credente: Pietro, il primo dei dodici, diviene simbolo dell’istituzione. L’altro discepolo, quello che Gesù amava, è il discepolo segnato dallo sguardo dell’amore, diviene simbolo del carisma, del dono che apre il cuore e lo rende capace di vedere oltre. Pietro diviene così simbolo dell’istituzione, e il discepolo dell’intuizione e del dono di chi ama. Il discepolo giunto al sepolcro vide i teli posati e si arresta sulla soglia, ma non entra. Attende Pietro che vede i segni presenti: i teli, il sudario avvolto in un luogo a parte. “Allora –dice il IV vangelo – entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo, e vide e credette”. Era giunto per primo e si era fermato sulla soglia, attendendo che fosse Pietro per primo a fare ingresso nel sepolcro. Quando però entra per primo ‘vide e credette’ – dice Giovanni – . Il suo vedere non si ferma alla superficie, sa leggere dentro. E’ un vedere nutrito di un rapporto profondo con Gesù, e si apre al credere. Quei segni che di per sé sono ambigui indicano che Gesù non è rimasto prigioniero della morte, ma la sua fedeltà all’amore sino alla fine ha vinto la morte. Dio non lo ha liberato dalla morte ma lo ha liberato nella morte. Il discepolo compie così il passaggio dai segni al credere.
Ma l’annotazione finale è tagliente: “Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risuscitare dai morti”. Sembra che tutta la Scrittura sia racchiusa e sintetizzata in questa necessità: che egli doveva risorgere dai morti. E’ una chiave di lettura di tutta la Scrittura, ma è anche una indicazione alla comunità per tornare alla Scrittura e scoprire, proprio partendo dalla Scrittura che tutta la vicenda di Gesù s’inserisce nel cammino dell’alleanza e dell’incontro del Dio di Abramo Isacco e Giacobbe, dell’esodo e dei profeti con l’umanità.
Vorrei suggerire due annotazione per leggere questa pagina nel nostro tempo.
Questa pagina ci parla di cammini che sorgono dall’amore: sono cammini di ricerca. In un tempo in cui ci si chiede come si può trasmettere la fede e come la fede può essere generata nei cuori questa pagina può essere illuminante per scorgere come la fede non può andare senza una gradualità e una fatica di ricerca: come per Maria che si apre alla fede nel risorto solo poco alla volta, passando attraverso la sua nostalgia di Gesù, lasciando spazio a quella spinta che è ricerca nella sua vita, e incontrando la parola di Gesù ‘chi cerchi?’ solo ad un certo punto. E così anche per Pietro e l’altro discepolo, in modi diversi, in una corsa che li porta ad incontrare segni ambigui e ad essere illuminati dall’amore che fa leggere i segni e andare oltre, accogliendo la Parola che illumina i segni, riandando alla Scrittura che parla di una fedeltà di Dio oltre la morte. Ogni sorgere del credere deve passare attraverso un andare, una relazione insieme che genera nuovi percorsi e un vedere. Ma anche tutto questo a nulla apre se non vi è il respiro della relazione viva. E’ quella nostalgia che spinse il recarsi presto di Maria e lo sguardo del discepolo che Gesù amava: è l’amore ricevuto ciò che genera ogni percorso del credere nel risorto. Per passare dalla nostalgia, sguardo al passato, in apertura ad un incontro da vivere ancora…
Una seconda osservazione: la fede nel risorto è esperienza che sorge da una assenza. C’è un vuoto e ci sono i segni di una assenza nel vedere di Pietro e dell’altro discepolo. Gesù non è più da ricercare nel luogo della morte, ma sarà da ricercare come presenza nuova. Quel vuoto deve rimanere però al cuore della fede, perché la farà rimanere sempre umile, la farà rimanere sempre in movimento, cammino spinto dall’amore e talvolta corsa per vedere e per vedere segni, per aprirsi ad un nuovo vedere. Mai però un vedere presuntuoso e autosufficiente. Sarà sempre un vedere chiamato ad andare oltre, che porta le ferite di una attesa e di una tensione. Rimarrà sempre cammino di ricerca che rende vicini e capaci di avvertire la sofferenza di tutti coloro che cercano e che sperimentano il dolore di una assenza e di un vuoto nella vita. Rimarrà sempre ricerca che mai può possedere ma sempre sarà sfidata nel leggere i segni e nell’ascoltare una Parola che si fa vicina in parole umane. Sempre alla ricerca di una presenza viva eppure non disponibile, in attesa della sua venuta. Se il grande tesoro della fede pasquale è l’annuncio che Gesù ha vinto la morte, questo tesoro è da custodire nella memoria della via seguita da Gesù, nel custodire la parola della croce, non con la presunzione di chi possiede, ma nella consapevolezza di un dono di presenza da accogliere continuamente.
Alessandro Cortesi op