III domenica di Pasqua – anno B – 2024
At 3,13-15.17-19; 1Gv 2,1-5a; Lc 24,35-48
Gli Atti degli Apostoli presentano alcuni tratti fondamentali della prima predicazione su Gesù che al centro vede la testimonianza della sua morte e risurrezione. Pietro, prendendo la parola a Gerusalemme contrappone l’agire degli uomini con la loro violenza all’azione potente di Dio che non ha lasciato Gesù nell’oscurità della morte ma lo ha ‘rialzato’: a Lui Gesù ha affidato tutta la sua vita chiamandolo Abbà: è lui che lo ha risuscitato dai morti.
La prima comunità ha vissuto l’incontro nuovo con Gesù, il crocifisso, dopo i giorni della passione nel suo farsi loro incontro. Il medesimo di prima, ma vivente in modo nuovo. Gesù non è tornato alla vita di prima. La sua risurrezione è evento non richiudibile nella storia, ma è irruzione dell’ultimo. E’ assolutamente nuovo e non dicibile perché evento escatologico. La presenza del Risorto chiede di essere riconosciuta con uno sguardo nuovo, nella fede. Pietro annuncia a Gerusalemme che con il suo intervento il Padre ha portato a compimento ‘ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il Cristo sarebbe morto’. Luca insiste in tutta la sua opera, sul fatto che la passione di Cristo è stata predetta dai profeti (cfr. Lc 9,22; 18,31, 22,22; 24,7; At 2,23; 3,18; 4,28). Non si tratta del compimento di una previsione; piuttosto è coerenza letta nella luce della Pasqua, tra l’agire di Dio nella storia di salvezza e la vicenda di Gesù di Nazaret. La sofferenza, la passione e la morte di Cristo sono così viste come adempimento del farsi vicino di Dio all’umanità per vie che sono altre dalle nostre vie. Cristo compie le Scritture perché vive l’inermità, il servizio, la condivisione della vita dei disprezzati. Per la prima comunità poteva presentarsi il rischio, dopo la Pasqua, di dimenticare che Gesù aveva scelto di condividere la condizione delle vittime. Nel suo vangelo Luca è attento a tutto ciò narrando il percorso di Gesù verso Gerusalemme dove incontrò rifiuto e condanna. La risurrezione è evento in cui il Padre conferma che quella via è la via della vita e della risurrezione. Il Padre ha glorificato il torturato e disprezzato della croce: la sua gloria è l’altro versante del suo dono e della fedeltà al suo progetto.
Luca presenta l’apparire il Risorto a Gerusalemme, dove gli undici e gli altri con loro sono condotti ad aprirsi ad un incontro nuovo con Gesù. Insiste sul fatto che il Risorto è il medesimo del crocifisso e la sua presenza è viva e reale. Preoccupato di contrastare interpretazioni puramente spiritualistiche – forse presenti anche nella sua comunità – proprie di una mentalità che disprezzava il corpo, Luca contrasta l’idea che la risurrezione sia identificabile con una sorta di immortalità dell’anima. La risurrezione investe tutte le dimensioni della persona di Gesù: ‘Sono proprio io’ dice ai suoi.
E’ possibile un incontro reale con Gesù ed essere coinvolti nella sua vita di Risorto in una condizione nuova percepibile nella fede. Nel gesto di mangiare insieme si rende vicina la sua presenza: Gesù che aveva condiviso la tavola con i suoi ora si dà ad incontrare in modo nuovo inatteso, e comunica che la sua vita coinvolge tutte le dimensioni della vita umana. Richiede da loro uno sguardo di affidamento nel percorso di fede. Così Gesù in mezzo ai suoi apre all’intelligenza delle Scritture: proprio il ritornare alle Scritture è itinerario per scoprire il disegno di fedeltà di Dio nella storia ed è luogo in cui incontrare il Risorto. Il saluto della pace racchiude anche una missione. Nell’esperienza di condividere il pane, di ascoltare delle Scritture, di tessere pace il Risorto si dà ad incontrare e suscita il cammino della testimonianza.
Alessandro Cortesi op
V domenica di Pasqua – anno B 2024
At 9,26-31; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8
L’immagine della vigna è familiare ad Israele ed alla Bibbia; l’ulivo con la vite è parte del panorama mediterraneo.
La vigna ritorna tante volte nei testi biblici: è segno del popolo d’Israele che Dio guarda con cura appassionata. E’ segno di promessa e benevolenza. D’altro lato parla di infedeltà, di dimenticanza e di durezza di cuore.
Anche nel IV vangelo la vite è immagine ripresa nei discorsi dell’ultima cena: attorno ad essa è tessuto il secondo discorso di addio di Gesù ai capp. 15 e 16, che succede in modo un po’ problematico al primo discorso che occupa i capp. 13 e 14 perché questo termina con le parole: ‘Alzatevi, andiamo via di qui’ (Gv 14,31). Il riferimento alla vite si può accostare alla benedizione sul vino, uno dei momenti del rito della pasqua ebraica. In tale contesto il richiamo alla vigna con le sue valenze di dolcezza e cura ma anche di drammatica infedeltà e giudizio, è ripresa. Gesù dice: ‘Io sono la vera vite’ e la vite diventa uno degli elementi che compare in una di queste formule ‘Io sono’ che il IV vangelo usa per indicare l’identità di Gesù.
La vite passa da essere rinvio ad Israele ad indicare la presenza stessa di Gesù: la vera vite è lui. Nella metafora si può cogliere la sua vicenda personale ma anche la dimensione comunitaria, la comunicazione di vita che da lui proviene. In lui si compie la cura e la fedeltà colma di affetto del Padre che la vite come simbolo racchiudeva. Ancora è lui che porta quei frutti che il Padre si attendeva: frutti di misericordia. Sono giunti allora in lui i tempi ultimi.
Ma nelle parole di Gesù questa identificazione della vite con la sua persona si apre anche ad un altro aspetto: in lui si compie una comunicazione nuova, una comunione di vita. Tutti coloro che a lui sono uniti e traggono la linfa che da lui proviene sono colore che credono nel suo nome: sono tralci viventi della sua stessa vita e potranno portare frutto in questo legame.
‘Rimanete in me’ è l’invito ripetuto più volte in questa pagina: all’inizio del IV vangelo alla domanda di Gesù ‘Che cosa cercate?’ i discepoli lo seguirono e ‘rimasero’ presso di lui lui (Gv 1,39). Il verbo ‘rimanere’ dice una familiarità di vita, un legame di amicizia, una intimità di condivisione. L’offerta di amicizia di Gesù ai suoi genera una reciprocità: i tralci rimangono nella vite ma è anche Gesù che rimane nei suoi e sta qui la possibilità di portare frutto.
L’essere discepoli di Cristo si attua nei frutti che esprimono lo stile della sua presenza e il senso della sua vita. Gli stessi tralci non vivono da soli, distaccati gli uni dagli altri, ma insieme: Gesù propone ai suoi un ‘rimanere’ che implica accogliere e vivere come comunità. Motivazione e forza dello stare insieme sta nella forza di vita che da lui proviene. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.
Alessandro Cortesi op