VII domenica tempo ordinario – anno A – 2023
Lv 19,1-2.17-18; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48
“Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. Al cuore della Bibbia sta una chiamata alla santità, da declinare in linguaggi nuovi. E’ un testo del Levitico che trova eco in un testo del Nuovo Testamento la prima lettera di Pietro (1Pt 1,16) in cui si richiama l’orizzonte della vita cristiana quale partecipazione di una comunità al dono di vita che viene da Dio da seguire nel fissare lo sguardo su Gesù. Santità nel linguaggio biblico esprime lo spessore della vita di Dio, la sua profondità. E’ in fondo espressione che dice l’amore e il dono di vita e salvezza che proviene dalla presenza innominabile che si rende vicina. E’ chiamata esistenziale che lega insieme in un cammino di comunità che si sostiene e che condivide i passi di ogni giorno e non di individui isolati e ripiegati.
Nel testo del Levitico l’appello ad essere santi riguarda il rapporto con Dio unico santo e indirizza immediatamente ai rapporti con gli altri. “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello”. Rispondere alla santità di Dio conduce a liberarsi dall’odio che matura nel fondo del cuore se lasciato crescere, se tenuto al caldo come in una cova. E’ anche indicazione che la ‘santità’ si attua nella relazione con l’altro. “Amerai il prossimo tuo come te stesso” è l’imperativo che discende dall’affermazione “Io sono il Signore”. Letteralmente andrebbe tradotto “amerai per il prossimo tuo ciò che desideri per te”: non può esservi un comando ad amare qualcuno, ma vi può essere il comando a volere per l’altro quanto riguardo i suoi diritti fondamentali. La santità quindi si nutre di uno sguardo nuovo liberato dalla logica dell’inimicizia. Ed ha il suo momento sorgivo nel cuore. Ciò si attua in modi plurali e diversi nell’immersione nella vita, nella fedeltà al quotidiano. Ognuno per la sua via… tante e diverse possono essere le forme della testimonianza della fede che spesso si trova al di là delle appartenenze e dei recinti di chiese là dove si attua un chinarsi sull’altro per sostenerlo e aprirgli vie di libertà. Un cammino di santità si delinea non come espressione di cose eccezionali ma come via di vita ordinaria, per tutti, nel rispondere al rapporto con Dio nella vita: implica immersione piena nell’adempimento di impegni, nel prendersi cura, nel coltivare relazioni e frammenti di realtà… E’ in fondo espressione di amore nelle forme le più diverse e meno codificabili nell’esperienza della vita. Nei diversi tempi e in molti modi la vita presenta situazioni e chiamate sempre nuove. Siamo chiamati a stare nel momento presente, ad andare avanti giorno per giorno. In questo stare nella vita secondo vie di amore si attua la santità.
“Avete inteso che fu detto: ‘Occhio per occhio e dente per dente’ Ma io vi dico di non opporvi al malvagio” Nelle antitesi del discorso della, montagna Gesù chiede una giustizia sovrabbondante, una fedeltà a Dio che esprima nella vita la radicalità del dono ricevuto, e la esprima in nuovi rapporti con gli altri. Già la legge del taglione occhio per occhio e dente per dente è un tentativo di limitare lo sconfinare della violenza. Ma per Gesù il superamento della vendetta e della rappresaglia non basta ancora. Fa infatti scorgere l’inedito di andare oltre la logica della violenza. E chiede una testimonianza che si pone di fronte all’altro senza pretese di potere e nell’inermità, nella fiducia posta sulla potenza dell’amore. E’ la via che sembra utopica e dei perdenti, di coloro che sono destinati ad essere schiacciati dalla forza di chi s’impone con la violenza e l’oppressione. E’ tuttavia in radice chiamata ad una libertà da coltivare nella mitezza, nella proposta di un orientamento nuovo che genera pace perché esige cambiamento del cuore: da un cuore arrogante ad un cuore di pace. La parola esigente di Gesù che orienta ad amare il nemico non è invito a lasciarsi schiacciare dalla violenza, a giustificare l’ingiustizia, a subire l’oppressione: si connota invece come protesta contro l’ingiustizia e resistenza radicale per aprire spazi ad un incontro che disarmi la violenza con lo stile mite di chi cerca la pace, con la nonviolenza attiva che è stata la via seguita da Gesù.
“non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” La lettera di Paolo ai Corinzi richiama ad un respiro da individuare nell’interiorità: al fondo del cuore sta la profondità di un respiro, soffio di Dio quale dono da riconoscere e accogliere. E’ lo Spirito di Dio che incontra e si rende presente nello spirito di ogni uomo e donna, cuore profondo della sua esistenza. Lasciare spazio a questa luce e questa forza è via per scoprire la santità in quanto risposta alla vita in cui siamo immersi.
Alessandro Cortesi op
Dall’esortazione apostolica di papa Francesco Gaudete et exsultate (19 marzo 2018)
“…quello che vorrei ricordare con questa Esortazione è soprattutto la chiamata alla santità che il Signore fa a ciascuno di noi, quella chiamata che rivolge anche a te: «Siate santi, perché io sono santo» (Lv 11,44; 1 Pt 1,16). Il Concilio Vaticano II lo ha messo in risalto con forza: «Muniti di salutari mezzi di una tale abbondanza e di una tale grandezza, tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste» (LG 11).
11. «Ognuno per la sua via», dice il Concilio. Dunque, non è il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili. Ci sono testimonianze che sono utili per stimolarci e motivarci, ma non perché cerchiamo di copiarle, in quanto ciò potrebbe perfino allontanarci dalla via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi. Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui (cfr 1 Cor 12,7) e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di testimonianza” (Gaudete 10.11)
“4. I santi che già sono giunti alla presenza di Dio mantengono con noi legami d’amore e di comunione.(…)
6. Non pensiamo solo a quelli già beatificati o canonizzati. Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio, perché «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità» (LG 9). Il Signore, nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo” (Gaudete et exsultate 4.6).
“Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità” (J.Malègue, Pierres noires. Les classes moyennes du Salut, Paris 1958) (Gaudete et exsultate 7).
“tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste” (Lumen Gentium 11)
III domenica di Quaresima – anno B – 2024
Es 20,1-17; 1 Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
Dopo l’alleanza con Noè e la pagina della promessa ad Abramo la terza domenica di quaresima accompagna a sostare sul dono della legge di Mosè. Le dieci parole della legge acquisiscono il loro significato dalla prima parola, loro inizio e fondamento: “Io sono il Signore, tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto”. La parola di Dio che dice appartenenza e legame sorge dal dono di una relazione vivente, da una promessa di vicinanza e fedeltà. Il Dio dell’alleanza avrà per sempre il tratto del liberatore, colui che è sceso ascoltando il grido della sofferenza per trarre fuori Israele dalla schiavitù. La legge si fa declinazione di una parola di alleanza e cura. Diviene indicazione di una via su cui Israele è chiamato a camminare per essere tra i popoli testimone del Dio liberatore e per trasmettere ad altri il dono della liberazione.
“Si avvicinava intanto la pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme” (Gv 2,13). Il gesto di Gesù della cacciata dei venditori dal tempio è posto dal IV vangelo nel quadro della Pasqua agli inizi della sua attività pubblica. A differenza dei vangeli sinottici che lo pongono poco prima degli ultimi giorni a Gerusalemme ancora in rapporto all’arresto alla condanna e alla passione e morte.
Il gesto di Gesù non è solamente una critica ad un modo di vivere la religione che riduce il luogo del tempio segno della presenza di Dio, ad un mercato. Gesù critica come i profeti lo snaturamento del vero culto di cui il tempio era segno e che egli stesso riconosceva. Questo suo gesto – vicino alla Pasqua – assume anche una valenza di profezia. Gesù viene ad indicare la fine della ricerca di un culto a Dio nel tempio. Il suo corpo, la sua vita è ‘tempio’. Il culto a cui egli richiama non è risolvibile in gesti di offerta e di devozione, ma è coinvolge la vita, implica un guardare al suo corpo di torturato del Golgota, che s’identifica con tutti i torturati della storia. Il tempio, luogo d’incontro con Dio, è da scorgere nella sua umanità che si lega ad ogni volto di vittima e oppresso. E la grade questione che attraversa il IV vangelo è la provocazione ad un nuovo rapporto con Dio: è un nuovo culto che non si pone come sostituzione di un altro ma chiede una attitudine in spirito e verità (cfr. Gv 4,21-24). Non più su un tempio o un altro Dio cerca i suoi adoratori. “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere… Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”.
L’intero IV vangelo conduce il lettore in un cammino del ‘credere’: il segno del tempio rinvia alla persona di Gesù si fa invito ad incontrare il Padre in spirito e verità. Sul volto del crocifisso si può scorgere la gloria di Dio, la rivelazione dell’amore.
La quaresima è cammino che guida ad accogliere Gesù Cristo potenza e sapienza di Dio.
Alessandro Cortesi op