XXVI domenica tempo ordinario – anno C – 2022
Am 6,1.4-7; 1Tim 6,11-16; Lc 16,19-31
Un ricco, senza nome, e un povero, Lazzaro (‘El azar’ significa ‘Dio aiuta’) sono posti uno di fronte all’altro nella parabola di Luca. La parabola richiama ad aprire gli occhi e lasciarsi toccare dalla sofferenza dei poveri. E’ anche proposta a praticare uno stile di vita in ascolto della Parola di Dio: essere discepoli di Gesù richiede di liberarsi dalla ricchezza come dominio e dal senso di autosufficienza che essa porta nella vita. Se la ricchezza non è condivisa diventa fonte di ingiustizia e indurisce il cuore.
All’inizio della parabola due quadri sono posti in parallelo: da un lato la vita del ricco spensierato e gaudente, nel lusso e nei piaceri. Alla porta di quella casa, fuori, sta un povero, Lazzaro accerchiato dai cani randagi. Il momento della morte porta ad un rovesciamento della situazione: Lazzaro è portato dagli angeli accanto ad Abramo mentre il ricco è immerso nei tormenti.
La parabola non intende essere un insegnamento su ciò che vi sarà dopo la morte e su questo riprende motivi dell’immaginario ebraico sull’aldilà: il seno di Abramo e una situazione di sofferenza e pena. Nel contrapporre la diversa situazione di Lazzaro e del ricco è forte il richiamo rivolto a coloro he ascoltano ad interrogarsi sulla responsabilità nella loro vita, ad essere vigilanti nel presente.
Gesù non condanna la ricchezza di per sé e il suo agire è orientato ad eliminare le condizioni di povertà e miseria. Ma ha parole dure contro la spensieratezza e l’indifferenza di chi non si apre alla sofferenza degli altri e non vive la condivisione. L’autentica felicità non proviene dall’accumulo dei beni, anzi questo genera ricchezza disonesta. Gesù propone di cercare relazioni nuove di cura, di accoglienza, con gli altri, con Dio: i beni vanno usati quale strumento per rapporti nuovi di giustizia, di bene condiviso. Non si deve essere preoccupati dell’accumulo diventando così stolti (cfr. Lc.12,20) e ciechi di fronte all’indigenza e alla fatica di chi soffre. La presunzione e la superficialità del ricco sono considerati da Luca come un ostacolo insormontabile a comprendere la via che Gesù indica ai suoi. Luca indica la via della povertà quale scelta per seguire Gesù.
La parabola continua in una seconda parte in cui vi è un dialogo. Il ricco tra i tormenti chiede ad Abramo di poter avvisare i suoi fratelli, perché non abbiano a subire la medesima sorte e Abramo risponde: “Hanno Mosè e i profeti: li ascoltino… Se non ascoltano Mosè e i profeti, anche se uno risuscitasse dai morti non si lascerebbero convincere”.
Sta qui il vertice dell’intera parabola: Mosè e i profeti indicano le Scritture. Abramo richiama ad un ascolto della Scrittura nella quotidianità e uscendo dalla mentalità del miracolo. Non è questione di miracoli sorprendenti e di invii celesti: c’è un ascolto della volontà di salvezza di Dio per tutti, della sua chiamata ad essere fratelli e sorelle, da attuare nel quotidiano. Solo l’ascolto della Parola di Dio conduce a superare l’insensibilità e la chiusura generata dalle ricchezze. La vita così può cambiare. La parabola non va intesa come espressione di un volto di Dio che condanna e punisce ma è parola aperta, provocazione ad aprire gli occhi superando indifferenza e distrazione verso chi soffre ed è talvolta vicino ma tenuto lontano, fuori della porta. E’ sfida alla responsabilità, a scoprire l’urgenza di agire con scelte di condivisione e solidarietà.
Alessandro Cortesi op
Ricchezza e povertà
Secondo il Global Wealth Report del Credit Suisse Research Institute nel 2021 la ricchezza globale è cresciuta ma essa è concentrata solamente nell’ 1% della popolazione mondiale. Sono 62,5 milioni coloro che detengono patrimoni milionari.
I Paesi a basso e medio reddito insieme rappresentano il 24% della ricchezza. Il Nord America poco più del 50% del totale e la Cina il 25%. Africa, Europa, India e America Latina rappresentano insieme l’11% della crescita della ricchezza globale. America Nord e Cina hanno registrato tassi di crescita più alti (circa il 15%) mentre l’Europa è la più bassa (1,5%).
A fronte di tale situazione globale cresce il rischio di povertà in Italia. E’ quanto si ricava dai dati dell’ultimo Report di Eurostat. La povertà colpisce in particolare bambini e lavoratori e si prevede un aggravamento nell’anno in corso 2022. Le tabelle su povertà e disuguaglianza curate dell’Istituto europeo indicano che nel 2021 le persone a rischio di povertà (con reddito inferiore al 60% di quello medio disponibile), erano più del 20 per cento della popolazione (11,84 milioni). Se si allarga la considerazione alle famiglie che vivono condizioni di vita minime a rischio di esclusione sociale le persone in difficoltà cono circa 15 milioni (25,2% della popolazione). La situazione dei bambini presenta contorni anche peggiori. Sono il 26,7% i bambini sotto i 6 anni a rischio povertà, con tendenza all’aumento rispetto all’anno precedente (667 mila bambini) Se si considerano le famiglie a rischio di esclusione sociale, i bambini sotto i 6 anni in difficoltà costituiscono il 31,6% (con aumento dal 27% del 2020).
I dati dell’Eurostat confermano quanto indicato anche dall’Istat sulla povertà riguardo all’anno 2021. Poco più di 1,9 milioni di famiglie (7,5% del totale) e circa 5,6 milioni di individui (9,4% come l’anno precedente) vivono in condizione di povertà assoluta. Sono dati che indicano continuità con l’aumento verificatosi nel 2020 nel tempo della pandemia. L’11,1% della popolazione vive in povertà relativa e le famiglie a rischio esclusione sociale sono circa 2,9 milioni. (Cfr. Andrea Carli, Dall’Istat all’Eurostat: è sempre più allarme povertà in Italia, “Il Sole 24 ore”, 25 agosto 2022).
Il rischio di povertà o di esclusione sociale è maggiore in particolar modo per le donne. Secondo Eurostat negli Stati Membri UE 64,6 milioni di donne vivono in condizioni di povertà, mentre gli uomini sono 57,6 milioni. Dall’inizio della pandemia le donne hanno subito le più pesanti conseguenze di impoverimento nella sfera socio-economica a causa della sospensione delle attività di lavoro e culturali. La pandemia ha portato ad una riduzione dei servizi pubblici sociali costringendo le donne a farsi carico di un surplus di lavoro di assistenza e cura. La povertà femminile incide anche sui bambini perché sono coinvolte anche le condizioni di vita dei figli. Nel 2020 il 42,1% della popolazione UE costituita da famiglie monoparentali con figli a carico era a rischio di povertà (di queste famiglie l’85% ha per capofamiglia una donna). La povertà femminile costituisce anche l’esito di una discriminazione che accompagna la vita delle donne. A più alto rischio di povertà sono le madri sole, le donne sopra i 65 anni, le donne disabili, quelle con un basso livello di istruzione o migranti. La povertà femminile costituisce un fattore su cui si innesta la violenza di genere – per l’impossibilità di lasciare il partner violento – e lo sfruttamento che si attua in modalità diverse.
Recentemente il Parlamento Europeo con la Risoluzione 5 luglio 2022, n. 274 ha posto attenzione sul tema della parità di genere, notando il problema del divario retributivo e la condizione di povertà delle donne in Europa. Parità di genere è infatti uno dei valori fondamentali della UE, e l’obiettivo di eliminazione della povertà costituisce una delle priorità del Piano d’azione del pilastro europeo dei diritti sociali che punta a ridurre il numero di persone a rischio di povertà di almeno 15 milioni entro il 2030, di cui almeno 5 milioni di bambini.
Il Parlamento evidenziando il problema del divario retributivo più in generale ha portato all’attenzione la condizione di povertà che segna la vita delle donne in Europa. Per questo invita gli Stati membri a prevedere salari minimi, a condurre una lotta contro i posti di lavoro precario, a promuovere un corretto equilibrio tra vita professionale e vita privata. Inoltre indica di porre attenzione a servizi pubblici di alta qualità negli ambiti dell’educazione e cura della prima infanzia, dell’assistenza agli anziani e non autosufficienti. Invita a proteggere le donne dalla povertà energetica, a favorire l’imprenditoria femminile e l’accesso ai finanziamenti, a riformare i sistemi pensionistici considerando le differenze tra le modalità di lavoro delle donne e degli uomini e le pratiche di lavoro non retribuite.
Alessandro Cortesi op
XXVII domenica tempo ordinario – anno C – 2022
Ab 1,2-3; 2,2-4; 2Tim 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10
“Fino a quando Signore implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido ‘Violenza!’ e non soccorri? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?”
Dimande sospese esprimono il grido del profeta, rivolto verso Dio. La legge stravolta, i giudizi tramutati in truffa, l’egemonia dei corrotti e dominatori avidi di potere è esperienza drammatica che pone in crisi la fede. Fino a quando Signore? Abacuc esprime una sofferenza ed una sete di giustizia non solo del singolo ma a livello collettivo. Il profeta ha il coraggio di formulare domande autentiche che sono sfida ad una fede acquietata e sicura.
La risposta di Dio indica un termine: l’ingiustizia e l’oppressione non sono l’ultima parola e non prevarranno. “…certo verrà e non tarderà”. Nel tempo della prova è richiesto al giusto l’affidamento dell’attesa anche nel non comprendere: ‘soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede’.
Senza facili risposte al male al giusto è indicata la via di mantenersi nell’attesa del Dio fedele. Credere non esime dalla domanda, dalla crisi, dal dubbio. La fede rimane sospesa e aggrappata alla fedeltà di colui che non verrà meno alle sue promesse. Ed è promessa di vita.
‘Accresci in noi fede’ è preghiera rivolta dagli apostoli a Gesù. Se aveste fede quanto un granello di senape… L’immagine che Gesù usa per indicare la fede è quella del più piccolo tra i semi. Il seme racchiude qualcosa che sarà ma ancora non si vede, è promessa ed è piccolo elemento che esige cura e coltivazione. L’esempio del servo che si accosta al seme delinea l’attitudine del credente. E’ da ricordare che nel vangelo servo è Gesù stesso che ha inteso la sua vita nell’ascolto del Padre e nel dono agli altri.
Riconoscere di essere ‘semplice servo’ (non ‘inutile’, ma unicamente servo), è passaggio per intendere la vita non nella dialettica servo-padrone, ma in una relazione che pone al centro l’ascolto, l’attenzione, la cura, il dono.
“quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dire: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Vivere al seguito di Gesù la via del servizio è orizzonte che libera.
Alessandro Cortesi op
Fino a quando?
Ci sono situazioni dimenticate e che invece dovrebbero avere attenzione e suscitare l’indignazione e la domanda del profeta: fino a quando?
La regione del Tigray è situata al Nord dell’Etiopia nell’area del Corno d’Africa e confina con l’Eritrea. Nel 2018, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF), primo partito tra la popolazione si rifiutò di confluire in un partito unico nazionale secondo la proposta del Primo Ministro Abiy Ahmed. La situazione di tensione creatasi si è aggravata con il rinvio delle elezioni nazionali al sopraggiungere della pandemia. Il primo ministro ha continuato il suo governo e per contrasto il Fronte Popolare TPLF ha organizzato elezioni nella regione in modo indipendente. La reazione del governo centrale è stata quella di dichiarare illegali le elezioni di interrompere i finanziamenti al Tigray, costringendo ad uno stato di isolamento.
Da qui l’inizio di un conflitto armato agli inizi di novembre 2020 che ha provocato la morte di decine di migliaia di persone con violenze perpetrate contro la popolazione civile e crimini contro l’umanità attuati da entrambi le parti. Da allora si è aggravata la crisi umanitaria che si è protratta nel tempo del Covid-19 con conseguenze devastanti per la popolazione. Difficoltà di accesso alle risorse, mancanza di alimenti, mancanza di servizi igienici e sanitari in una realtà di sovrappopolamento di alcune aree. Anche le regioni confinanti di Amhara e Afar son state colpite perché sono stati interrotti i collegamenti e chiusi i confini con conseguenze che hanno colpito soprattutto le popolazioni più fragili. Con la situazione di guerra e di pandemia sono anche state chiuse le scuole: i bambini e le bambine sono stati così esposti alle forme diverse di sfruttamento e violenza. 2.1 milioni di bambini e bambine sono in stato di bisogno. Migliaia di persone hanno cercato riparo uscendo dalle zone del conflitto: si calcolano due milioni di sfollati e, nonostante la chiusure dei confini, più di 60.000 persone hanno cercato rifugio in Sudan.
A fine 2021 si delineava un panorma desolante: ““Il grande paese, sede dell’Unione africana e oasi, fino a poco tempo fa, di stabilità e sviluppo in mezzo a un’immensa area di conflitti e tirannie che va dal Sudan allo Yemen, dalla Somalia al Sud Sudan passando per l’Eritrea, è riuscito in poco più di dodici mesi a dilapidare un patrimonio geopolitico, economico, sociale e morale costruito a fatica negli ultimi decenni”. (L.Attanasio, Dopo un anno di atrocità nel Tigray ora l’Etiopia sogna finalmente la pace, “Domani” 26 dicembre 2021)
La situazione sanitaria conseguente al conflitto ha dimensioni catastrofiche. Secondo una testimonianza di Joseph Belliveau, Direttore Esecutivo di MSF Canada: “Oggi, la maggior parte del sistema sanitario del Tigray giace in rovina, vandalizzato e saccheggiato dai soldati. La distruzione è così completa che, durante il mio recente incarico di cinque settimane nel Tigray, non ho trovato una sola stanza in una singola struttura sanitaria al di fuori delle principali città che non fosse stata saccheggiata”. (D.Tommasin, Tigray. Resoconto della catastrofica situazione sanitaria, 20 agosto 2022).
Una tregua umanitaria di cinque mesi da marzo a agosto 2022 è da poco conclusa e il 20 settembre da parte degli eritrei è iniziata una offensiva che si connota come la più dura dall’inizio del conflitto. L’Agenzia Fides riportando una fonte locale riferisce: «L’esercito eritreo sta richiamando i riservisti e arruolando moltissimi giovani da mandare al fronte. Stanno cercando di conquistare Axum, Adigrat, Shire e di entrare a Macallè».
Un rapporto della commissione d’inchiesta dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha accusato le parti in conflitto di aver commesso «crimini di guerra» e «contro l’umanità». Kaari Betty Murungi, presidente della commissione, ha affermato anche che gli aiuti sarebbero stati usati dal governo di Addis Abeba (Etiopia) come arma di guerra contro i tigrini, che sono cittadini etiopici: «La diffusa negazione e l’ostruzione all’accesso ai servizi di base, al cibo, all’assistenza sanitaria e a quella umanitaria, stanno avendo un impatto devastante sulla popolazione civile. La crisi umanitaria nel Tigrai è scioccante, sia in termini di portata che di durata». (cfr. P.Lambruschi, Tigrai, l’Etiopia non si ferma «Anche la Francia coinvolta», “Avvenire” 25 settembre 2022).
I bombardamenti del territorio ad opera dell’esercito governativo sono condotti con droni che provengono da ditte francesi collegate al governo della Francia. Appare in tal modo l’ipocrisia degli stati occidentali che fomentano le guerre diffuse con il commercio di armi.
Il responsabile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Adhanom Gebreyesus, ha accusato i Paesi occidentali di trascurare la situazione nel Corno d’Africa nel considerare la crisi umanitaria del Tigray “meno importante di quella ucraina” (Eritrea, truppe di Asmara attaccano il Tigray , “Africa” 21 settembre 2022).
A fronte di queste situazioni di guerra, violenza e crisi umanitarie in cui in Tigray cinque milioni di persone sono in situazione di carestia di mancanza di cibo e di assistenza sanitaria essenziale, nell’indifferenza e nell’oblio dei Paesi occidentali interessati al commercio delle armi porta ancora a formulare la inquietante domanda: “fino a quando?”
Alessandro Cortesi op
“Caro Abacuc… hai ragione tu di urlare verso un Dio che sembra dormire quando la violenza trafigge la terra e i suoi abitanti. Nel contempo urla un po’ anche al nostro indirizzo perché nessuno dimentichi di portare il suo mattone e di esprimere la propria fede nel giorno che verrà preparandolo con cura. Il domani è il raccolto del seme che abbiamo deposto oggi nel grembo della terra e della storia. Responsabilità, impegno, lotta, cura… in cui anche noi diveniamo umili partner di Dio nel costruire la pace. Caro Abacuc a tal punto sei sordo da non aver ascoltato la risposta di Dio? Egli dice infatti: “Fino a quando, uomo, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non soccorri? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Non ha più forza la legge, né mai si afferma il diritto. L’empio infatti raggira il giusto e il giudizio ne esce stravolto”. (tratto da T. Dall’Olio, Abacuc sentinella del silenzio di Dio, “Mosaico di pace” giugno 2005)