XXII domenica tempo ordinario – anno A – 2023
Ger 20,7-9; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27
“Da quel momento Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto … “
Dopo il momento in cui Pietro dice la sua fede in Gesù, e Gesù a lui affida un compito di essere autorità e roccia ci troviamo di fronte all’incomprensione di Pietro di fronte alla via da seguire. Gesù inizia a parlare della sua via sulla quale incontrerà il rifiuto, non il successo, e che sarà scelta di servizio nonostante l’ostilità. Non è tolta la sofferenza, ma è affrontata nella libertà. Gesù non poté non comunicare ai suoi discepoli la consapevolezza che il suo cammino non era un percorso di affermazione e di potenza. La vicenda di Giovanni battista ed altri segnali indicavano che anche lui avrebbe potuto vivere una sorte simile a quella dei profeti, rifiutati ed eliminati. Eco di questi momenti in cui Gesù comunica ai suoi l’orizzonte del suo cammino si ritrovano nei vangeli in più punti. Egli parlava di se stesso in riferimento al figlio dell’uomo, una figura messianica e diceva: il figlio dell’uomo dev’essere consegnato. Richiama quindi una figura conosciuta nel mondo ebraico, il figlio dell’uomo, indicata nel libro di Daniele in rapporto al ‘resto fedele’, dei santi dell’altissimo, coloro che subirono la persecuzione e resistettero. La loro speranza era fissa nella fedeltà di Dio e nell’incontro con lui dopo la morte (Dan 7,13-14.25-27). Ma il figlio dell’uomo era anche conosciuto come figura individuale, proveniente da Dio, come giudice alla fine dei tempi, quindi una figura trascendente che attua un giudizio su tutta la storia.
Parlando così del figlio dell’uomo Gesù suggerisce una prima indicazione sull’esito tragico della sua vita. Si tratta con probabilità di una esplicitazione elaborata dalla comunità dopo l’evento della Pasqua. Gesù aveva preparato i suoi alla via che lo avrebbe condotto alla croce non tanto con predizioni, quanto con il suo atteggiamento, con alcune parole che i discepoli compresero solamente dopo, con la decisione della sua scelta nel vivere sino in fondo la sua vita come dono di liberazione. La figura del figlio dell’uomo fa intravedere l’orizzonte della risurrezione e della gloria ricevuta da Gesù da parte del Dio fedele. La sua esistenza – ci dice Matteo – va letta alla luce della vicenda del figlio dell’uomo.
Matteo pone questo momento all’inizio di una nuova fase della vita di Gesù: il suo insegnamento d’ora in avanti è riservato ai discepoli chiamati a seguirlo. Non più le folle saranno al centro della sua attenzione ma i discepoli. Matteo inoltre richiama le Scritture. La vicenda di Gesù rientra nel disegno di Dio: non si tratta di un compimento di una precisa profezia, piuttosto il suo cammino è fedele al dono di alleanza che nelle Scritture è narrato. E’ cammino di sofferenza ma la morte non è l’ultima parola. ‘il terzo giorno’ è richiamo all’annuncio della risurrezione (cfr. 1Cor 15,4). Matteo presenta Gesù nel suo andare incontro alla sofferenza alla morte e alla risurrezione. Pietro reagisce con forza a questo annuncio e Matteo riporta un confronto diretto tra Gesù e Pietro: Pietro infatti si rifiuta di accogliere un tale annuncio che sconvolge le sue attese sul messia. E Gesù rimane fermo. Addirittura lo accusa di non pensare secondo Dio, ma secondo gli uomini. C’è l’opposizione di due modi di pensare al messia. Pietro è accusato di essere colui che divide, perché è ostacolo (scandalo) al cammino di Gesù nel suo essere obbediente alla missione ricevuta dal Padre. L’apparente buon senso di Pietro, che rifiuta il volto di un messia che debba affrontare la via della sofferenza e della debolezza dà voce alle attese di un messianismo di gloria e di affermazione. Egli attendeva in Gesù il volto di un Dio re forte, capace di instaurare un nuovo ordine politico e sociale. Matteo, sensibile alle tentazioni presenti nella sua comunità attratta da un messianismo di tipo violento, secondo il modello degli zeloti, richiama la comunità a seguire Gesù sulla strada che egli ha percorso.
Matteo richiama la comunità a seguire Gesù sulla strada che egli ha percorso. Seguire Gesù implica un cambiamento radicale nel pensare Dio stesso e accogliere il volto di Dio come amore che si dà fino alla fine.
Matteo nel suo vangelo è attento al fatto che Gesù chiama a seguirlo come comunità: egli chiede ai suoi un atteggiamento di fede che cambia l’esistenza e il modo di pensare. E’ una sequela da attuare come chiesa. Si tratta di riproporre lo stile di Gesù insieme come comunità. La comunità che Gesù desidera è una comunità che vive innanzitutto un rapporto profondo con lui, che lo segue, che non si lascia distrarre da altri criteri di riferimento per le proprie scelte. Una seconda caratteristica è la disponibilità a lasciarsi mettere in crisi anche dal rimprovero di Gesù: la comunità deve scoprire che nella debolezza della croce si attua la rivelazione di Dio come amore e la salvezza come dono per tutti. Una terza caratteristica è quella di condividere la via di Gesù, di farne lo stile della sua vita, anche se questo va contro modelli di vita dominanti e diffusi e che presentano una via di affermazione, di successo e di violenza.
Alessandro Cortesi op
III domenica di Pasqua – anno B – 2024
At 3,13-15.17-19; 1Gv 2,1-5a; Lc 24,35-48
Gli Atti degli Apostoli presentano alcuni tratti fondamentali della prima predicazione su Gesù che al centro vede la testimonianza della sua morte e risurrezione. Pietro, prendendo la parola a Gerusalemme contrappone l’agire degli uomini con la loro violenza all’azione potente di Dio che non ha lasciato Gesù nell’oscurità della morte ma lo ha ‘rialzato’: a Lui Gesù ha affidato tutta la sua vita chiamandolo Abbà: è lui che lo ha risuscitato dai morti.
La prima comunità ha vissuto l’incontro nuovo con Gesù, il crocifisso, dopo i giorni della passione nel suo farsi loro incontro. Il medesimo di prima, ma vivente in modo nuovo. Gesù non è tornato alla vita di prima. La sua risurrezione è evento non richiudibile nella storia, ma è irruzione dell’ultimo. E’ assolutamente nuovo e non dicibile perché evento escatologico. La presenza del Risorto chiede di essere riconosciuta con uno sguardo nuovo, nella fede. Pietro annuncia a Gerusalemme che con il suo intervento il Padre ha portato a compimento ‘ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il Cristo sarebbe morto’. Luca insiste in tutta la sua opera, sul fatto che la passione di Cristo è stata predetta dai profeti (cfr. Lc 9,22; 18,31, 22,22; 24,7; At 2,23; 3,18; 4,28). Non si tratta del compimento di una previsione; piuttosto è coerenza letta nella luce della Pasqua, tra l’agire di Dio nella storia di salvezza e la vicenda di Gesù di Nazaret. La sofferenza, la passione e la morte di Cristo sono così viste come adempimento del farsi vicino di Dio all’umanità per vie che sono altre dalle nostre vie. Cristo compie le Scritture perché vive l’inermità, il servizio, la condivisione della vita dei disprezzati. Per la prima comunità poteva presentarsi il rischio, dopo la Pasqua, di dimenticare che Gesù aveva scelto di condividere la condizione delle vittime. Nel suo vangelo Luca è attento a tutto ciò narrando il percorso di Gesù verso Gerusalemme dove incontrò rifiuto e condanna. La risurrezione è evento in cui il Padre conferma che quella via è la via della vita e della risurrezione. Il Padre ha glorificato il torturato e disprezzato della croce: la sua gloria è l’altro versante del suo dono e della fedeltà al suo progetto.
Luca presenta l’apparire il Risorto a Gerusalemme, dove gli undici e gli altri con loro sono condotti ad aprirsi ad un incontro nuovo con Gesù. Insiste sul fatto che il Risorto è il medesimo del crocifisso e la sua presenza è viva e reale. Preoccupato di contrastare interpretazioni puramente spiritualistiche – forse presenti anche nella sua comunità – proprie di una mentalità che disprezzava il corpo, Luca contrasta l’idea che la risurrezione sia identificabile con una sorta di immortalità dell’anima. La risurrezione investe tutte le dimensioni della persona di Gesù: ‘Sono proprio io’ dice ai suoi.
E’ possibile un incontro reale con Gesù ed essere coinvolti nella sua vita di Risorto in una condizione nuova percepibile nella fede. Nel gesto di mangiare insieme si rende vicina la sua presenza: Gesù che aveva condiviso la tavola con i suoi ora si dà ad incontrare in modo nuovo inatteso, e comunica che la sua vita coinvolge tutte le dimensioni della vita umana. Richiede da loro uno sguardo di affidamento nel percorso di fede. Così Gesù in mezzo ai suoi apre all’intelligenza delle Scritture: proprio il ritornare alle Scritture è itinerario per scoprire il disegno di fedeltà di Dio nella storia ed è luogo in cui incontrare il Risorto. Il saluto della pace racchiude anche una missione. Nell’esperienza di condividere il pane, di ascoltare delle Scritture, di tessere pace il Risorto si dà ad incontrare e suscita il cammino della testimonianza.
Alessandro Cortesi op