la parola cresceva

commenti alla Parola della domenica e riflessioni

Archivi per il mese di “dicembre, 2020”

S.Famiglia 2020

Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 11,8-19; Lc 2,22-40

«Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle… Tale sarà la tua discendenza»

Ad Abramo senza figli Dio promette una discendenza. E la promessa avviene nel quadro di una notte stellata. Quelle stelle innumerevoli indicano la sproporzione di una discendenza che contraddice la condizione di solitudine di Abramo. Dio dona oltre ogni misura e il suo dono è relazione: non una famiglia per rinchiudersi in un nido di egoismo, ma innumerevoli popoli e nazioni. E ancor oggi possiamo chiederci se abbiamo accolto questa promessa a divenire famiglia di Abramo, promessa per tutte le famiglie della terra, tra i popoli che riconoscono in Abramo il loro padre, seme e promessa di una umanità ospitale…

Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso...

Abramo è nostro padre nella fede e Sara è madre, una delle matriarche che indicano l’impossibile divenuto possibile, la fecondità accolta come dono, il cammino di un affidamento che si apre all’inaudito di Dio. Nella vicenda di Sara la vita vince il vuoto e la morte e la novità irrompe inaspettata e improvvisa: il suo cammino è traccia dello scoprire la vita nel segno dell’accoglienza di una promessa e centrata nella fedeltà di Dio degno di fede.

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui

C’è uno stupore  che pervade i vangeli dell’infanzia di Gesù: lo stupore di Giuseppe e Maria padre e madre di Gesù è attitudine di chi si apre all’altro e vive la sua presenza non come possesso ma come dono. E stupirsi è l’atteggiamento di chi non ritiene che la vita debba essere inscatolata dentro a schemi, dottrine, teologie, ma si lascia interpellare dalla novità dell’altro nel cui volto riconoscere e accogliere una chiamata di Dio stesso che va sempre oltre i nostri ristretti orizzonti. E solo lo stupore può generare  apertura ai pensieri di Dio che superano i nostri pensieri. Sulla vita degli altri, sui percorsi delle famiglie, sui sentieri di ogni figlio e figlia che è tale perché proviene da una relazione in cui è già all’opera l’amore di Dio e che nella vita può crescere se incontra sguardi e gesti che comunicano un amore che non giudica e accoglie sempre come quello del Dio di Gesù.

Alessandro Cortesi op  

S. Natale 2020 – messa della notte

Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge… Il Natale quest’anno ci raggiunge nella notte. Per le doverose limitazioni di questo tempo di pandemia non è la notte della tradizionale messa a mezzanotte ma è un’altra notte: è la notte dei popoli e dei cuori. E’ questa notte la situazione che ha coinvolto in questo tempo della pandemia una parte del mondo ricca e che in fondo dava per scontato una sicurezza da difendere. Ed invece anche questa parte di mondo si è scoperta nella stessa condizione della maggioranza dell’umanità segnata da tante crisi e da tante notti. Ed è quindi notte per riflettere, per sostare, per cambiare direzione…

E’ questa notte il primo motivo di questo Natale che ci provoca ad interrogarci, a stare svegli. I pastori vegliavano nella notte e anche noi possiamo vegliare, cioè esercitare quella capacità di tenere occhi aperti e orecchie attente in questo buio che pervade la nostro vita. E’ una notte segnata da tanto dolore, i tanti morti di questo tempo, i malati, tutte le famiglie segnate dal lutto, le tante sofferenze diffuse e silenziose di chi ha perso lavoro e vive l’incertezza sul futuro proprio e dei propri cari, di chi ha fame e sperimenta una pesante solitudine, di coloro a cui è stato richiesto una dedizione e fatica oltre misura per assistere e curare – per vegliare appunto – sugli altri. In questo Natale siamo provocati a stare svegli, a non lasciarci illudere da false illusioni o da facili promesse di ritorni alla normalità… quale normalità? Questa notte pone domande che conducono a guardare lontano, a leggere le attese più profonde della nostra vita.    

Sono le notti della nostra vita personale e della vita collettiva: i momenti in cui sperimentiamo più chiaramente che siamo fragili, che non ce la facciamo con le nostre forze, in cui rivolgiamo un grido di aiuto perché qualcuno ci venga vicino e ci salvi. E sono queste le notti in cui è richiesto uno stare svegli, un non lasciarsi appesantire e distrarre da ciò che non è essenziale.  

Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce... Nella storia biblica Dio interviene sempre in punta di piedi e nella notte. Pensiamo alla notte in cui Abramo è invitato a guardare verso le stelle, alla notte della lotta di Giacobbe, alla notte dell’esodo, alla notte in cui Davide ascolta la voce che lo chiama, alla notte dell’esilio in cui il popolo nelle tenebre ‘vide una grande luce’, fino alla notte di Betlemme, alle notti della preghiera di Gesù, alla notte del Getsemani, alla notte della Pasqua. La storia di Israele e la testimonianza di Gesù ci dicono che Dio passa nella notte. Nella notte non siamo soli, ma una luce viene e vince le tenebre che non riescono a trattenerla: è la luce che si rende presente in tutti i messaggeri – volti che stanno spesso in secondo piano, presenze discrete ma che portano avanti la storia – che annunciano le vie della giustizia e della pace. Sono i messaggeri di un Dio che si fa vicino non nella grandezza e nella potenza ma nell’inermità di un bambino.

La pandemia ci ha posto davanti agli occhi che un sistema di dominio e di devastazione dell’ambiente ha rivelato i suoi piedi d’argilla smascherando le incoerenze di una società malata di egoismo, di primeggiare, di pensarsi senza gli altri. Ha fatto cogliere come un mondo costruito sulla ricerca del profitto, sulla competizione e sull’esclusione non ha futuro. A fronte di confini sbarrati ai movimenti dei poveri che vengono respinti e tenuti prigionieri come invisibili, un invisibile virus ha varcato ogni barriera e chiusura manifestando che siamo tutti connessi, che il bene di alcuni non può essere tale senza considerazione al bene di tutti, che l’indifferenza ed esclusione comporta perdita di umanità e minaccia di vita per tutti. Nella notte ci sono fessure di luce, bagliori che sono il passare di Dio che chiama in ogni tempo e in ogni luogo e dona luci da accogliere, al di fuori di ogni programma e sistema umano o religioso, se stiamo svegli, se sappiamo scorgere cammini nuovi.

Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».… Il segno è un bambino, l’annuncio è invito alla gioia. Possiamo imparare alcune indicazioni da questo segno. Questo Natale sarà vissuto in modo più raccolto, forse più interiore. Possiamo apprezzare i doni racchiusi nel nostro quotidiano, nelle case, nei luoghi di ogni giorno, luoghi in cui Dio stesso viene a visitarci. Possiamo lasciarci ospitare in questo incontro scorgendo che Gesù ci manifesta un volto di Dio che visita la nostra povertà e pochezza. Entra nei nostri limiti, ci accoglie nelle fragilità, ci visita nelle nostre notti.

Posiamo anche imparare la semplicità, che non è ingenuità o superficialità, ma accogliere la luce di una presenza: al centro del Natale sta un bambino. Dio ci visita nei volti e si fa incontrare laddove si riconosce il dono dei volti. Sono i volti dei senza nome della storia, sono i volti dei dimenticati e degli oppressi e di chi si spende per la giustizia. Quel bambino, visitato dai pastori ci ricorda che Dio si lascia incontrare da chi si mette in cammino, si muove verso i volti di coloro che sono tenuti fuori perché per loro non c’è posto.

Possiamo imparare allora a scorgere il Natale come movimento di ospitalità e di cura. Abbiamo scoperto in questo tempo della pandemia la preziosità della presenza di coloro che in tanti modi si sono presi cura degli altri: personale sanitario, insegnanti, volontari, operatori nei servizi, nella vita sociale, persone cha hanno garantito sostegno ai più deboli. Nell’oscurità e nello sconforto di questo tempo segni di luce sono riflessi di quella luce che apparve nella notte dei pastori, una luce ai margini della storia, tra dimenticati ed esclusi. Qualel luce richiamava ad una presenza da incontrare, da inseguire, non solo in un giorno ma nel quotidiano dell’esistenza.

Alessandro Cortesi op

Voci di un Natale diverso

Raccolgo alcune voci per sostare in questo Natale e per viverlo come momento in cui stare svegli nella notte e accogliere un annuncio di gioia:

“La notte di Natale nel racconto cristiano, sappiamo, annuncia la venuta al mondo del “Salvatore”. Esiste un modo laico per leggere la potenza di questo racconto? Ai miei occhi si tratta dell’evento che rende la vita umana immensamente sacra. Nel tempo traumatico del Covid la festività del Natale ci ricorda che ogni morte non è mai una morte anonima ma è la morte dell’immensamente sacro. Agostino riflette sul gesto di Maria, narrato dall’evangelista Luca, di collocare il suo “primogenito” in una umile mangiatoia sottolineando l’equivalenza del corpo di Gesù con quella del nutrimento. Questo Natale non sarà il tempo della festa, ma quello che ci obbliga a pensare all’esistenza di un altro nutrimento rispetto a quello a cui ci siamo abituati nella nostra mondanizzazione del Natale. La sofferenza e i morti di questo terribile anno ci invitano a farlo”. (Massimo Recalcati, Covid, istruzioni per un altro Natale, La repubbblica 21 Dicembre 2020)

“…E, pure naturalmente obbedendo a ogni prescrizione anti contagio, è lecito domandarsi se, di seconda ondata in terza, una volta finita l’epidemia un fondo di diffidenza verso l’altro sconosciuto non ci resterà addosso; se guariremo da questo irrigidimento, da questa freddezza e quasi paura del prossimo, che del Covid sono un triste effetto collaterale. Non continueranno a difendersi gli anziani, i più minacciati, anche una volta sconfitto il virus? E i bambini che sono andati a scuola per la prima volta nel 2020, e per prima cosa hanno imparato che bisogna stare distanti l’uno dall’altro, dimenticheranno questo innaturale imprinting, e torneranno normali?

Il timore, speriamo infondato, che l’epidemia ci stia insegnando anche un altro modo di stare in rapporto fra noi. I gesti, gli abbracci, la vicinanza fisica sono già una lingua, e una lingua universale. Noi italiani la parlavamo molto bene, generosamente, la bella lingua del corpo. Se ci ritrovassimo cambiati sarebbe un impoverimento, un altro segno lasciatoci addosso da questa ma- lattia globale. Auguriamoci allora anche, insieme alla fine dell’emergenza e dei lutti e alla ripresa dell’economia e del lavoro, una ‘piccola’ cosa per l’anno che viene: di poter ritrovare la semplice gioia di un abbraccio fra amici, e perfino solo di una stretta di mano, di quelle forti, vere” (Marina Corradi, Non scordiamo gli abbracci, Avvenire 20 dicembre 2020).

Oggi cosa fanno e chi sono i giovani? «La storia è sempre andata avanti in un rapporto tra minoranze “virtuose”, innovatrici, e maggioranze più conformiste, sostanzialmente più egoiste. Ci sono però momenti in cui le minoranze influiscono in modo determinante sulla Storia, e sui comportamenti e le idee delle maggioranze. C’è una novità in questi ultimi anni: è rappresentata dai gruppi e gruppetti di ragazzi che sentono il dovere di occuparsi di chi soffre, degli immigrati, dei “subalterni”… Sentono il dovere di occuparsi della natura, dei rischi che comporta la violenza nei suoi confronti esercitata dal capitalismo – e dal consumismo che ci rende tutti suoi complici». Hanno un peso sociale queste minoranze attive?«È difficile che queste minoranze alzino la testa in un anno pessimo come il 2020, di fronte a una minore tensione tra ceti sociali unificati da un sistema culturale pesantemente conformista se non reazionario. Però diversi segnali di un risveglio ci sono e il futuro, con le sue storture crescenti, spingerà le nuove leve a cercare nuovi modi di agire per contrastare il disastro»” (Mirella Serri, Intervista a Goffredo Fofi: si stanno risvegliando i giovani, “La Stampa 20 dicembre 2020)

“Sappiamo bene che la vita è fatta di alti e bassi, di luci e ombre. Ognuno di noi sperimenta momenti di delusione, di insuccesso e di smarrimento. Inoltre, la situazione che stiamo vivendo, segnata dalla pandemia, genera in molti preoccupazione, paura e sconforto; si corre il rischio di cadere nel pessimismo, il rischio di cadere in quella chiusura e nell’apatia. Come dobbiamo reagire di fronte a tutto ciò? Ce lo suggerisce il Salmo di oggi: «L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. È in lui che gioisce il nostro cuore» (Sal 32,20-21)” (Papa Francesco, Angelus 29 novembre 2020)

“…forse sarà un Natale in cui capiremo meglio chi, anche nel Natale degli anni precedenti, non aveva comunque nessuno con cui festeggiare o sentiva di non avere alcun motivo per farlo. Ma soprattutto speriamo che sia un Natale più autentico, in cui essere più “vicini” a chi è solo, soffre e attende una parola amica e un aiuto solidale. Non ci mancano mai le occasioni per offrire doni di “vicinanze” di questo tipo, neppure in mezzo alle restrizioni sanitarie… Il Natale cristiano vuole trasmettere proprio questa fiducia che il Signore viene nella nostra vita (anche quando non te l’aspetti o forse soprattutto quando non te lo aspetti) e rende possibile l’impossibile”. (Eugenio Bernardini, già moderatore della Tavola valdese, Avvento. Il Signore viene nella nostra vita e rende possibile l’impossibile, “Il Fatto quotidiano” 20 dicembre 2020)

Buon Natale

Pistoia – antico ospedale del Ceppo – Le opere di misericordia (Santi Buglioni) – Tondi (Giovanni Della Robbia) – Foto nel loggiato: i medici e infermieri della pandemia 2020

Quest’anno desidero augurarvi così buon Natale!

Un Natale …. pensando a chi ha vissuto

e vive l’inermità della malattia

pensando ai dimenticati ed esclusi

nel tempo della pandemia.

… pensando a chi si è preso cura

in questo tempo faticoso

di anziani, giovani e bambini,

perché anche noi impariamo

a prenderci cura degli altri

Buon Natale!

Alessandro

Lanterne accese…

O Signore, accordaci la tua pace,
perché siamo pronti
ad andare incontro con le lampade accese
al tuo amatissimo Figlio che viene.

Tre movimenti e un nome

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,39-45)

Tre movimenti e un nome possono esssere colti in questa breve scena della visita di Maria a Elisabetta.

Maria si alzò e andò in fretta… E’ un primo movimento: alzarsi è verbo di risurrezione. Dopo aver accolto l’annuncio dell’angelo, una parola proveniente da Dio nella sua vita, Maria si alza e va incontro all’altro. Si muove al di fuori, si dirige verso… in un movimento che la conduce a rendersi disponibile, ad aiutare. Esce per incontrare: dalla Parola accolta sorge in lei una spinta di apertura all’altro. Ed è già questo un movimento di risurrezione che si fa servizio.

Fu colmata di Spirito santo... è questo il secondo movimento: è indicazione di quanto si muove nel mistero della visita. Nell’andare incontro e nel salutare – che è abbraccio di accoglienza senza difese – scende lo Spirito. Lo Spirito santo è il nascosto protagonista della vita di Gesù sin dai primi momenti ed è soffio e respiro del silenzio di Dio che pervade l’esistenza di ognuno. Lo Spirito è lasciato soffiare quando si attua il dialogo nell’incontro che apre a vita nuova.

Il bambino ha sussultato di gioia nel grembo… è un terzo movimento: Maria si reca a far visita ad Elisabetta, e questa visita come ogni visita racchiude un mistero di vita che nasce e cresce. Visitare è aprirsi al mistero racchiuso nella vita dell’altro e il sussulto del bambino rinvia ad un movimento di danza: la danza di Davide nudo davanti all’arca di Dio. C’è un mistero di vita e presenza di Dio stesso racchiuso nei volti umani e nella visita questa scoperta si apre alla gioia perché Egli viene non in modo sorprendente ma nell’ordinario di un ospitare che è anche essere sempre accolti.

Nel saluto di Elisabetta infine compare un nome che indica Maria: è infatti indicata come ‘colei che ha creduto’. Non un titolo altisonante e sovrumano, ma il nome di chi si è posta in cammino nel seguire Gesù. E’ il nome suo e può essere il nome nostro: colui/colei che vive un affidamento di fondo, radicale alla parola di Dio per andare, per incontrare, per inseguire lo Spirito che sempre precede, che fa attraversare i confini e pone in un cammino mai concluso.

Chiediamo che questo Natale sia per noi occasione per alzarsi e vivere l’esperienza di rinascere e risorgere nell’accogliere la Parola di Dio che ci raggiunge in tanti e diversi modi nella vita. Chiediamo che sia occasione per renderci disponibili allo Spirito, ospite silenzioso nei cuori. Chiediamo che sia occasione per assaporare la gioia di un venire di Dio che rende responsabili di visitare questo nostro tempo, chi soffre e chi è oppresso, ogni persona in ricerca.

Alessandro Cortesi op – san Domenico di Fiesole – novena del Natale 21.12.20

IV domenica di Avvento – anno B – 2020

2Sam 7,1-16; Sal 88; Rom 16,25-27; Lc 1,26-38

Davide è il re grande e ideale d’Israele: è l’amato, scelto quand’era piccolo e debole per sconfiggere la presunzione dei Filistei.  Sua opera fu l’unificazione delle tribù d’Israele  attorno alla città di Gerusalemme. Davide è anche il peccatore: insegue le illusioni di un potere senza limiti quando strappa Betsabea a suo marito e quando organizza il grande censimento per affermare la grandezza d’Israele. E riconosce il suo peccato.

Davide cammina sul sottile crinale tra l’affidamento a Dio nella consapevolezza di essere stato amato e la pretesa di considerarsi autosufficiente, di costruirsi una grandezza umana indipendente dal legame con Dio da cui la sua vita dipende. Sta qui la radice contraddittoria del desiderio di Davide di costruire a Dio una casa: vuole porre un segno visibile della presenza di Dio al cuore del suo popolo, ma d’altra parte nutre anche il desiderio di manifestare così la grandezza di un regno che perde di vista il rimanere in cammino sotto la parola di Dio come nell’esodo.

Il profeta Natan, che richiama al disegno di Dio, pone in crisi questo disegno. Natan ricorda a Davide che Dio lo ha preso quando era debole e dimenticato. Il Signore non ha bisogno di segni di grandezza ma sarà lui stesso a costruire una casa a Davide. Davide è riportato al dono che sta alla radice della sua esperienza. Sarà ancora l’iniziativa di Dio a precederlo, sovvertendo e spiazzando i suoi progetti. Non un tempio di pietre sarà il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo ma una presenza vivente, un volto. sarà questa la casa che Dio costruisce per Davide capovolgendo il suo progetto di costruire una casa a Dio.  Il Dio d’Israele si rende vicino non in luoghi e costruzioni, ma nel volto di qualcuno, all’interno della storia.

Luca nel suo vangelo ha presente la vicenda di Davide e presenta Maria come la ‘nuova Gerusalemme, Sion’. Come sull’arca stava la nube, ombra di Dio (cfr. Sal 91,1-2) e segno della sua presenza, così in Maria sta l’ombra dell’altissimo: ‘Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’altissimo”. Maria è presentata come casa vivente, in cui si rende vicina la presenza di Gesù che è salvatore. Nella sua vita si può trovare il segno di un volto di Dio che non chiede per sé templi e costruzioni ma si rende vicino nell’umanità.   

“Nulla è impossibile a Dio”. In queste parole è racchiuso il significato del Natale. Il Dio d’Israele, di Maria, di Gesù non abbandona la storia umana ma la prende con sè. Natale è invito ad aprirsi alla promessa di Dio che rende nuove tutte le cose e si umanizza nel volto di Gesù. Nel seguire lui possiamo scorgere le possibilità inedite di vivere accogliendo la presenza di Dio umanissimo che abita i volti.

Alessandro Cortesi op

Una casa per tutti

E’ notizia di questi giorni l’annuncio dell’arrivo dei vaccini che potranno costituire un argine al diffondersi della pandemia che ha segnato la vita di tutti i popoli della terra in questo anno. E’ stato infatti previsto l’inizio della distribuzione dei vaccini americani di Pfizer e Moderna e del vaccino prodotto da Astra-Zeneca e dall’Università di Oxford in collaborazione con l’Istituto Irbm di Pomezia (Roma).

E’ certamente una bella notizia che arreca sollievo in una stagione che ha portato tanta sofferenza e innumerevoli lutti e vede la presenza di un diffuso disagio e angustia per le difficoltà economiche conseguenti alla sospensione delle attività lavorative.

Tuttavia questa notizia si accompagna alla percezione che da questa crisi epocale generata dal virus Covid-19 l’umanità non riesca ad uscire in termini nuovi, abbandonando orientamenti che hanno generato disuguaglianze scandalose tra i popoli e ingiustizie che gridano al cielo. Infatti alla notizia dell’arrivo dei vaccini si è scatenata tra i Paesi una corsa ad accaparrarsi per primi le dosi disponibili senza attenzione al programmare una politica internazionale di equa distribuzione delle dosi. I Paesi più ricchi del pianeta hanno già fatto la parte del leone assicurandosi gran parte della produzione di vaccini.

I governi dell’India e del Sudafrica si sono fatti promotori di un appello a livello mondiale presentato all’Organizzazione mondiale del commercio in cui chiedono che si deroghi alla legislazione sui brevetti e ai diritti di proprietà individuale per il tempo in cui la pandemia sarà in corso per quanto riguarda vaccini, dispositivi di protezione personale e altre tecnologie mediche. E questo per far sì che anche le popolazioni più povere possano avere accesso alla fornitura dei vaccini e dei dispositivi diagnostici e di protezione. Ciò consentirebbe una condivisione dei risultati di ricerche e sperimentazioni e potrebbe condurre a collaborazioni più ampie nella produzione di medicinali e vaccini destinati a contrastare il contagio.

Appare peraltro come sinora la Commissione europea non abbia dato segni di accoglienza di questo appello e nemmeno il governo italiano – nonostante le affermazioni espresse a livello ministeriale sul vaccino come bene comune – abbia compiuto passi concreti per aderire a tale proposta.

Una lezione emerge con chiarezza dall’esperienza globale della pandemia: è la scoperta – se ce ne fosse ancora bisogno – della rilevanza dell’interconnessione e della comunicazione stretta di popoli e persone propria del nostro mondo, e della relazione fondamentale con l’ambiente. Si potrebbe dire in termini più semplici che la pandemia ci sollecita a scorgere le dimensioni di una casa quale ambito in cui nessuno può salvarsi da solo senza gli altri. La vita dell’umanità viene ad assumere i contorni di una casa comune in cui rendersi contro della responsabilità degli uni per gli altri e nei confronti del creato. Ogni perseguimento di visioni egoistiche ed esclusive è destinato a fare i conti con un fallimento globale con conseguenze nefaste di distruzione non solo per qualcuno ma per tutti.

Questo tempo è occasione per scorgere che possiamo custodire e costruire oppure distruggere e rovinare questa casa, di volti e di popoli. E così rispondere alla promessa e chiamata di Dio stesso, Dio che non vuole, per sè, una casa, ma che desidera donare una casa di volti, di presenze, di incontro.

Alessandro Cortesi op

III domenica di Avvento – anno B – 2020

Santa Sofia Istanbul – mosaico

Is 61,1-2a. 10-11; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28

Un profeta del tempo dell’esilio scrive al popolo d’Israele rivolgendosi ai rimpatriati da Babilonia che avevano ripreso la costruzione del tempio di Gerusalemme. I deportati avevano fatto l’esperienza delle privazioni e dell’oppressione, ma dopo il ritorno tuttavia scoprono la fatica della libertà: ben altre costrizioni e schiavitù si presentano ed essi si confrontano con il cammino della fedeltà a Dio sempre da rinnovare. Il profeta porta un annuncio di liberazione a persone con il cuore spezzato, parla di rinnovamento, di germogli nuovi da coltivare, di restauri di antiche rovine e annuncia un tempo nuovo, anno di grazia, tempo della remissione dei debiti: tempo della gioia perché tempo di nuova condivisione.

Il capitolo 1 del IV vangelo riporta all’attesa di un messia. Al tempo di Gesù molte erano le interpretaazioni di questa attesa, con contenuti e modalità diverse. Al Battista chiedono: ‘Sei tu il messia oppure Elia o uno dei profeti?’.

L’attesa di un giorno del Signore e del suo intervento con le caratteristiche di un giudizio nella gloria si  componeva con l’attesa di un profeta più grande di Mosè (Dt 18,18). Giovanni Battista invitava con forza a prepararsi alla venuta del messia e si presenta come voce che grida: ‘Preparate nel deserto una via per il Signore’ “(Is 40,3-5). Nel quarto vangelo egli assume il profilo del testimone di Gesù che richiama a lui: ‘Ebbene io l’ho visto accadere, e posso testimoniare che Gesù è il Figlio di Dio’. (Gv 1,32-34)

Giovanni non attira a sè ma intende tutta la sua vita orientata a preparare la via all’incontro con Cristo: è l’amico dello sposo che prepara l’incontro. La venuta di Gesù come Messia è incontro di comunione tra il Dio dell’amore e l’umanità chiamata a partecipare della sua vita (cfr. 1Gv 1,2-3).

Nella lettera ai Tessalonicesi – scritto da Paolo del 50-51 – Paolo si rivolge ad una comunità segnata dalla persecuzione e dalla difficoltà ricordando di essere sempre lieti e richiama al fondamento della gioia: ‘Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo’. Tutto deve esser vissuto per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. L’invito alla gioia è motivato dalla fiducia nella venuta di Gesù Signore. La fede dei Tessalonicesi è ancora malferma, in crescita. Essi vivono difficoltà tuttavia il loro cammino si nutre dell’attesa di Gesù Cristo che verrà. Paolo ricorda loro che la parola di Dio non è semplice parola umana, ma parola efficace che opera nei credenti: è ‘parola di Dio… veramente tale e agisce in voi che credete!” (1Tess 2,13). Proprio nell’esperienza della prova egli invita a rimanere nella gioia, fondati sulla sua Parola. Sta qui il senso profondo del celebrare questa domenica d’avvento che inizia con l’invito ‘Rallegratevi nel Signore’.

Alessandro Cortesi op

…farà germogliare la giustizia

E’ stato presentato il 3 dicembre on line il Report 2020 Il diritto d’asilo dal titolo: Costretti a fuggire… ancora respinti. Si tratta del quarto report annuale curato dalla Fondazione Migrantes di Caritas Italiana sulla situazione dei richiedenti asilo e rifugiati. Riporta dati e osservazioni sulla situazione del diritto d’asilo a livello mondiale e italiano in particolare e si può scaricare gratuitamente nel sito Vie di fuga. Il Report è strutturato in 12 contributi scritti da diversi autori impegnati sia sul versante della ricerca sia nell’accompagnamento di richiedenti asilo e rifugiati.

I dati dell’UNHCR del luglio 2020 riportano che il numero di sfollati e rifugiati nel mondo ha raggiunto livelli che non si vedevano dal tempo della seconda guerra mondiale: quasi 80 milioni sono nel mondo le persone costrette da varie ragioni a fuggire dalla loro case. Questi motivi spesso sono guerre e situazioni di violenza e conflitto, impossibilità di avere accesso al cibo o all’acqua, violazioni di diritti fondamentali, processi di desertificazione o di land grabbing, disastri ambientali dovuti ai cambiamenti climatici. Tra questi 80 milioni di persone circa 50 milioni sono sfollati interni, cioè persone che hanno lasciato la loro casa ma permanendo all’interno del proprio Paese, spesso in campi profughi.

Il Report offre elementi per comprendere la situazione di questo momento storico. Viene posto in luce come sia aumentata la richiesta di protezione nei paesi del mondo, ma ciononostante l’Unione europea e l’Italia sempre meno rispondono a tale richiesta. Nel 2019 e 2020 si sono resi palesi e tangibili gli effetti delle politiche di chiusura e di rifiuto dei migranti condotte in Italia da vari anni e a livello globale la pandemia scoppiata nei primi mesi del 2020 ha spinto a chiudere ancor più le frontiere e a rendere sempre più difficile la condizione di chi è in fuga lasciando la propria casa.

A livello europeo è stato presentato nel settembre il nuovo progetto della Commissione europea di “Nuovo Patto per la migrazione e l’asilo”. La lettura di quella che per ora rimane ancora una proposta manifesta tuttavia che obiettivo di fondo, al di là di alcune affermazioni generali di principio, non è generare una solidarietà tra Paesi europei nel senso dell’accoglienza delle persone in fuga e di offrire concrete vie di impegno per la rimozione delle cause all’origine delle migrazioni. Obiettivo di fondo appare invece l’attuazione di una collaborazione nel difendere le frontiere del continente evitando per quanto si può ulteriori ingressi e con la paura del ripetersi di situazioni critiche come si è verificato nel 2015. La condizione della pandemia ha dato poi il pretesto per definire ulteriori chiusure e misure difensive.

Tra gennaio e settembre 2020 sono circa 72.000 gli attraversamenti “irregolari” di migranti e rifugiati giunti nell’Unione Europea, con una diminuzione del 21% rispetto allo stesso periodo 2019. Le rotte più frequentate sono quella del Mediterraneo centrale e quella dei Balcani occidentali, ma con una drastica diminuzione rispetto agli anni precedenti in particolare dal 2015 anno dell’“emergenza migranti” europea. Negli ultimi mesi sono aumentati gli arrivi nell’Atlantico nel territorio spagnolo delle Canarie.

Coloro che nel 2019 sono riusciti a chiedere asilo nell’Unione Europea provengono principalmente dalle seguenti regioni: Siria (circa 74.000), Afghanistan (53.000), Venezuela (45.000), Colombia (32.000) e Iraq (27.000). L’ultimo anno ha visto in forte aumento i richiedenti asilo venezuelani e colombiani rispetto al biennio precedente.

Nel 2019 l’UE ha garantito protezione a circa 300.000 persone con riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di quella umanitaria, ma le percentuali di riconoscimento delle varie forme di protezione sul totale dei richiedenti esaminati permangono molto basse. In Italia la percentuale di riconoscimento di protezione è al di sotto della media europea e vede il riconoscimento per appena il 20% sul totale degli esaminati.

Nonostante i messaggi di allarme e finalizzati a generare paura da parte di alcune forze politiche che paventavano nuove ondate di sbarchi e nuove invasioni, nell’anno 2020 gli arrivi in Italia di migranti e rifugiati via mare risultano a livelli minimi rispetto agli anni precedenti: a fine settembre 2020 gli arrivi erano 23.720 (a confronto dei 132.043 nello stesso periodo del 2016 e i 105.417 del 2017). Certamente si è attuata una lieve crescita rispetto al biennio 2018‐2019 segnato dalla politica dei “porti chiusi” e della “guerra alle ONG”. Un altro dato su cui riflettere è che fra l’estate 2019 e l’estate 2020 una rilevante parte degli “sbarchi” in Italia è avvenuta in maniera autonoma e meno di un rifugiato/migrante su cinque è stato soccorso dalle ONG.

La rotta più pericolosa permane quella del Mediterraneo centrale, verso l’Italia e Malta (25.888 gli arrivi da gennaio a settembre 2020). Nel 2019 risultano 8 morti e dispersi ogni 100 rifugiati e migranti che ce l’hanno fatta ad arrivare in Italia e Malta.

Fra gennaio e settembre 2020 circa 9.000 rifugiati e migranti sono stati intercettati e riportati nell’inferno di Libia dalla Guardia costiera “libica”. L’ONU e l’UNHCR hanno ripetuto denunce e appelli perché la Libia non è un porto sicuro. Anche varie ONG hanno denunciato e reso note le condizioni disumane dei lager libici. Le testimonianze e documentazioni su questa situazione di continua e palese violazione di diritti umani sono ormai innumerevoli ed è scandalosa a fronte di questi orrori l’indifferenza da parte europea e internazionale.

Il Report offre un approfondimento in particolare sulla rotta balcanica evidenziando come nell’intera area vi sia “un approccio oltremodo ostile verso i migranti nel complesso e i rifugiati in particolare”. Vengono denunciate autentiche forme di respingimento attuate dai paesi dell’Unione europea e dal confine orientale dell’Italia verso Paesi non UE. Sono respingimenti operati con estrema violenza e facendo ricorso a procedure completamente al di fuori della, legalità. Si attuano così respingimenti cosiddetti a catena: dall’Italia alla Slovenia e Croazia, fino in Bosnia, all’esterno delle frontiere UE, senza consentire ai migranti di fare richiesta di asilo e di avere assistenza legale.  Il 24 luglio 2020 è stata presentata un’interrogazione da Riccardo Magi al ministero dell’Interno, su tali respingimenti. La risposta ha dato conferma di procedimenti di riammissione anche per chi vorrebbe richiedere protezione internazionale. Inoltre le riammissioni sono attuate senza consegnare alcun provvedimento e senza documentazione. Si tratta di una grave situazione di violazione di diritti umani proprio ai confini del nostro Paese.

Nelle conclusioni del Report si legge: «Anche i rifugiati, come abbiamo mostrato in questo volume, lungi dall’essere un “problema” o un “peso economico” si rivelano frequentemente un volano per trasformare le società in una direzione più dinamica capace di futuro. Ma questo può avvenire solo se riconosciamo pienamente la soggettività dei nuovi arrivati e se concepiamo le politiche di accoglienza e integrazione come un “investimento”. Se si fosse adottato questo approccio sin dagli anni Novanta, rinunciando alla deriva emergenzialista che ha caratterizzato queste politiche, già oggi avremmo a livello europeo e italiano una struttura più stabile e ordinaria, rispettosa dei diritti, e allo stesso tempo capace di valorizzare queste presenze, ricevendone partecipazione e supporto, da pieni cittadini»

Alessandro Cortesi op

II domenica di Avvento – anno B – 2020

Is 40,1-5.9-11; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8

“Consolate consolate il mio popolo, dice il vostro Dio, è finita la sua schiavitù… Una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Sali su di un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion”

Nel tempo della catastrofe dell’esilio un profeta, il secondo-Isaia, si fa voce di speranza e di attesa di ritorno. Il suo scritto è raccolto nei capitoli 40-55 del libro omonimo. ‘Consolate il mio popolo…’ è parola che racchiude la sua missione.

Il popolo è invitato a sollevarsi e a porre in atto i preparativi per un ritorno vicino: si tratta di un nuovo cammino che ripropone quello dell’esodo. Nel deserto Dio stesso guida alla liberazione su una strada che si apre inattesa. Il Dio dell’alleanza è il signore della storia: “Ecco tutti costoro sono niente, nulla sono le opere loro; vento e vuoto i loro idoli” (Is 41,29). E’ lui il primo l’ultimo: “fuori di me non vi sono dèi” (Is 44,6).

La voce di un messaggero annuncia che Dio sta per intervenire e cammina ancora accanto al suo popolo così come aveva fatto nel trarli fuori dall’Egitto: “Dio fece deviare il popolo per la strada del deserto verso il mar Rosso… Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, pe guidarli sulla via da percorrere , e di notte con uan colonna di fuoco, per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte ” (Es 13,18.21). La via che si apre è come una ‘via sacra’, simile a quelle perfettamente diritte che conducevano fin sulle soglie dei templi di Babilonia. Dio sta venendo e su questa strada il popolo dovrà camminare con gioia per tornare alla terra segno della promessa. ‘Il Signore Dio viene con potenza’ ma è una potenza paradossale perché il suo stile è cura e tenerezza: come un pastore che si prende carico delle pecore che più fanno fatica e che accompagna e sostiene quelle più fragili.

All’inizio del suo vangelo Marco presenta la figura di Giovanni battista come di un messaggero che prepara la via a Dio stesso: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me” (Mal 3,1-4). Il Battista è ‘voce’ che annuncia una svolta radicale e chiede un cambiamento di orientamento concreto nella vita di chi lo ascolta. Sceglie di stare nel deserto, lontano dal tempio e da lì rivolge un appello senza confini per prepararsi alla venuta di uno più forte. La sua voce è annuncio di qualcuno, di Gesù: presentato come ‘il più forte’ che battezzerà in Spirito Santo.

E’ Gesù il più forte da Giovanni indicato: viene a sconfiggere il male e a donare lo spirito, il dono atteso per gli ultimi tempi (Gl 3,28-29; Is 44,3; Ez 36,26). Il presente ‘viene’ sta ad indicare l’imminenza del suo venire. Il Battista lo annunciava con il suo essere voce nel deserto e con lo stile essenziale della sua vita teso ad un messaggio di conversione.

Marco all’inizio del suo vangelo ricordando la testimonianza di Giovanni richiama alla conversione. Battezzando nel deserto Giovanni richiama al cammino dell’esodo e al cammino del ritorno dall’esilio: solo recandosi nel deserto, lontano dal tempio ed a Gerusalemme si può ascoltare e accogliere la voce che parla di un venire di Dio ed apre la strada alla lieta notizia che ha il profilo del volto di Gesù da incontrare.

Alessandro Cortesi op

Deserto

Forse si muore oggi – senza morire.
Si spegne il fuoco al centro.
Sanguinano le bandiere. Generale è la resa.
Ciò che nasce ora crescerà in prigionia.
Reggete ancora porte invisibili dell’alleanza
bastioni di sereno. Puntellate il bene
che si sfalda in briciole in cartoni.
Il popolo è disperso. In seno ad ognuno cresce
il debole recinto della paura – la bestia spaventosa.
A chi chiedere aiuto? E’ desolato deserto il panorama.
Si faccia avanti chi sa fare il pane.
Si faccia avanti chi sa crescere il grano.
Cominciamo da qui.
(Mariangela Gualtieri, da “Bestia di gioia”, Einaudi 2010)

Il deserto è panorama di desolazione e di assenza di comodità, ma è anche spazio di silenzio, che riconduce all’essenziale della vita, fa scoprire la solitudine dell’esistenza, induce a guardare orizzonti che stanno oltre l’immediato. Il deserto toglie illusioni di dominio e pone a confronto con la durezza del sopravvivere. La mancanza d’acqua, la vicinanza della morte perché non vi è riparo e gli alimenti scarseggiano, sono i segni del deserto che fa crescere la paura.

Nel deserto si sono recati tutti coloro che hanno inteso confrontarsi con la povertà dell’esistenza e con le domande più essenziali. Un secolo fa Charles de Foucauld scelse il deserto come paradigma di un cammino nuovo che portasse a riscoprire la povertà di Nazareth e la possibilità di intraprendere vie di fraternità. Il deserto dell’esodo cammino di scoperta di un Dio vicino e che accompagna nella sua assenza, come nube come fuoco e fa trovare tracce della sua cura, la manna, l’acqua necessaria.

E nel deserto, nel silenzio della preghiera sono celati i semi di rinascite inattese da antiche rovine come ricorda Paolo Rumiz parlando della storia dei monasteri medioevali: “Nascosti nel cuore del tuo mistero, ti riconosciamo senza mai afferrarti.” È come un grido che risuona nel deserto, quel deserto che i primi eremiti in Egitto scelsero per rendere più estremo il combattimento col Grande Tentatore. Ed è forse in questa essenzialità di preghiera, intesa come celebrazione di un’assenza, che il mondo cistercense ha trovato la forza per la sua diffusione esplosiva nell’Europa del Duecento. Ai piedi delle vigne di Borgogna, Cîteaux ne ha tratto la capacità di risorgere infinite altre volte, dopo distruzioni, carestie, saccheggi, pestilenze. Ne hanno cacciato i monaci, l’hanno trasformata in stalla, zuccherificio, persino carcere minorile, ma l’abbazia rinasceva sempre. Tornava sempre alla vocazione originaria, come le rondini a primavera”. (P.Rumiz, Il filo infinito, Feltrinelli, Milano 2019, 81).

Il deserto è anche metafora della desolazione e della distruzione a cui può essere ridotta ogni conquista di civiltà, ogni città faticosamente costruita: “hanno fatto del mondo un deserto e l’hanno chiamato pace” (ubi solitudinem faciunt, pacem appellant). Così Tacito evocava il dominio del grande impero di Roma. E gli imperi economici e militari di questo tempo operano generando visibilmente deserti con l’abbattimento di foreste, l’impoverimento di territori, l’inquinamento dei mari e dell’aria, l’allontanamento di popoli e tribù da terre inaridite. E nel contempo promettono, mentre attorno cresce a dismisura l’iniquità, “magnifiche sorti e progressive” di quel ‘progresso scorsoio’ (Andrea Zanzotto), cieco di fronte ad ogni limite.

Il popolo è disperso. In seno ad ognuno cresce
il debole recinto della paura – la bestia spaventosa.
A chi chiedere aiuto? E’ desolato deserto il panorama.

In questo panorama di desolazione in cui i mercanti della paura corrono distribuendo la loro triste merce per alimentare illusioni e false speranze, non mancano le voci, flebili, attente, marginali di chi richiama ad un futuro ad uno sguardo più lungo, al senso di operare nel presente. Sono voci che ricordano e additano una speranza, una consolazione, come Isaia, come il Battista. Sono voci talvolta celate tra le pieghe di un quotidiano operoso, e da scorgere, in piccoli gesti che già indicano un cielo nuovo e una terra nuova, un altro modo possibile di vivere, un altro mondo possibile, insieme guardando agli altri, coltivando i gesti della cura e dell’accoglienza. Puntellando il bene. Sono le tracce profetiche di ricominciamenti possibili, fuori dai templi, lontano dalle pretese di chi ha sempre le soluzioni in tasca e non percepisce l’umiltà e l’incertezza del cammino. Nel deserto, che può fiorire come spazio di fraternità.

“A chi chiedere aiuto? E’ desolato deserto il panorama.
Si faccia avanti chi sa fare il pane.
Si faccia avanti chi sa crescere il grano.
Cominciamo da qui”.

Alessandro Cortesi op

Navigazione articolo