Domenica di Pentecoste – anno B – 2021
At 2,1-11; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27;16,12-15
La venuta dello Spirito a Pentecoste rinvia ai prodigi dell’esodo (cfr. Es 19,3-20): il vento, imprendibile e imprevedibile, e il fuoco che investe e trasforma sono i simboli che dicono la forza dirompente, l’apertura che il dono della Pasqua genera nella prima comunità di Gerusalemme. E si attua un percorso contrario a quello di Babele: lì la pretesa di avere una sola torre e di imporre una sola lingua, qui la possibilità di parlare lingue diverse e di poter intendersi ciascuno. Lì la pretesa di un unico dominio, qui la presenza di popoli diversi. Lì il potere di alcuni, qui il compimento delle parole del profeta (Gl 3,1-5): ‘io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diventeranno profeti i vostri figlie le vostre figlie’. E’ dono dello Spirito per tutti i popoli della terra, per scoprire la possibilità di una storia nuova e il sogni di Dio della riconciliazione. E viene così a compiere il progetto di Dio a Babele, quel percorso di porre in relazione nello scambio le diversità da riconoscere e accogliere.
Il IV vangelo riporta lunghi discorsi di Gesù prima della sua passione, nel momento della cena. Sono discorsi di amicizia, di rivelazione, di promessa. In particolare c’è un’insistenza sulla presenza promessa e che verrà: lo Spirito non viene presentato come una energia o forza dell’universo, ma come presenza personale di un ‘tu’ in relazione profonda con il Padre, perché ‘procede dal Padre’: “Quando verrà il Consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza perché siete stati con me fin dal principio” (Gv 15,26-27). Lo Spirito è promesso in modi diversi indicandoil suo agire come soffio interiore e presenza di dono.
Lo spirito è consolatore, paraclito, colui che porta aiuto, sta accanto e sostiene: anche Gesù ha inteso la sua presenza così con i suoi e lo Spirito è presenza annunciata come il grande suggeritore, la guida verso la verità tutta intera. Lo Spirito è indicato come presenza interiore, non racchiudibile, vicino nel momento della prova. Sarà lui a guidare la testimonianza nelle fatiche del tempo. Sarà lui a introdurre chi lo accoglie all’incontro con Gesù: “non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l’annunzierà”.
Il dono dello Spirito genera una vita nuova, una vita non secondo l’egoismo e il dominio (la ‘legge della carne’) ma una vita che cerca di realizzare “…amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dono di sé”: è questa la ‘legge dello Spirito’: sono quest i frutti dello Spirito. Si tratta cammino dice Paolo. Accogliere lo spirito è stare nella forza (dynamis) dello Spirito e ‘camminare secondo lo Spirito’. E’ un ‘camminare’ nella quotidianità e si esprime in ‘frutti’ nella vita e nella storia, da riconoscere, da valorizzare, da accogliere.
Alessandro Cortesi op
Pentecoste
Una preziosa raffigurazione della Pentecoste si può ritrovare nella decorazione dell’armadio degli argenti, commissionato da Piero de Medici per la biblioteca del convento dell’Annunziata a Firenze dipinto da Giovanni da Fiesole, il beato Angelico, tra il 1451 e 1453, e custodito oggi presso il museo di san Marco a Firenze.
I pannelli che compongono l’armadio degli argenti sono dipinti a tempera su tavola e nelle tavolette le immagini raffigurate sono poste in relazione a cartigli situati nei livelli inferiore e superiore. Anche nel pannello della Pentecoste i cartigli riprendono due citazioni bibliche che offrono il significato dell’evento e guidano alla lettura della scena raffigurata: quella in alto riprende la profezia di Gioele (Gl 3,1-2) citata in At 2,17 “su tutti effonderò il mio spirito, i vostri figli e le vostre figlie profeteranno…”. Quella in basso rinvia a At 2,4: tutti furono colmati di Spirito santo e cominciarono a parlare in altre lingue”. Peraltro la scena riprende il riferimento all’intera narrazione degli Atti degli apostoli “Tutti erano perseveranti e concordi nella preghiera insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù” (At 1,4). Questa notazione appare essere ripresa nella raffigurazione del gruppo dei discepoli e discepole raffigurato attorno alla centrale figura di Maria nella fascia superiore del dipinto. Così pure appare implicito il riferimento al ritorno a Gerusalemme di ‘quelli che erano con Gesù’ dopo la sua ascensione. “Allora ritornarono a Gerusalemme… entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi” (At 1,12-13). La stanza appare raffigurata infatti in alto con molteplici presenze all’interno.
Nel dipinto la scena appare così divisa in due parti, una superiore e una inferiore. In alto al centro appare Maria con le mani giunte in gesto di preghiera, in piedi, con una aureola dorata sul capo, raffigurata con una grandezza particolare rispetto a coloro che la attorniano. Attorno a lei sono delineati ventisei volti aureolati e con un fiammella sul capo: sono i profili degli apostoli che hanno visto l’inserimento nel gruppo di Mattia che ha preso il posto di Giuda, il traditore (At 1,15-26) e sono anche le donne e i fratelli di Gesù indicati come presenti a Gerusalemme.
Le citazioni dei cartigli guidano l’osservatore non solo a comprendere che l’immagine tratta dell’evento della effusione dello Spirito, secondo le promesse dei profeti, ma suggerisce l’aspetto su cui l’artista intende accentrare la sua attenzione: è infatti il momento in cui il dono dello Spirito dall’alto, come vento impetuoso, riempie la prima comunità di una forza nuova ed “essi cominciarono a parlare in altre lingue nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 1,4). La sala al piano superiore appare infatti luogo in cui si attua innanzitutto una conversazione tra tutti coloro che sono lì presenti.
Nel contempo proprio quella stanza chiusa appare totalmente aperta: il muro esterno che la ripara e protegge, appare come abbattuto, creando un effetto di sguardo all’interno ma anche offrendo una trasformazione della sala da luogo chiuso a terrazza aperta che si affacciata su tutto ciò che è fuori. Nell’immagine si può leggere l’invito dello Spirito, come lingua di fuoco che si appoggia su ognuno dei presenti, ad uscire, a far correre quella parola accolta e condivisa in un dialogo che si allarga senza confini. La sala viene trasformata quindi in un luogo di dialogo e contemporaneamente in una sorta di pulpito affacciato all’esterno. E i personaggi raffigurati nella fascia inferiore, all’esterno della casa, appaiono accogliere con meraviglia una comunicazione che proviene dall’alto: sono coinvolti anch’essi in quella novità suscitata dalle lingue di fuoco appoggiate sulle teste di ognuno dei discepoli e delle discepole. Tra tutti fa spicco la figura di Maria in posizione ieratica, al centro, raccolta in attitudine di preghiera e di accoglienza e tutta protesa con lo sguardo a guardare verso altri e quasi ad affacciarsi sull’esterno. Si può forse cogliere in tale atteggiamento l’attitudine propria di Maria sottolineata da Luca nel vangelo ed espressa: “Maria da parte sua, custodiva tute queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Maria è colei che tiene insieme, facendo simbolo.
Ma anche in questa figura al centro della comunità riunita si può scorgere un simbolo che indica il sorgere della chiesa nel momento dell’effusione dello Spirito. La chiesa non ha origine come società di potere con mandato di dominio, ma sorge nel dono dello Spirito quale dono della Pasqua in rapporto al dono di sé del crocifisso Risorto. Lo Spirito apre ad accogliere la presenza di Gesù come Parola, comunicazione del Padre e suscita comunicazione di parola che pone in relazione ed allarga la comunità. Non solo dodici, ma ventisei, non solo uomini ma anche le donne, non solo quelli che erano con Gesù ma anche altri si aprono ad accogliere il dono dello Spirito che fa comunicare. Maria nel suo stare in piedi rinvia al movimento che nel libro degli Atti è riferito a Piero che prende la parola: “Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così” (At 2,14).
Maria diviene figura che esprime il volto di una chiesa che trova la sua unica ricchezza e forza nel dono dello Spirito nella spinta a portare l’invito di apertura proveniente dallo Spirito ricevuto: “per voi infatti è la promessa e per. i vostri figli e per tuti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il signore Dio nostro” (At 2,39). Il rinvio al testo del profeta Gioele è anche richiamo alla novità che la Pentecoste apre: “i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno” (At 2,17-18). Il dono dello Spirito apre ad un vedere nuovo che apre futuro e genera speranza unendo giovani e anziani nel sognare il sogno di Dio che è sogno di vita in una relazione nuova di incontro.
La parte inferiore del dipinto presenta una scena all’esterno. Due gruppi di persone sono raffigurate una a destra e una a sinistra e al centro una porta di legno, chiusa, quasi un simbolo da decifrare in posizione centrale rispetto al muro bianco. I personaggi sono vestiti in fogge diverse, richiamano alla moda del Quattrocento fiorentino ed hanno curiosi copricapo che rinviano a provenienze diverse e al loro rappresentare le diverse culture. Sono richiamo di coloro che erano presenti a Gerusalemme e nel loro gesticolare rivolgendosi gli uni agli altri ricalcano le attitudini descritte nel racconto di Atti: “Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua… Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio” (At 2,8-11).
Il collegamento tra la fascia superiore e quella inferiore non è data dalla porta, che è chiusa, ma dal parlare che giunge dal piano superiore spalancato quasi fosse una terrazza e le presenze all’esterno, che pongono i loro piedi con calzari tipici dell’epoca, su un tappeto di erbe e fiori, un giardino. I rinvii simbolici potrebbero essere molti: il beato Angelico situa l’annunciazione – nelle sue diverse realizzazioni – nel contesto di un giardino in cui sta fiorendo una novità e dove la vita rinasce. Così pure l’incontro del risorto con Maria maddalena è situato in un giardino in cui i fiori rinviano simbolicamente alle ferite della passione e richiamano la vita del Risorto che ha vinto la morte. Così anche Pentecoste unisce la casa in cui le porte erano chiuse.
Nell’immagine si unisce il racconto della pentecoste secondo Atti al dono dello Spirito da parte del Risorto nel suo primo apparire ai suoi nella stanza dove si erano rinchiusi bloccati dalla paura. Secondo il IV vangelo Gesù stette in mezzo ai suoi, rendendosi presente e convocando ancora attorno a sé una comunità a cui dona la pace e lo Spirito: “La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù stette in mezzo e disse loro: ‘Pace a voi’ … come il Padre ha mandato me anch’io mando voi’. Detto questo soffiò e disse loro: ‘Ricevete lo Spirito santo’” (Gv 20,19-22).
Nel riquadro dell’armadio degli argenti quella porta chiusa proprio in mezzo nella fascia inferiore rinvia alla figura di Maria, in piedi nella fascia superiore al piano alto della casa. Questo parallelismo può essere letto quale indicazione della paura e della chiusura evocata dalla porta chiusa, che sono vinte dal dono dello Spirito e dal mandato da parte del Risorto a tutta la comunità: Maria può essere letta come figura della chiesa sella predicazione e del dialogo che sorge da pentecoste. Gesù invia ad essere testimoni della pace e della gioia che aprono ad una storia nuova. Quella porta è oltrepassata e spalancata in alto dalla parola che ora raggiunge l’esterno oltre ogni muro di separazione generando nuova fioritura di incontro, di vita insieme, di rapporto tra popoli e lingue diverse.
Alessandro Cortesi op
Solennità della Ss. Trinità – anno B – 2021
Dt 4,32-34.39-40; Rom 8,14-17; Mt 28,16-20
“Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore Dio è lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro”.
Il ‘lassù’, le altezze dei cieli, e il ‘quaggiù’, la terra, non sono luoghi abbandonati e vuoti ma sono abitati. Israele ha scoperto e incontrato la presenza di Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra come vivente, in ascolto, colui che dona liberazione e salvezza. Egli è lassù, altro da ogni cosa, e nel medesimo tempo è fonte di ogni vita, Dio nella creazione, coinvolto nella vita del popolo a cui rivolge la sua parola e la sua alleanza: “Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra … si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?”
Non è facile stare in ascolto di Dio, non si può mai pretendere di trattenerlo o rinchiuderlo in un possesso umano. L’intero Primo testamento è narrazione della storia di un’esperienza di incontro, non tanto di ricerca umana di Dio, ma del venire di Dio in cerca dell’uomo. Il Dio lontano e vicino chiama e dona se stesso per una convocazione con orizzonti universali.
Gesù è presentato dai vangeli come testimone dell’Abbà, il Padre, a lui orientato in tutta la sua vita. Ha vissuto come chi si affida senza riserve, e i vangeli ne rivelano il profilo rivolto all’Abbà soprattutto nei momenti decisivi e drammatici della sua esistenza: nella quotidianità e nella prova, nei giorni di scelte importanti, fin nell’orto degli ulivi (Mc 14,36). C’è un’intimità unica che emerge dai racconti dei vangeli. Nella preghiera in particolare Gesù si affida al Dio Abbà e così il grido sulla croce “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato” (cfr. Sal 22) e le parole di affidamento ‘nelle tue mani padre affido il mio spirito’ manifestano un rapporto unico.
Dopo la sua morte e risurrezione Gesù è riconosciuto e indicato come il Figlio mandato dal Padre. In lui chi lo segue può vivere la scoperta di essere figlio del Padre e fratello suo. E’ l’esperienza della prima comunità dopo la pasqua, quando Gesù dona ai suoi di vivere la gioia di una sua presenza nuova nello Spirito. Paolo esprime tale consapevolezza quando scrive: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno Spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo Abbà, Padre. Lo Spirito stesso attesta al nostro Spirito che siamo figli di Dio”.
Nello Spirito, lasciando spazio a lui, il grande suggeritore, colui che ricorderà tutto quello che Gesù ha detto (cfr. Gv 14,26) colui che consola (Gv 14,15), possiamo scoprirci innestati nella vita dell’Abbà, dono di amore e di comunione: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre… in quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (cfr. Gv 14,20).
Alessandro Cortesi op
“tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio”.
Franco Battiato, musicista e artista dalle diverse competenze e sensibilità, è morto pochi giorni fa. Nelle sue canzoni ha lasciato tracce di una profonda ricerca spirituale che ha orientato la sua vita ed ha trovato espressione nelle sue opere di artista. Alcuni frammenti di questa ricerca possono essere colti nelle parole di alcune canzoni. Il testo di E ti vengo a cercare https://www.youtube.com/watch?v=eeo_iXWKB4I tratto dall’album Fisiognomica del 1988 presenta un movimento di apertura all’altro e di sguardo interiore, nella ricerca di un vedere e di un parlare che ha come riferimento un ‘tu’ indefinito ma vivo e presente:
E ti vengo a cercare
Anche solo per vederti o parlare
Perché ho bisogno della tua presenza
Per capire meglio la mia essenza
E’ una ricerca della propria identità più profonda non ridotta alle prospettive ristrette di un io isolato e con pretese di dominio, ma nei termini di una accoglienza di sé in cui forte è la percezione del limite e del bisogno dell’altro e per questo è vissuta nel rapporto con l’alterità:
Perché ho bisogno della tua presenza
Per capire meglio la mia essenza.
L’apertura all’altro si inserisce e trova il suo ambiente in un coinvolgimento nell’ambito più ampio della natura. Il rinvio alle radici che affondano nella terra dell’incontro non è solo metafora dell’ineludibile provenienza da altri e del rapporto su cui cresce la vita, ma è anche riferimento alla vita della natura che incrocia diverse radici e piante e frutti.
E ti vengo a cercare
Con la scusa di doverti parlare
Perché mi piace ciò che pensi e che dici
Perché in te vedo le mie radici
Tale movimento interpreta non una attitudine elitaria, ma una ricerca diffusa e presente anche se non sempre tematizzata: sentimento di popolo. L’accostamento di mistica e sensualità conduce a scorgere un superamento di divisioni spesso presenti nella percezione dell’esistenza.
Questo sentimento popolare
Nasce da meccaniche divine
Un rapimento mistico e sensuale
Mi imprigiona a te
Si delinea così un dinamismo di nuova nascita che implica passaggi di distacco, ma anche scoperte di aspetti inauditi della propria vita e potenzialità che attendono di trovare espressione:
Fare come un eremita
Che rinuncia a sé…
Mi spinge solo ad essere migliore
Con più volontà.
Si tratta di una ricerca che rimane aperta e indefinita: l’apertura all’altro passa infatti per gli incontri con tu personali che possono essere gli incontri di ogni giorno, ma può respirare anche di una attesa che rinvia oltre affacciandosi su dimensioni che oltrepassano la dimensione umana affondano in una realtà dai contorni divini.
Emanciparmi dall’incubo delle passioni
Cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male
Essere un’immagine divina
Di questa realtà
La musica della canzone guida e accompagna questa tensione di ricerca, di dialogo, di apertura che nelle parole prende forma diversa e insieme alla musica si apre al suscitare emozione e coinvolgimento negli ascoltatori.
Il senso dell’attesa e di ricerca di protezione si rende vivo anche nelle parole della canzone L’ombra della luce https://www.youtube.com/watch?v=E8jo7DBxaos tratta dall’album “Come un cammello in una grondaia” del 1991:
Difendimi dalle forze contrarie
La notte, nel sonno, quando non sono cosciente
Quando il mio percorso si fa incerto
E non abbandonarmi mai
Non mi abbandonare mai
La percezione qui espressa rinvia alla bellezza e profondità dei sentimenti e dei movimenti del cuore e nel contempo apre a considerare una luce che si rende presente pur permanendo nascosta. L’ombra richiama infatti ad una oscurità e ad una negazione, ed insieme rinvia al contrasto con una luminosità che pur si rende presente e tuttavia non può mai essere definita, ma rimane sconosciuta e desiderata.
Perché le gioie del più profondo affetto
O dei più lievi aneliti del cuore
Sono solo l’ombra della luce
La contrapposizione di ombra e luce genera un desiderio di ricerca e suscita invocazione ‘non abbandonarmi mai’, apertura che rimane sospesa e di cui non si esplicita il chi o che cosa a cui è rivolta. Ma proprio in questa sospensione offre il senso di un movimento che può accomunare diversi itinerari caratterizzati da religiosità esplicita o da apertura di pensiero e tensione umana. Battiato si fa così interprete della universale aspirazione ad una quiete auspicata come pace e del riscontro di infelicità che segna la dispersione nel tempo pur percepito come dono prezioso, risorsa limitata da non sprecare.
Ricordami, come sono infelice
lontano dalle tue leggi;
come non sprecare il tempo che mi rimane.
E non abbandonarmi mai…
Non mi abbandonare mai!
Perché la pace che ho sentito in certi monasteri,
o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa,
sono solo l’ombra della luce
In ‘Oceano di silenzio’ https://www.youtube.com/watch?v=tfqwo73wjVU è quasi suggerita l’immersione nel silenzio quale dimensione altra che pur pervade l’esistenza, indicando la via di una pace da ricercare negli spazi dell’interiorità:
Quanta pace trova l’anima dentro
Scorre lento il tempo di altre leggi
Di un’altra dimensione
E scendo dentro un Oceano di Silenzio
Anche nelle parole della canzone ‘Torneremo ancora’ https://www.youtube.com/watch?v=aBq3zRGn0aA che si armonizzano con suoni evocativi di tensione, attesa e speranza, risuonano echi di una spiritualità coltivata nella frequentazione di approfondimenti filosofici e teologici, nell’amicizia con filosofi e persone spirituali e ispirata a grandi pensatori (tra essi Georges Ivanovic Gurdjieff).
L’affermazione Nulla si crea, tutto si trasforma apre ad una meditazione sulla vita come immersione nella luce, accoglienza di luminosità che pervade il cosmo e accomuna, nel cammino umano che è ricerca senza confini. Il cammino della migrazione umana diviene cifra di percorsi di ricerca a dimensione universale e che nessuno vede esenti o esclusi. Ed apre a scorgere come nel tempo delle migrazioni si può scoprire una comune cittadinanza, di chi abita in cammino, alla ricerca di una terra e di una nascita nuova.
La luce sta nell’essere luminosi
Irraggia il cosmo intero
Cittadini del mondo
Cercano una terra senza confine
E’ così evocata la precarietà dell’esistenza e il motivo della morte legato alla nascita: sonno e risveglio ‘finché non saremo liberi’. La promessa o l’auspicio ‘e torneremo ancora’ si connette ad un desiderio di libertà, nella considerazione dei cammini umani segnati dal migrare e dai molti cammini esteriori e interiori nella tensione verso la luce e verso gli orizzonti della verità.
la vita non finisce è come sonno
la nascita è come il risveglio
Finchè non saremo liberi torneremo ancora
ancora
e ancora
L’allusione ai migranti di Ganden rinvia alla grande università monastica del Tibet: perseguitati e costretti all’esilio giunsero a ricostruire un monastero a Karnataka nell’India meridionale. L’idea sviluppata in questa canzone scritta insieme al monaco Juri Camisasca indica il percorso di continua migrazione umana sin quando non si raggiunga l’ultima dimora.
Come ha ben osservato Paolo Trianni (Spiritualità e musica: addio a Franco Battiato, in Settimananews 18.05.2021: “Battiato ha condiviso con i fan il proprio cammino esistenziale. Rimarrà uno dei suoi grandi meriti quello di aver portato nel cinema e nella canzone la spiritualità. Egli è riuscito a rendere popolari tematiche che prima non avevano mercato, inserendo nelle canzoni temi filosofici e teologici (…) Di sicuro, però, dalle sue canzoni promana una ricerca spirituale autentica, che testimonia l’universalità dello spirito al di là di ogni parzialità e confessionalità”.
Alessandro Cortesi op