III domenica di Pasqua – anno C – 2022
At 5,27-32.40-41; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19
Pietro davanti al sommo sacerdote testimonia la fede pasquale: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono»
Pietro indica il Dio dei padri che ha risuscitato Gesù capo e salvatore: la risurrezione è continuità di vita. Colui che è stato incontrato vivente dopo la morte non è un fantasma ma è il medesimo Gesù che ha annunciato la venuta del regno. La sua missione è stata in fedeltà al disegno di salvezza del Dio dei padri per Israele e per tutti i popoli.
Pietro utilizza il linguaggio del ‘rialzarsi’ ma parla anche di innalzamento per indicare la vita di Cristo accanto al Padre. “Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore”. Si tratta di forme linguistiche diverse per indicare che Gesù Cristo è vivente in una dimensione ‘altra’ da quella terrena. I cieli in alto si contrappongono alla terra in basso e Cristo ora appartiene ad una sfera di vita nuova e diversa da quella sperimentabile sulla terra. Parlare dell’esperienza della risurrezione è arduo: non è esperienza deducibile dalla sfera delle esperienza umane. E’ irruzione dell’Ultimo di Dio nella storia. Per questo sono utilizzate immagini e metafore. Pietro indica come Gesù di Nazareth colui che è stato incontrato è ora innalzato, vive alla destra del Padre come l’erede al trono sedeva alla destra. La sua presenza può essere incontrata in modo nuovo, nell’esperienza del credere.
La pagina del quarto vangelo narra una delle apparizioni di Gesù dopo la Pasqua: la scena si svolge in tre momenti. All’inizio l’invito di Pietro ‘io vado a pescare’ seguito dagli altri discepoli La scena è posta in un’atmosfera quotidiana con la presenza di sette discepoli indicati uno ad uno con i loro nomi: Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due. Sono colti nel momento in cui salgono sulla barca e nella delusione per il fallimento della pesca di quella notte. A questo punto Gesù si manifesta. Gesù si presenta loro sulla riva e li invita a gettare le reti dalla parte destra ma la sua presenza non è riconosciuta. Di fronte alla meraviglia di una pesca abbondante il discepolo che Gesù amava, lui per primo, con quel vedere proprio dell’amore, riconosce la presenza del maestro: ‘E’ il Signore’. E Simon Pietro si getta in mare. Si attua un riconoscimento e sorge nei discepoli un modo diverso di vedere: Gesù ora va incontrato con gli occhi della fede e dell’amore. Così la barca e la rete che non si spezza sono simboli della chiesa che segue il suo Signore.
Il secondo momento del racconto è la condivisione: è il momento in cui mangiano insieme sulla riva richiama alla comunione. Gesù chiede che i pesci siano portati e posti insieme a quello già preparato insieme al pane sul fuoco. E ripete i gesti del dare e distribuire il pane, sintesi della sa esistenza: “Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce”. Gesù si fa vicino, e distribuisce i segni che racchiudono il senso profondo della sua vita.
Il terzo momento è costituito dal dialogo tra Gesù e Pietro. Per tre volte Gesù ripete la domanda “mi ami?”. E’ quasi un lento ritornare sul triplice rinnegamento di Pietro durante la passione. Pietro risponde “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. La missione di Pietro come guida sarà quella di seguire Gesù, accogliendo in dono del suo amore.
Alessandro Cortesi op
Anelare la pace in un mondo di guerre
L’Istituto Sipri di Stoccolma (Stockholm Internatinal Peace Research Institute) in un suo recente studio ha calcolato che l’investimento nel mondo durate il 2021 per le armi è ammontato a più di due miliardi di dollari totali. Con una crescita dello 0,7% che conferma una linea in atto dal 2016.
Gli Stati hanno impiegato quasi il 6% dei propri bilanci destinandoli ad attività e strutture militari. Al primo posto gli stati Uniti con il 38 % mondiale, poi la Cina per il 14 %: Seguono India Rgeno Unito e Russia. L’Italia ha investito 32 miliardi di dollari e si colloca all’undicesimo posto di questa classifica. E le previsioni per il 2022 indicano una ulteriore crescita di investimenti.
Nel 2021 la spesa per armi ed eserciti da parte della Nato in proporzione supera le diciassette volte e mezzo il bilancio della Russia che ha registrato continua crescita. I Paesi dell’Unione europea spendono tre volte e mezzo quanto spende la Russia.
Nel futuro, in considerazione della situazione di guerra in Ucraina e della realtà mondiale si prevedono aumenti ulteriori soprattutto per nuove armi. La Campagna Globale sulle spese Militari ha pubblicato un appello. In esso si ricorda che «i Paesi che cercano di superarsi l’un l’altro comprando armi di tutte le dimensioni non stanno seguendo una corretta strategia di difesa e sicurezza. Non ha funzionato in passato e non funzionerà mai» ricordando inoltre che «la dipendenza globale dalla militarizzazione distrugge la fiducia tra popolazioni e mina gli sforzi di cooperazione tra i Paesi». Viene proposto quindi di «ridurre le spese militari impegnando i fondi per una sicurezza comune e umana, investendo nei veri bisogni delle persone e del pianeta al fine di costruire una pace giusta e sostenibile. Per darle una possibilità, dobbiamo dare fondi alla pace». Le proposte concrete sono tra altre quelle di una moratoria di almeno un anno sull’acquisto di sistemi d’arma, di spostare le risorse risparmiate su welfare, scuola, sanità e la costituzione e finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata.
E’ da ricordare che questa situazione di investimento per le armi si colloca in una situazione internazionale segnata dalla presenza di molteplici guerre: quella in Ucraina dimostra la barbarie che la devastazione che la guerra porta. Ma vi sono altre guerre dimenticate e che andrebbero ricordate. Un articolo di Emilio Drudi, Marco Omizzolo, Le guerre dimenticate, non meno feroci di quella in Ucraina, 26 Aprile 2022 nel sito di Euripes ce le ricorda.
Una è la guerra in Tigrai, scatenata da Addis Abeba contro il governo regionale di Macalle il conflitto iniziato nel novembre 2020, ha provocato morte e sofferenze: più di due milioni di sfollati (su una popolazione di 6 milioni), circa 75mila profughi fugiti in Sudan. Il numero dei morti considerando anche le vittime per mancanza di cibo, conseguenza dei combattimenti, giunge a ad almeno 400mila morti. La guerra ha distrutto ospedali e ambulatori di villaggio. Fame e carestia sono state usate come strumenti per piegare la popolazione. E’ da poco in atto una tregua per motivi umanitari ma è fragilissima.
In Yemen la guerra è iniziata in modo palese nel 2015, ma sin dal 2011 il paese era piombato nel disordine quando il presidente Ali Abdullah Saleh fu costretto a lasciare il posto al suo vice, Mansour Hadi a seguito delle rivolte della primavere arabe. Da lì è iniziato un aggravarsi della situazione: i fenomeni della siccità e di una conseguente carestia sono sopraggiunti, una terribile epidemia di colera e una di difterite a cui è poi seguito il Covid. Per due anni l’invasione di locuste ha distrutto le piantagioni. Da sette anni la situazione ès egnata da questi disastri e la popolazione sta soffrendo le conseguenze. I morti sono circa 380mila: di essi 100mila a causa dei combattimenti, gli altri a causa della fame e delle malattie. Oltre 20 milioni di persone (due terzi della popolazione) non hanno possibilità di nutrimento a sufficienza. Alla vigilia del Ramadan, su proposta dell’Onu, le due parti in lotta hanno accettato una tregua di due mesi. Ma anche qui la tregua è un piccolo spiraglio di speranza in una situazione drammatica.
In Siria da undici anni continua una guerra che ha portato alla distruzione del Paese. Il movimento popolare sorto al tempo delle primavere è stato represso nel sangue con la ferocia delle uccisioni e della tortura, dal dittatore Bashir Assad. La guerra civile sviluppata ha visto l’intervento delle potenze mondiali. In Siria è cresciuto e sviluppato l’Isis. Nel Paese si è generata una crisi umanitaria senza precedenti con un esodo di profughi drammatico. Si calcola che 13,5 milioni di persone su una popolazione di 21 milioni di abitanti siano state costrette alla fuga; 5,6 milioni sono le persone rifugiate al di fuori del Paese. Almeno 500mila sono le vittime di questa guerra che ancora continua mentre circa il 60% della popolazione soffre la fame.
Un’altra guerra dimenticata è quella in atto in Mali che vede i suoi inizi in un rivolta nel febbraio 2012 che rivendicava una autonomia delle regioni sahariane del Nord con maggioranza di tuareg e berberi. Sulla ribellione si è innestata l’azione di gruppi jihadisti appartenenti ad Al Qaeda e all’Isis. Questa ha portato alla destituzione del governo e del presidente Amadou Toumani Touré, deposto dal suo stesso esercito. Nel 2013 la Francia ha intrapreso un intervento militare nella ex colonia per contrastare l’espansione dei gruppi jihadisti ed altre forze militari. da altri Paesi si sono aggiunte. Ma ciò ha generato una situazione di guerriglia su cui si sono innestate lotte di gruppi etnici. L’intervento francese è stato visto come tentativo di controllo dei propri interessi in quel territorio. La situazione di disordini ha favorito la crescita dell’Isis che ha costituito lo Stato islamico del Grande Sahel nella regione tra Mali, Ciad, Niger e Burkina Faso. Due colpi di stato si sono succeduti e oltre 2 milioni sono gli sfollati, con più di quindicimila morti, tra di essi 260 caschi blu dell’Onu. A seguito del colpo di stato del 2021 una giunta militare ha preso il potere: vi è stato un allontanamento dalla Francia che ha ritirato le sue truppe contemproaneamente al ritiro di altri contingenti europei. E’ subentrata poi la presenza russa del gruppo Wagner e si è accresciuta la minaccia dei gruppi terroristici.
“C’è da chiedersi come mai guerre atroci e lunghissime come quelle nel Tigrai, nello Yemen, in Siria, in Mali, non abbiano ascolto nella politica italiana ed europea e come mai trovino poco spazio nei media. Perché non sconvolgano la sensibilità delle persone. Lo stesso vale, del resto, per altre crisi estreme che provocano migliaia di morti e schiere enormi di profughi. In Afghanistan, ad esempio, dove la fuga precipitosa degli eserciti occidentali nello scorso agosto ha posto fine ad un conflitto durato vent’anni, ma dove non è certo finita la terribile emergenza umanitaria creata proprio dalla guerra” (Emilio Drudi, Marco Omizzolo, Le guerre dimenticate, non meno feroci di quella in Ucraina).
In questa situazione del mondo appare improtante richiamare le parole di papa Francesco – peraltro ignorate dai media – che recentemente in un indirizzo di saluto al CIF il 24 marzo us ha rinnovato il suo appello contro la follia del riarmo e della logica della guerra:
“La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate; per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, un po’ dappertutto; fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri. La vera risposta dunque non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che non so, un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento, credo, o il due per mille del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare”.
In spe contra spem.
Alessandro Cortesi op
II domenica di Pasqua – anno B – 2024
At 4,32-35; 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31
Lo spirito e la pace sono i doni del Cristo risorto.
Negli Atti degli apostoli la vita della prima comunità è descritta, con sottolineatura della condivisione: la fede in Gesù risorto genera una vita di fraternità. Segni ne sono la condivisione dei beni ed una comunanza che parla da sè e attrae: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo ed un’anima sola”. La vita di questa comunità trova suo centro nella risurrezione di Gesù: “Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù”. La fede nel Signore risorto genera innanzitutto comunione in lui e con gli altri.
Al cuore del vangelo sta una beatitudine rivolta a coloro che, senza vedere, crederanno: “Beati quelli che, pur non avendo visto crederanno”. Il IV vangelo è particolarmente attento a tratteggiare gli itinerari del credere. Tommaso vive la fatica e il dubbio e la sua esperienza diviene simbolo del percorso di ogni discepolo. Il suo cammino è passare da una fede intesa come verifica di evidenze, appoggiata sui segni e sul vedere, ad un credere che si affida alla testimonianza.
Gesù incontrato dai suoi come colui che si pone in mezzo reca due doni: la pace e lo Spirito. E’ il medesimo Gesù incontrato prima della Pasqua, colui che ha vissuto la sofferenza e la morte. Non è un altro: la gloria della risurrezione è incomprensibile se slegata dalla passione e morte di Gesù che si è chinato a lavare i piedi. Per questo Gesù risorto mostra ai suoi le mani e il costato. E’ proprio lui, il medesimo. Nella risurrezione reca le ferite della passione. Così risponde all’esigenza di Tommaso ma fa cogliere l’identità e la continuità tra la sua esperienza prima della Pasqua e la sua vita nella condizione di risorto. La sua presenza ora non è più come quella di prima: chiede di essere incontrato nella fede, genera una gioia profonda nel cuore: l’incontro con lui sarà vissuto nell’accogliere la missione che egli affida e nel vivere i doni dello Spirito e della pace.
Gesù è quindi il medesimo che ha percorso le strade della Palestina, incontrando i suoi e annunciando il regno di Dio. E’ morto sulla croce. La sua presenza si rende ora vicina in modo nuovo: è il Risorto, che fa entrare i suoi in una nuova comunione con lui.
Ai suoi offre il dono dello Spirito: come sul primo uomo Adamo Dio aveva alitato un soffio di vita (Gn 2,7) così ora Gesù soffia sugli apostoli comunicando lo Spirito: una nuova creazione ha inizio: sulla croce l’ultimo respiro di Gesù era stato una consegna del suo spirito (Gv 19,30).
Lo Spirito è donato con la missione di continuare l’opera di Gesù del perdono: “Come il Padre ha mandato me così anch’io mando voi”: l’invio degli apostoli ha le sue radici nella missione del Figlio da parte del Padre. La missione del Padre che genera l’invio e manda gli apostoli ad essere continuatori dell’opera di salvezza di Cristo.
A conclusione sta un riassunto del vangelo: “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.
Credere è cammino, credere è esperienza di incontro e ogni percorso del credere conduce a condividere una vita donata. Accogliere e trasmettere i doni della pace e dello Spirito è per i credenti è partecipare alla risurrezione e farsene responsabili nella storia.
Alessandro Cortesi op