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commenti alla Parola della domenica e riflessioni

II domenica di Quaresima – anno C – 2019

Abramo ChagallGen 15,5-12.17-18; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36

“Quando fu tramontato il sole, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse un’alleanza con Abramo”. Un modello di alleanza tra popoli diviene segno per indicare ciò che è indescrivibile: l’esperienza dell’irrompere di Dio e della sua chiamata nella vita di Abramo.

Secondo l’antico rito due gruppi che facevano pace dopo una guerra dovevano passare tra gli animali divisi per impegnarsi in un nuovo legame di fedeltà. Il loro gesto alludeva al dire: ‘accada a me come a questi animali se non rispetto il patto che da ora ci lega’. Era questo il segno espresso con il ‘tagliare un patto’, (da cui l’ebraico berit, alleanza).

Il rapporto tra Dio e Abramo è così presentato come un incontro. E Abramo diviene l’amico di Dio nel legame nuovo che ha inizio. Un impegno di fedeltà prima di tutto di Dio stesso. Nella scena biblica tra gli animali squartati al tramonto passa solamente ‘un forno fumante e una fiaccola ardente’. Il fuoco indica la presenza di Dio, fiaccola che arde e il forno fumante richiama al fumo che nasconde come sarà nel Sinai per Mosè quando alla consegna della Legge tutta la montagna divenne fumante.

Ma in mezzo a quegli animali non passò Abramo. L’impegno è unicamente da parte di Dio, e da Lui solo. In quel tramonto l’alleanza si compie come dono di fedeltà da parte di Dio che s’impegna a non far venir meno la sua promessa. Ad Abramo è solamente richiesto l’abbandono, nella fiducia disarmata. A lui è chiesto di vivere sospeso alla promessa e alla memoria di quell’esperienza espressa nei termini di un rito di allenaza ma che è in radice esperienza interiore di scoprirsi chiamato da Dio e con lui la sua discendenza come le stelle del cielo, in un disegno di comunione. Affidandosi senza riserve. E così ‘Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia’ (Gen 15,7).

La Pasqua è compimento della promessa di fedeltà di Dio che s’impegna ad essere il ‘Dio vicinissimo’ ad Abramo e, in lui, a tutti coloro chiamati a quel medesimo cammino di uscita e di pellegrinaggio che è la vita stessa.

La trasfigurazione è racconto ricco di simboli: può essere ricordo di un momento di preghiera vissuto accanto a Gesù, o anche un riferimento all’esperienza dell’incontro con lui vivente dopo la Pasqua. Tutto in questa pagina fa riferimento ai giorni della Pasqua: nel dialogo con Mosè ed Elia ‘parlavano del suo esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme’. Gesù sul monte viene indicato dalla voce: ‘questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo’

Luca parla di metamorfosi, evento conosciuto nel mondo greco. Descrive così l’aspetto di Gesù nei termini in cui si parla di Mosè nell’esodo dopo la discesa dal Sinai: con il volto risplendente di luce poiché aveva parlato con Dio (Es 34,29-30). L’intera vita di Gesù è cammino di un nuovo esodo, e di una salita. Come Israele uscì dall’Egitto e salì verso la terra promessa, così Gesù, dirigendosi a Gerusalemme apre un esodo nuovo.

L’ esito di questa salita sarà il calvario e la croce ma ancora oltre, perché si compie nella salita al Padre: movimento che Luca descrive come un salire per stare accanto al Padre. E’ una salita non solo di Gesù ma anche di tanti altri con lui. L’incontro con lui, nel suo passare accanto a noi è esperienza che apre a condividere la comunione con il Padre.

Tutto il cammino di Gesù è orientato a Gerusalemme: una luce è presente nel suo volto umano. Nella ‘normalità’ della sua esistenza si può scorgere una luce. Così nei tratti del suo volto crocifisso si può cogliere la luce che è l’amore del Padre che ha misericordia e dona il perdono.

L’invito conclusivo è ‘ascoltatelo’ (cfr. Dt 18,15): Luca richiama all’ascolto di Gesù e all’ascolto del comunicarsi di Dio nella umanità. La nube ricorda che la presenza di Dio è sempre velata e non afferrabile dallo sguardo, ma sta vicino e accompagna.

Paolo, alla comunità di Filippi a cui è profondamente legato indica la speranza che lui ha sperimentato nell’accogliere Cristo ‘Gesù Cristo trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso’: tutto della nostra vita è portato nella comunione con Dio: la Pasqua è risurrezione di Cristo che coinvolge l’umanità in questo dono di vita nuova e di speranza per tutti.

Alessandro Cortesi op

Donald TrumpLa nube e la firma

Dio non firma libri: con questo titolo Michele Serra sigilla la sua riflessione quotidiana nella rubrica ’Amaca (“la Repubblica” 12 marzo 2019). Questa volta si sofferma sul gesto sconcertante e indecente (nel senso etimologico della parola: ‘che si pone contro il decus/decoro’) del presidente degli Stati Uniti che, inseguendo un costume assai diffuso negli eventi di presentazioni di libri, ha voluto offrire occasione di contatto con i suoi fans apponendo la sua firma non su di un libro da lui scritto – cosa peraltro difficile solo a pensarsi – ma su Bibbie che gli venivano portate dai fan convinti di essere fedeli osservanti del messaggio lì contenuto.

“Vedere Donald Trump che autografa Bibbie, in Alabama, come un battitore che firma palline da baseball, non fa pensare alla religione, ma al marketing politico nella sua forma più miserabile. Le ha firmate sulla copertina, quell’omone protervo, con un tratto smodato di pennarello, e i fedeli (suoi e di Dio) non solo non hanno trovato niente da ridire, non solo non gli hanno detto “guardi che non si fa, guardi che quella sarebbe la parola di Dio”, ma parevano estasiati”.

Quella firma apposta sul libro come un segno di controllo e di dominio, come una pretesa di possederne il segreto e di averne chiari i significati è gesto di una protervia inaudita e tanto più sorprendente per l’assenza di reazioni di indignazione da parte di chi gli stava intorno. Un gesto che rivela in modo spudorato il modo di intendere la religione come instrumentum regni, un utilizzo dei simboli religiosi staccati totalmente dal messaggio che recano. La Parola di Dio contenuta in quel libro per i credenti è parola che non può mai essere ridotta nei confini di progetti umani, richiama sempre ad un limite, va ascoltata come parola altra non riducibile ad alcun progetto politico o economico e tanto meno di un potere che si fa dominio e oppressione.

Anche per chi non condivide la fede nella Scrittura come Parola di Dio, come ben osserva Serra, tale gesto appare non tanto blasfemo, ma scostumato. Com’è scostumato un volgare bullo che pretende di imporre la sua presunta grandezza senza riconoscere la sua reale condizione di pover’uomo. E che pur nutre pretese di conoscere la Bibbia (forse senza mai averla lette) e di essere all’altezza delle parole contenute in quel libro.

“Di tutte le affettazioni e le ipocrisie che il potere genera a ciclo continuo, la confidenza con Dio è forse la più turpe. Non perché sia indimostrabile (e lo è), ma per l’orribile sproporzione tra la statura del potere e la dimensione del sacro. Vale anche per chi bacia il rosario ai comizi”.

Appaiono in questi gesti chiari i confini tra una fede vissuta nei termini di apertura all’oltre, magari vissuta nel segreto del cuore da chi dicendosi ateo ricerca un volto autentico di Dio, che per chiunque anche credente rimane avvolto nella nube, e una religione asfittica e depravata, attitudine che si fa alienazione e capovolgimento della fede stessa:

“Ci sono atei che abbracciano le stelle, e vivono nel rispetto della vita e della morte. E ci sono ferventi ultras di questa o quella Chiesa che dimostrano lo stesso tasso di spiritualità di un paracarro”.

Alessandro Cortesi op

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