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commenti alla Parola della domenica e riflessioni

XXII domenica del tempo ordinario – anno B – 2021

Dt 4,1-2.6-8; Gc 1,17-18.21-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

I farisei criticano Gesù perché i suoi discepoli prendono cibo con mani immonde, cioè non lavate: li accusano di non osservare le prescrizioni della legge, la tradizione degli antichi. Dal punto di vista storico c’è una presentazione parziale dei farisei che al tempo di Gesù coltivavano una profonda tensione spirituale ed erano vicini a quanto Gesù diceva. Tuttavia nei vangeli i farisei sono presentati come paradigma di una religiosità costruita sull’esteriorità e nutrita di ipocrisia: la polemica con loro non è da leggere come un rifiuto di una spiritualità fondata sull’alleanza e sulla predicazione profetica ma va contro una attitudine universale che rinchiude la fede entro un sistema religioso. Il fariseismo è quindi atteggiamento presente in ogni tradizione e in ogni tempo. E’ questo il problema che viene posto a Gesù: l’osservanza di prescrizioni del rito e di norme è un fine o un mezzo?   

Nel rispondere Gesù porta la questione al suo centro: pone la domanda sul rapporto con Dio e  le tradizioni frutto di elaborazione umana, e apre la questione dell’obbedire a ciò che Dio chiede e di non seguire precetti di uomini.

Gesù si schiera contro l’ipocrisia, atteggiamento raffinato che porta a scambiare i fini con i mezzi, e porta a dare un primato alla preoccupazione scrupolosa di osservanze al posto di un ascolto di Dio nel percorrere un cammino di fedeltà.

E’ questa la linea costante nei profeti nel loro richiamare ad un culto non esteriore, di gesti sacrali e di osservanze di precetti, ma attuato nella vita nel cambiamento del cuore. Per questo Gesù riprende il rimprovero di Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini (Is 29,13).

Se il cuore sta presso Dio praticare un autentico culto significa vivere relazioni nuove con gli altri, di giustizia, di cura, di ospitalità. Riferire la vita a Dio implica prendere le parti dei poveri: “Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me (…)  Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,13-17).

Gesù smaschera la pretesa presente in ogni tipo di fariseismo che esaurisce la fede (come incontro e coinvolgimento personale nell’affidamento a Dio) ad un sistema religioso controllato da istituzioni che pretendono di avere un controllo assoluto riguardo al rapporto con Dio: limitare il culto a Dio ad una questione di osservanze e precetti che non implicano un rapporto nuovo con gli altri. Il comandamento di Dio richiede un culto della vita ossia impegno in una prassi di giustizia e di custodia dell’altro.

Gesù suggerisce anche che la sede del bene e del male non sta nelle cose in se stesse, ma è nel cuore dell’uomo, là dove si decide per il bene o per il male. Questo dice lo sguardo positivo, ottimista e buono verso tutte le realtà della vita umana: tutto viene da Dio e non può esser cattivo o impuro in sè. Nello stesso tempo pone davanti ad una radicale esigenza di responsabilità. Puro e impuro derivano dalle scelte che hanno la loro sede nel ‘cuore’ e si concretizzano in azioni. Gesù riporta al profondo del cuore e pone ognuno ad interrogarsi in modo libero e responsabile.

Alessandro Cortesi op

Ipocrisia

Ipocrisia è termine che trae la sua radice etimologica nel saper giudicare in modo puntuale e con profondità (da krinein, giudicare). Ma il termine nella Grecia classica fu utilizzato nell’ambito teatrale per cui l’hypocrites è un attore che sa proporre in modo convincente il suo ruolo, attuando quindi una recitazione attraente. E’ quindi connesso alla capacità di immedesimazione in un personaggio e nel saperlo rendere credibile agli occhi degli spettatori. Da qui si è attuato uno spostamento di significato dall’ambito della recitazione fino a rendere la parola sinonimo di una capacità di finzione, quindi di simulazione e presentazione di un volto che non è il proprio autentico volto. Nel contesto contemporaneo che vede lo sviluppo di una società connessa alla rappresentazione alcuni sociologi hanno rilevato come sia in atto un processo diffuso di assunzione di ruolo da mantenere come una maschera nelle diverse situazioni della vita. Ognuno diviene così attore di una grande rappresentazione offrendo una o più maschere. Questo gioco di ruoli può corrispondere al consenso proveniente dagli altri vicini o lontani (si pensi ai social media), oppure può anche derivare dalla paura di assumere una responsabilità nel manifestare autenticamente la propria interiorità, le proprie incertezze e ricerche, il proprio volto con i suoi limiti, imperfezionie con le sue attese, aperture, speranze.

Proprio in questi giorni nell’udienza generale di mercoledì 25 agosto papa Francesco ha parlato dell’ipocrisia offrendone una breve descrizione ed affrontando la questione dell’ipocrisia nella chiesa: “Cosa è l’ipocrisia? Si può dire che è paura per la verità. L’ipocrita ha paura per la verità. Si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi. È come truccarsi l’anima, come truccarsi negli atteggiamenti, come truccarsi nel modo di procedere: non è la verità. “Ho paura di procedere come io sono e mi trucco con questi atteggiamenti”. E la finzione impedisce il coraggio di dire apertamente la verità e così ci si sottrae facilmente all’obbligo di dirla sempre, dovunque e nonostante tutto. La finzione ti porta a questo: alle mezze verità. E le mezze verità sono una finzione: perché la verità è verità o non è verità. Ma le mezze verità sono questo modo di agire non vero. Si preferisce, come ho detto, fingere piuttosto che essere sé stesso, e la finzione impedisce quel coraggio, di dire apertamente la verità. E così ci si sottrae all’obbligo – e questo è un comandamento – di dire sempre la verità, dirla dovunque e dirla nonostante tutto. E in un ambiente dove le relazioni interpersonali sono vissute all’insegna del formalismo, si diffonde facilmente il virus dell’ipocrisia. Quel sorriso che non viene dal cuore, quel cercare di stare bene con tutti, ma con nessuno…” Francesco, Udienza generale 25 agosto 2021)

“L’ipocrita è una persona che finge, lusinga e trae in inganno perché vive con una maschera sul volto, e non ha il coraggio di confrontarsi con la verità. Per questo, non è capace di amare veramente – un ipocrita non sa amare – si limita a vivere di egoismo e non ha la forza di mostrare con trasparenza il suo cuore. Ci sono molte situazioni in cui si può verificare l’ipocrisia. Spesso si nasconde nel luogo di lavoro, dove si cerca di apparire amici con i colleghi mentre la competizione porta a colpirli alle spalle. Nella politica non è inusuale trovare ipocriti che vivono uno sdoppiamento tra il pubblico e il privato. È particolarmente detestabile l’ipocrisia nella Chiesa, e purtroppo esiste l’ipocrisia nella Chiesa, e ci sono tanti cristiani e tanti ministri ipocriti. Non dovremmo mai dimenticare le parole del Signore: “Sia il vostro parlare sì sì, no no, il di più viene dal maligno” (Mt 5,37). Fratelli e sorelle, pensiamo oggi a ciò che Paolo condanna e che Gesù condanna: l’ipocrisia. E non abbiamo paura di essere veritieri, di dire la verità, di sentire la verità, di conformarci alla verità. Così potremo amare. Un ipocrita non sa amare. Agire altrimenti dalla verità significa mettere a repentaglio l’unità nella Chiesa, quella per la quale il Signore stesso ha pregato” (ibid.).

Alessandro Cortesi op

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