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commenti alla Parola della domenica e riflessioni

XXIX domenica tempo ordinario – anno C – 2022

Es 17,8-13; 2Tim 3,14-4,2; Lc 18,1-8

La parabola del giudice iniquo e della vedova nel vangelo di Luca è collocata nella cornice di un invito a pregare senza stancarsi nel tempo dell’ingiustizia. Una vedova, espressione di coloro che sono i più fragili e sena difese, si rivolge con forza ad un giudice che non prende le sue difese e si dimostra indifferente. Il monologo interiore del giudice tra sé e sé – un artificio letterario che consente al lettore di conoscere l’attitudine del giudice – manifesta come solo l’insistenza della vedova abbia smosso la sua attenzione e la motivazione del suo interessamento stia nel desiderio di non essere importunato. E’ un comportamento iniquo, e la vedova è la figura del debole, senza difese e senza appoggi umani. Il suo coraggio e la sua insistenza superano il senso di impotenza e la delusione che interviene in queste vicende. La donna non smette di recarsi, in modo insistente e continuativo, dal giudice con la richiesta: ‘Fammi giustizia contro il mio avversario’. La sua insistenza non viene meno di fronte all’attesa prolungata a cui è sottoposta e non viene minata dalla percezione di non essere ascoltata. Questa scena rinviava certamente a situazioni quotidiane che erano ben conosciute agli ascoltatori di Gesù – e anche oggi sono la sofferta attesa di verità e giustizia da parte di tante persone offese e ferite -. Ad un certo punto però il giudice cede alle insistenze: ‘le renderò giustizia, perché non venga a seccarmi’ espressione che si potrebbe anche leggere così: ‘le farò giustizia perché alla fine non mi colpisca in faccia’ – un veloce tratto di Luca che accenna alla giusta rabbia degli oppressi di fronte alla prepotenza di chi ha il potere -. E’ la descrizione di un ascolto, alfine, da parte di un giudice iniquo.

Il centro della parabola sta nella presentazione del volto di Dio con un argomento a fortiori: se il giudice iniquo si è comportato in questo modo dando alla fine ascolto per l’insistenza della vedova, quanto più Dio stesso, che è fedele, farà giustizia ai suoi poveri: se quell’uomo senza timore di Dio e senza rispetto per gli altri è giunto a prestare ascolto, Dio, che è fedele, ascolterà i poveri che gridano a lui.

Altrove Luca aveva presentato il medesimo stile di argomentazione: “Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre celeste darà lo Spirito santo a chi glielo domanda” (Lc 11,13).

Un primo messaggio della parabola può essere letto nel proporre il volto di Dio che rimane fedele, anche se sembra che non ascolti, anche se l’attesa è faticosa. Gesù probabilmente nel parlare ai discepoli aveva presentato il volto di Dio che pone difficoltà perché rimane in silenzio, richiamando alla radicalità di una fede nuda di affidamento. Rivolgendosi alla sua comunità Luca riprende la parabola di Gesù e pone accento sul volto di Dio che molto più farà giustizia e ascolta ponendolo in rapporto di contrasto rispetto al giudice disonesto.

Un secondo messaggio della parabola riguarda il volto del discepolo: la vedova nelle parole di Gesù è donna forte che insiste e lotta per la giustizia. Non smette di invocare, di sperare: sempre, senza stancarsi. La vedova è esempio del credente che non ha altri sostegni, che ha fiducia in Dio. Ed è anche donna forte che non viene meno ad esigenze di giustizia.

La preghiera è talvolta questa lotta che tiene insieme sguardo alla storia, compassione e grido a Dio portando la sofferenza delle vittime: non tanto una battaglia come per Israele contro un altro popolo (ved. prima lettura), ma una lotta esistenziale. E’ questo il combattimento che i cristiani sono chiamati a compiere: perseguire la giustizia nello stare davanti a Dio con fiducia. La sfida è mantenersi vigilanti contro l’ingiustizia nel tempo dell’attesa e custodire la fiducia nel ritorno del Signore. E’ la fatica del tempo della chiesa. Luca indica che il cammino dei discepoli e delle discepole è quello di questa vedova, senza appoggi, che porta nella sua invocazione la sete di giustizia dei poveri. E’ incoraggiamento nel tempo faticoso della storia a non venir meno nella speranza anche di fronte alle contraddizioni e al silenzio di Dio che suscita la nostra responsabilità.
Alessandro Cortesi op

Fammi giustizia!

Il Rapporto 2022 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro presenta un quadro dello sfruttamento nel mondo del lavoro in Italia, ma i dati sono solo una pallida indicazione della realtà effettiva. Emerge infatti un aumento delle vittime che nel 2021 raggiungono il numero di quasi 2200 (in due anni più del 47%) e viene anche rilevato il raddoppio dei lavoratori in nero. Le ispezioni registrano anche un aumento di braccianti in condizione di sfruttamento.  L’Osservatorio Placido Rizzotto calcola in 180.000 le persone sottoposte a sfruttamento lavorativo e caporalato nel solo settore agricolo: con un aumento di quasi due terzi in più rispetto al 2018 (110 mila).

I lavoratori sfruttati provengono per lo più dall’area della immigrazione irregolare. Fattori di ulteriore indebolimento della loro condizione sono stati la pandemia e la mancata regolarizzazione per le difficoltà burocratiche. A fronte di oltre 20omila domande di sanatoria presentate nel 2019 dai migranti, sono state accolte meno del 20% alla fine del 2021 (cfr. Rapporto Centro Astalli 2022). L’Osservatorio Placido Rizzotto ha elaborato una “Mappa geografica del lavoro sfruttato” da cui appare che la maggior parte delle aree in cui è presente lavoro sfruttato è nelle regioni del centro-sud con prevalenza in Lazio, Puglia e in Sicilia.

Da dicembre 2021 a marzo 2022, l’associazione dei Medici per i diritti umani MEDU (Cfr. Rapporto di maggio 2022 Ritorno alla terraingiusta: sfruttamento, ghetti e incerte prospettive) ha operato con una clinica mobile così da poter raggiungere gli insediamenti di lavoratori informali della Piana di Gioia Tauro in Calabria dove vivono i braccianti impiegati soprattutto nella raccolta degli agrumi. Le conclusioni di tale indagine fanno emergere una realtà di tendopoli e aggregazioni abitative prive di qualsiasi genere di servizio di prima necessità, con difficoltà di accesso all’acqua. In questi insediamenti informali sono costretti ad abitare i migranti che, pur avendo regolare permesso di soggiorno, sono assoldati a lavorare nei campi della Calabria. Nei casi contattati le condizioni di lavoro effettive per lo più ignoravano i vincoli contrattuali e le retribuzioni erano nettamente inferiori a quelle previste dalla Confederazione Nazionale del Lavoro.

Così osserva Giusy Rosato analizzando la consdizione degli invisibili in vechie e nuove forme di sfruttamento: “Le biciclette dei braccianti indiani sikh tra le migliare dell’Agro pontino sui sentieri sconnessi delle assolate campagne per raggiungere le aziende dei propri padroni non sono meno alienanti di quelle dei tanti riders, poco tutelati e “regolati”, ma sempre pronti a soddisfare celermente le esigenze di cittadini ‘comodi’”.

Ed indica un auspicio: “Perché il mercato del lavoro non sia più caratterizzato dai cosiddetti lavori delle “tre d” (dirty, dangerous and demeaning jobs, vale a dire sporchi, pericolosi e umilianti), o delle 5P (pesanti, pericolosi, precari, poco pagati e penalizzanti socialmente), secondo la felice formulazione del sociologo delle migrazioni Maurizio Ambrosini, è doveroso che la memoria storica si trasformi in azione concreta” (Giusy Rosato, Tutte le facce dello sfruttamento del lavoro, 5 settembre 2022 L’Eurispes.it).

L’invocazione della povera vedova è un grido ancora presente e inascoltato: Fammi giustizia…!

Alessandro Cortesi op

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