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commenti alla Parola della domenica e riflessioni

XXVII domenica tempo ordinario anno A – 2023

Is 5,1-7; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

“Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva vangata e vi aveva piantato scelte viti… Egli aspettò che producesse uva ma essa fece uva selvatica… la vigna del Signore è la casa di Israele”

La prima lettura ha i tratti di una poesia, tessuta attorno all’immagine della vigna. E’ un canto che descrive la vigna con tratti quasi umani sino a farne simbolo del popolo d’Israele. Il poema narra serenamente di un lavoro di cura che il ‘diletto’ vi svolge. E’ descrizione accurata che prepara ad una visione di pace. Invece, nonostante la coltivazione, la vigna produce uva selvatica. Intervengono delusione e fallimento: l’atmosfera si fa cupa e drammatica. Addirittura un sottile gioco di parole descrive un capovolgimento: anziché diritto (mishpat) vi è spargimento di sangue innocente (mispah), anziché giustizia (sedaqah) c’è grido di oppressi (se’aqah). Isaia è un grande poeta: descrive così la drammatica vicenda di una mancata corrispondenza tra l’attenzione di Dio, padrone della vigna e il popolo di cui la vigna è simbolo. L’attesa paziente di Dio stesso viene delusa e si scontra con il fallimento.

L’immagine della vigna è ripresa da Gesù nella parabola dei vignaioli omicidi: c’è una storia di rifiuto e di violenza ma su di essa prevale una storia di fedeltà, la fedeltà del servo e del figlio. Il rifiuto dei capi del popolo è attitudine che può ripetersi nella storia come infedeltà a Dio e all’alleanza. E’ qui delineato il mistero di un rifiuto che storicamente riguardò solamente i capi di Israele.  C’è una netta polemica con le scelte di violenza degli zeloti, ma anche con i capi del popolo d’Israele che pretendono di essere vignaioli e padroni della vigna rifiutando progressivamente gli inviati del padrone. E’ una parola che sfida anche ogni pretesa religiosa umana di non riconoscere Dio come signore della vigna e il prevalere di logiche violente di chi è assetato di potere e di eliminare gli altri. E tuttavia la storia non si chiude in una spirale di violenza. Dio non si stanca di offrire il suo dono di alleanza e di amore in termini nuovi, propone e ripropone un richiamo per mezzo di profeti e inviati e non si arrende alla violenza. La vigna rimarrà sempre tuttavia quella vigna di Israele, segnata dalle promesse senza pentimento da parte di Dio per il suo popolo.

La vigna assume allora i contorni di una umanità di cui Dio stesso si prende cura suscitando vignaioli buoni, attenti che si chinano e fanno crescere frutti buoni. Il centro della parabola sta nella riaffermazione della fedeltà di amore di Dio e del dono di alleanza che non viene meno: nonostante il rifiuto ripropone all’umanità il suo dono, la salvezza. Ed è riproposta in termini di nonviolenza e di dono: Gesù è pietra scartata dai costruttori ma diverrà pietra fondamentale di una costruzione del Dio fedele alle sue promesse. Matteo nella parabola descrive così il riproporsi di una storia di salvezza che ha il suo centro in Cristo.

E’ Gesù, dirà il quarto vangelo, la vite fedele che porta frutti: ‘Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla’ (Gv 15,5).

Alessandro Cortesi op

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