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commenti alla Parola della domenica e riflessioni

V domenica di Pasqua – anno B – 2021

Marc Chagall – albero della vita

At 9,26-31; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

L’ulivo con la vite costituisce una delle caratteristiche del panorama mediterraneo e la vigna è riferimento che attraversa il Primo Testamento. Evoca da un lato la cura appassionata e la fedeltà di Dio; conduce anche a considerare le fatiche e infedeltà all’alleanza donata. La vigna è cantata da Isaia con riferimento al popolo d’Israele oggetto della cura di Dio ma che vive la durezza di cuore (Is 5,1-6; cfr. Ger 2,21; Ez 13,1-6). E nei salmi si prega Dio “volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato” (Sal 80,9-10.15-16).

Nel contesto dell’ultima cena il IV vangelo riporta i discorsi di Gesù ai capp. 15 e 16 con il riferimento alla vite. Il richiamo riprende le voci dei profeti con l’indicazione della cura ma anche della mancanza di risposta e coinvolgimento. Gesù dice: ‘Io sono la vera vite’. La vite passa da essere rinvio ad Israele ad indicare Gesù stesso: nella metafora si possono scorgere aspetti della sua identità in rapporto inscindibile con il popolo d’Israele ed nella relazione con tutti coloro che Gesù ha legato a sé. In lui si rende presente la cura e la fedeltà del Padre cui le pagine profetiche con il rinvio a questa immagine facevano riferimento. E’ ancora lui a portare quei frutti che il Padre si attendeva: sono giunti allora in lui i tempi ultimi.

L’affermazione ‘io sono la vera vite’ indica anche Gesù quale portatore di una comunione di vita: tutti possono rimanere a lui uniti e trarre una linfa di vita. Credere nel suo nome indica perciò vivere un rapporto di vicinanza e sequela: essere tralci vivente della sua stessa vita apre a portare frutto cioè a rendere la vita significativa e piena in relazione con gli altri.

‘Rimanere’ è il verbo che esprime questo rapporto di conoscenza e intimità. ‘Rimanete in me’ è invito ripetuto: rinvia ad una familiarità di vita, alla condivisione di esperienza (Gv 6,56).

Gli stessi tralci non vivono da soli, distaccati gli uni dagli altri, ma insieme: Gesù propone ai suoi un ‘rimanere’ che implica accogliere e vivere come comunità in rapporti di relazionalità viva, di accoglienza reciproca: motivazione e forza dello stare insieme sta nella corrente di vita che da lui proviene. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.

Alessandro Cortesi op

Preghiera per il 1 maggio

Signore ti preghiamo in questo primo maggio, festa dei lavoratori, festa di san Giuseppe lavoratore, che viviamo nel tempo della pandemia.

Tu Gesù nella tua vita terrena hai toccato la concretezza del lavoro umano. Nella casa di Nazareth hai respirato la quotidianità del lavoro, le sue gioie e la sua pesantezza, le sue preoccupazioni e la sua pena. I tuoi occhi hanno visto le mani dure dei pescatori, i volti bruciati dei seminatori, le braccia delle donne impastando il pane. Hai sperimentato il lavoro con le mani dell’artigiano, e hai conosciuto l’oppressione del lavoro sfruttato dai potenti.

Ora in questo tempo vogliamo innanzitutto dirti grazie per tutte le donne e gli uomini che, con il loro lavoro si sono presi cura degli altri. I medici, gli infermieri, addetti alle pulizie, allo smaltimento dei rifiuti negli ospedali e nei territori, gli operatori per la distribuzione dei beni essenziali, i commessi nei supermercati, gli insegnanti di ogni grado che hanno tenuto i contatti con i loro alunni in modi nuovi, i giornalisti, chi ha curato i servizi sociali e chi ha vissuto il proprio lavoro a distanza. Nei loro volti, nelle loro mani abbiamo visto un riflesso di te, Gesù, che ti sei preso cura delle persone che incontravi preoccupato della loro salute e della loro vita innanzitutto.

Ti vogliamo ricordare chi ha dovuto sospendere il proprio lavoro e in questo periodo prova angoscia per il rischio di perderlo. Ti ricordiamo tutti coloro che vivono un lavoro precario, il lavoro in nero. La nostra preghiera sia motivo di attenzione e responsabilità. Ti preghiamo per chi è disoccupato e vive condizioni lavorative in cui è violata la dignità. Ti ricordiamo i tanti stranieri uomini e donne che lavorano nei campi di raccolta della frutta e della verdura o nell’assistenza domestica degli anziani e sono ‘irregolari’. Suscita Signore iniziative di giustizia, di riconoscimento di diritti da parte di chi ha responsabilità politiche.

Ti ricordiamo tutte le persone, le famiglie e le comunità in cui in questo momento di pandemia si diffonde il timore per il futuro, l’ansia per poter portare il pane a casa, per il futuro dei figli, per sostenere gli anziani, i disabili e i più fragili.

In Siracide leggiamo: 31Tutti costoro confidano nelle proprie mani,
e ognuno è abile nel proprio mestiere.
32Senza di loro non si costruisce una città,
nessuno potrebbe soggiornarvi o circolarvi.
Ma essi non sono ricercati per il consiglio del popolo,
33nell’assemblea non hanno un posto speciale

Non fanno brillare né l’istruzione né il diritto,
non compaiono tra gli autori di proverbi,
34ma essi consolidano la costruzione del mondo,
e il mestiere che fanno è la loro preghiera. (Sir 38)

Ti chiediamo di far tesoro di quanto abbiamo scoperto in questo periodo sul senso e il valore del nostro lavoro, sulla fatica del lavoro degli altri, sulla preziosità di chi fatica incontrando disprezzo e umiliazione, sulla sofferenza di chi è senza lavoro, di chi è lasciato a margini e di chi ha perso ogni speranza. 

Ti chiediamo di cambiare le menti e i cuori di coloro che possono orientare il sistema economico. Abbiamo appreso in questa crisi che la solidarietà è essenziale alla vita di tutti, che ogni lavoro è importante e ad ogni lavoratore e lavoratrice dovrebbe essere riconosciuto un reddito stabile che riconosca dignità all’operare insostituibile di ognuno.

Donaci di aprirci ai sentieri nuovi che il tuo Spirto suggerisce in questo tempo di dolore e di fatica, per costruire un mondo di giustizia, fraternità, sostenibilità ambientale, in cui l’operare delle mani, delle menti, dei cuori non sia per il profitto di pochi, ma per la condivisione e per la pace.

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