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commenti alla Parola della domenica e riflessioni

XXIX domenica del tempo ordinario – anno B – 2021

Is 53,10-11; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45

Due discepoli, Giacomo e Giovanni, che seguivano Gesù lungo la strada lo interrogano: “concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.

Questa domanda racchiude un’attesa e un modo di intendere la via di Gesù come conquista di un potere da cui può derivare l’acquisizione di un ruolo e un posto di privilegio per i più vicini. Con la sua durezza Marco nel vangelo raffigura i discepoli come coloro che non capiscono e nemmeno seguono Gesù. Gesù risponde con un linguaggio simbolico e parla di calice e di battesimo: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo che io ricevo?”. Nella Bibbia il calice è associato alla situazione che gli empi devono subire. Il Salmo 75,9 parla di un calice colmo di vino che gli empi dovranno bere. E’ simbolo dell’ira di Dio per coloro che operano il male. Gesù con questo rimando intende parlare di se stesso: nella sua vita prende la condizione di chi è più lontano di chi è ‘maledetto’. Il suo cammino è in solidarietà con i peccatori, lontani da Dio. L’immagine del battesimo – che significa immersione – rinvia poi ad una situazione di morte. Nei salmi chi è immerso nelle acque vive nel dramma di essere perduto: “affondo nel fango e non ho sostegno, sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge” (Sal 69,3).

Gesù indica in tal modo la sua strada: non si tratta di un percorso di ascesa, di conquista di potere, di gloria e potenza, ma di umiliazione e morte. Sullo sfondo è l’annuncio della croce stessa.

Dice anche loro che il ‘regno’ è dono del Padre e non dipende da progetti umani. I due discepoli sono particolarmente sicuri e rispondono ‘noi possiamo fare questo’, ma Gesù indica ad un orizzonte nuovo. Propone loro una via diversa, contro corrente rispetto alle mire umane di affermazione e supremazia:  “sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi si farà servo di tutti”.

In queste parole si può ritrovare una descrizione della via di Gesù, quale strada del servizio e del dono di sè per tutti. Nella sua prassi egli attua la missione del ‘servo’: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

La sua via è accostabile a quella del servo, una figura che il secondo-Isaia vissuto nel tempo della fine dell’esilio aveva delineato nei suoi scritti. “Disprezzato e reietto dagli uomini, che ben conosce il patire”. Tuttavia il servo sofferente è come una pianta nel deserto e come una radice in terra arida. La sua vita arreca linfa nuova e porta fecondità. Benché egli sia sottoposto al disprezzo e alla condanna, proprio nel suo offrirsi per gli altri va compiendosi la salvezza di Dio. Il suo soffrire è dono della sua vita in rapporto a tutto il popolo e diviene esperienza di salvezza per tutti. “Il giusto mio servo giustificherà molti egli si addosserà la loro iniquità”. Marco nel suo vangelo presenta Gesù come colui che è venuto per servire e non per essere servito e legge nel suo progetto di vita il compimento delle caratteristiche del ‘servo di Jahwè’.

Marco raccoglie così un altro fondamentale insegnamenti di Gesù ai suoi lungo la via: si tratta di fare proprio il suo destino. La sua proposta è un modo alternativo di vivere i rapporti. In contrasto con la ricerca dei primi posti Gesù invita a vivere nella gratuità del servizio. La via che Gesù ha seguito apre liberazione dalla schiavitù e dalla morte per tutti. Su questa via chiama i suoi a seguirlo.

Alessandro Cortesi op

Egli ama la giustizia e il diritto; dell’amore del Signore è piena la terra

Una lettera è stata inviata a firma dei ministri degli esteri di dodici paesi europei alla Presidente della commissione europea Ursula von der Leyen il 7 ottobre scorso. I sottoscrittori comprendono non solo i quattro Paesi componenti il cosiddetto gruppo di Visegrad (Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia e Ungheria) nei quali da tempo si stanno attuando misure che vanno contro principi dello stato di diritto a fondamento dell’Unione Europea, ma anche da altri Paesi quali Danimarca, Austria, Lituania, Lettonia, Estonia, Bulgaria, Grecia, Cipro. La lettera esprime una chiara posizione di preoccupazione unicamente per la difesa della sicurezza e di lettura delle migrazioni quale fenomeno di minaccia e di attacco. Chiede altresì  scelte legislative per contrastare ciò che  viene indicato come tentativo di sfruttamento della migrazione illegale da parte di Paesi terzi ed altre “minacce ibride” (così nel testo) ai Paesi della Unione europea.

La situazione dello sfruttamento della migrazione da parte di Paesi terzi può essere riferita a quanto sta accadendo al confine tra la Bielorussia e la Polonia dove i migranti sono diventati uno strumento utilizzato dal dittatore Lukaschenko per fare pressione sulla Polonia e sull’Europa a causa delle sanzioni decise a seguito della brutale repressione degli oppositori dopo l’elezione presdienziale rubata nel 2020. Vengono così spinti al confine dalle milizie bielorusse ma si trovano di fronte uno spiegamento massiccio dell’esercito della Polonia che li respinge in modo tale che si ritrovano così intrappolati e in condizioni di abbandono fino a dover affrontare la morte.

Nella lettera si chiedono modifiche al Codice frontiere Schengen e al Regolamento UE 2016/399 per indicare chiare azioni in caso di un “attacco su larga scala di migranti irregolari” promosso da un paese terzo e si giunge a proporre l’innalzamento di barriere fisiche di protezione delle frontiere esterne dell’Unione in modo permanente. Il tono della lettera ed il linguaggio utilizzato affrontano la situazione dei migranti secondo una logica militare, senza alcune considerazione etica e giuridica della condizione umana di coloro che si trovano nella condizione di profughi e cercano rifugio. Ma in particolare in nessun modo viene compresa la possibilità di garantire il diritto di richiedere protezione a asilo – diritto fondamentale riconosciuto nell’Unione – e il principio del non respingimento dei migranti previsto dalla Convenzione internazionale di Ginevra. Addirittura si lascerebbe spazio libero ai respingimenti collettivi che non solo diverrebbero possibili ma costituirebbero secondo le richieste di questi dodici Paesi, l’attitudine ordinaria e normale. La eliminazione del diritto di asilo e la pratica del respingimento aprirebbero alla ordinaria attuazione dell’uso della violenza sui migranti che si affacciano alle frontiere cercando di entrare.

Così osserva Gianfranco Schiavone: “ciò che è stato messo nero su bianco è … un tentativo di sovvertire principi fondamentali dell’ordinamento democratico dell’Unione, talmente inaudito che ritengo verrà esaminato dagli storici che studieranno la nostra epoca come uno dei più significativi manifesti ideologici del neo autoritarismo del XXI secolo” (G.Schiavone, I gendarmi d’Europa vogliono cancellare il diritto d’asilo, “Il riformista” 12 ottobre 2021).

Tutto questo avviene mentre proprio l’Unione Europea ha attuato da tempo accordi con paesi terzi  – ad esempio con la Turchia o nell’accordo tra Italia e Libia con il finanziamento della cosiddetta guardia costiera formata da milizie criminali che attua respingimenti – per far sì che i migranti rimangano bloccati e non giungano alle frontiere.

Alcune testate come “Avvenire” e “The Guardian” insieme al progetto Lighthouse Report (progetto di giornalismo collaborativo sorto in Olanda) attestano che è in atto una violenta campagna condotta da uomini a volto coperto per respingere i richiedenti asilo alle frontiere dell’Unione europea. Non si tratta di vigilanti mascherati ma di forze di polizia che fanno riferimento ai governi dei Paesi UE. Sono operazioni negate in pubblico ma finanziate e attuate con i soldi della UE.

L’inchiesta pubblicata il 6 ottobre 2021 da un team di giornalisti di ARD, Lighthouse Report, Novosti, RTL Croatia, Spiegel, SRF  documenta 11 operazioni di respingimento avvenute tra il maggio e il settembre 2021 con video sulla inaudita violenza attuata con trattamenti disumani degradanti verso le persone migranti (cfr. L.Rondi, Respingimenti sulla rotta balcanica: l’inchiesta che smaschera la polizia croata e l’Ue, “Altreconomia” 8 ottobre 2021). Su Avvenire del 7 ottobre us sono state pubblicate le impressionanti immagini di tali respingimenti attuati sistematicamente e con violenza al confine tra Croazia e Bosnia. “I governi dell’Ue – scrive Lighthouse – negano l’esistenza di una violenta campagna condotta da uomini a volto coperto per respingere i richiedenti asilo alle frontiere dell’Unione’. Ma l’esito dell’inchiesta giornalistica ‘smaschera questi gruppi, rivela chi li comanda e li finanzia. Il nostro report – aggiungono i giornalisti – mostra che queste ‘forze clandestine’ non sono vigilanti mascherati, ma unità di polizia che riferiscono ai governi dell’Ue. Le operazioni sono negate in pubblico ma finanziate ed equipaggiate dai bilanci dell’Unione Europea” (N.Scavo, Le prove dell’operazione segreta per respingere i profughi dall’UE, “Avvenire” 7 ottobre 2021). Le azioni di analoghi eserciti-ombra sono state individuate anche in Romania e in Grecia. Così al confine tra Bielorussia e Lituania è attestato che molti profughi sono morti per abbandono e mancanza di soccorso nelle foreste sul confine (cfr. il reportage dal confine tra Lituania e Bielosussia di N.Scavo, Famiglie di profughi isolate nei boschi. ‘Non abbiamo più cibo, moriremo, “Avvenire” 13 ottobre 2021).

La rete Border violence monitoring network (BVMN) ha documentato i respingimenti a catena che si verificano da Austria e Slovenia. Ma anche l’Italia è coinvolta in questo disegno di progressiva militarizzazione dei confini, con un accordo di cui non sono stati resi i contenuti con la polizia slovena per pattugliamenti misti sulla frontiera in cui le persone intercettate, senza avere possibilità di incontrare un avvocato o di presentare richiesta di asilo, sono deportate con respingimenti a catena, in Croazia e successivamente in Bosnia.

Appare come tali azioni di respingimenti violenti, condotte in modo illegale e in palese violazione dei regolamenti della UE e del Codice Frontiere, costituiscano una sorta di esperimento per quello che potrebbe essere una decisione politica di chiusura delle frontiere ai migranti e rifugiati che viene esplicitamente richiesta dalla lettera dei dodici Paesi su menzionata.

Sono orientamenti che fanno scorgere un ritorno drammatico dell’Europa alle pagine più buie della storia vissute nel secolo scorso. E’ un processo già in atto da tempo e attuato nelle politiche di rifiuto o impedimento al prestare soccorso in mare lasciando spazio ai respingimenti attuati dalle milizie libiche, e negli accordi per rinchiudere i migranti nei campi che costituiscono una forma di carcerazione e tolgono ogni speranza a chi cerca un futuro di dignità e protezione.

Ogni passaggio di questa discesa nella barbarie che non riconosce più nei profughi degli esseri umani, dovrebbe suscitare indignazione e reazione dettate dal riconoscimento di diritti umani fondamentali posti a fondamento della stessa esistenza della UE e dal senso di umanità e della cura che sole possono aprire un futuro e possibilità di convivenza per tutti.

Alessandro Cortesi op

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