la parola cresceva

commenti alla Parola della domenica e riflessioni

XV domenica tempo ordinario – anno A – 2020

IMG_8586Is 55,10-11, Rom 8,18-23; Mt 13,1-23

“Come la pioggia scende dal cielo e non vi ritorna senza aver irrigato la terra… così sarà della parola uscita dalla mia bocca” (Is 55,10) Lo scendere della pioggia, l’andare del seminatore, l’uscire della parola, sono tre movimenti presenti nelle letture di questa domenica.

La pioggia scende e, nell’incontrarsi con la terra, suscita un processo di trasformazione . Dal suo scendere sorgono frutti, seme al seminatore e pane da mangiare. L’acqua è elemento essenziale della vita.

Le culture del deserto sanno bene che l’acqua è indispensabile. Con questa immagine il profeta secondo-Isaia vuole dire qualcosa sull’agire di Dio: “Quanto il cielo sovrasta la terra tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”. La pioggia scende dall’alto come dono di un Dio che ha pensieri oltre i nostri limitati schemi e le nostre povere parole. I pensieri di Dio sono la gratuità del suo amore, dono abbondante, senza limitazioni, che si diffonde ovunque ed offre possibilità di vita.

E’ una vita che fa germogliare semi diversi. Non annulla ciò che esiste ma lo fa crescere, dà forza perché quella vita che è già dono, ed ogni seme possa esprimere la sua carica vitale. E rimane totalmente dono. La pioggia che scende indica che la Parola di Dio è dono, viene prima di ogni germoglio e frutto, né è condizione di crescita.

Ogni opera nostra ha radici che ricevono un’acqua che viene dall’alto. Il ‘parlare’ di Dio – ‘dabar’ in ebraico – è un dire ma è anche un ‘fare’, un agire. Quando Dio comunica la sua parola, comunica se stesso e la sua forza creatrice di vita: “così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’avevo mandata”.

E’ ancora il percorso della parola al centro della pagina del vangelo, narrazione in parabola dell’agire del seminatore. Prima che un messaggio sulla diversità dei terreni, questa parabola suggerisce una domanda sul seminatore e sul seme stesso: è un coltivatore che getta il seme in modo abbondante, senza calcoli e senza preoccupazione di sprecare il seme. I suoi gesti indicano una ampiezza di cuore. Il seminatore esce a seminare e il seme cade ovunque. Gesù presenta una scena quotidiana e chi lo ascolta può riconoscersi coinvolto. Non cala dall’alto un insegnamento lontano la vita ma invita  a leggere dentro i gesti ordinari della vita e pone di fronte ad una scelta. ‘voi, che ascoltate, da che parte vi ponete? Di fronte all’azione del seminatore che getta la parola con tanta abbondanza che fare? L’invito è riconoscere questa gratuità e lasciarsi coinvolgere cambiando la propria esistenza, entrando in questo movimento.

La parabola è anche un invito alla speranza. Alla fine il raccolto sarà abbondante nonostante tutte le difficoltà e i fallimenti: anzi il suo esito è spropositato. La parola di Dio è efficace: noi vediamo i fallimenti, lo spreco, ma questa parabola ci parla di un Dio i cui pensieri non sono i nostri pensieri, il suo amore è gratuito, la sua azione ha una fecondità inedita.

C’è poi anche un invito a riconoscere il nostro terreno, a saper cogliere gli ostacoli che spesso ci fanno essere incapaci di accogliere la Parola di Dio, la comunicazione della sua vita. E così soffocarla.

La seconda lettura ci parla di speranza: tutta la creazione sta vivendo un parto. Qualcosa di nuovo sta per nascere ma l’attesa e il passaggio è drammatico. Accogliere la parola di Dio è vivere in questa attesa e in questo impegno con tutta la creazione.

Alessandro Cortesi op

van-gogh- seminatore(Vincent Van Gogh, Il seminatore al tramonto, 1888)

Fallimento e fecondità

La scena del seminatore che esce a seminare è la storia di un fallimento. Semina ovunque, ma da ogni parte qualcosa interviene a far sì che quel seme non possa trovare spazio per attecchire e crescere. La strada, i sassi, le spine dei rovi. E’ un po’ la fotografia di tanti aspetti della nostra vita: fatta di generosità, di energie elargite con abbondanza e con tante attese e aperture sul futuro e fatta anche di ostacoli, di fallimenti, di delusioni.

Questo racconto, parabola che è narrazione e paragone, parla del coraggio di chi decide di uscire a ripetere quel gesto che è gesto ampio, senza calcolo, generoso. Seminare è agire in perdita, è sprecare aprendosi all’attesa, è attraversare terreni dove non si sa cosa possa venire. E in secondo luogo questo racconto parla di un inedito che si fa presente. Per tanti terreni dove il seme non prende vita, c’è un terreno in cui sorge qualcosa di eccezionale e di imprevisto. C’è una abbondanza che fa sorprendere, nascosta in ogni uscire e in ogni gesto che si pone come dono (indipendentemente da dove provenga e chi ne sia il soggetto).

L’esperienza della catastrofe e del fallimento segna il nostro presente: si può riflettere sull’esperienza della pandemia che sta colpendo soprattutto i più poveri sulla terra e sta generando un senso di desolazione. Si può pensare alla rigidità e all’incapacità di mettersi in discussione di persone, responsabili dei meccanismi di un sistema economico che ha devastato la terra, l’ha resa incapace di produrre semi di vita e genera iniquità.Si può pensare alla insensibilità e indifferenza di fronte al dramma epocale del movimento di singoli e popoli, costretti a lasciare le loro terre per condizioni di miseria, fame, violenza, guerra e disastri climatici. E lasciati morire, respinti brutalmente o consegnati nelle mani di aguzzini e di sistemi di sfruttamento e tortura.

Il disastro appunto, la catastrofe sono esperienza che attraversa il nostro quotidiano. E può rendere delusi e ripiegati, preoccupati solamente per se stessi e bloccati di fronte ad ogni speranza. Presi da un senso di impotenza e rinchiusi nell’attuare un piccolo cabotaggio che eviti le grandi questioni e le sofferenze di vittime innumerevoli di ingiustizia e disumanità. In questo disastro si può tuttavia scorgere quelel fessure da cui proviene una fecondità inattesa e che decentra: i tanti gesti delal cura di medici infermieri, di persone che hanno svolto il loro lavoro con attenzione agli altri nella pandemia, l’accoglienza di chi salva i naufraghi nel tempo del rifiuto e della xenofobia (un messaggio di una ONG in questi giorni ricordando un salvataggio diceva: ci siamo salvati insieme…)

La scena del seminatore ci parla di due esperienze di Gesù: la serenità nell’uscire. C’è una abbondanza della Parola – chiamata di vita, annuncio di un mondo nuovo, bella notizia di rapporti possibili nella fraternità, annuncio e testimonianza che Dio prende su di sé la causa dei poveri – che proviene da un ‘uscire’. E’ l’uscire stesso di un amore che è sorgente di vita e di speranza. E’ l’uscire stesso di Dio; è l’uscire di Gesù che non ha smesso di uscire anche di fronte al fallimento e all’incomprensione. Si può accogliere e rimanere coinvolti in questo movimento di uscita che porta a scorgere un secondo aspetto del racconto. C’è il fallimento, l’infecondità della fatica del seminare. Ma in modo sorprendente, inatteso, ci sarà un luogo della vita in cui il dono apparentemente inutile, senza esito e fallimentare, diviene spazio di accoglienza per un seme gettato con generosità e senza calcoli.

Anche l’esperienza di chiesa non è indenne da questa dialettica di fallimento e speranza. Prima dell’inizio del sinodo sull’Amazzonia nell’ottobre del 2019 si è tenuto un momento di celebrazione e affidamento a san Francesco del cammino del sinodo con un gesto simbolico: è stato piantato un albero che proveniva da Assisi su una terra recata dall’Amazzonia e bagnata con le acque dei fiumi di quella regione. Sr Liliana Franco in quell’occasione ha detto:

“E’ il momento. E’ giunto il momento di piantare, di credere nella forza che deriva da tutto ciò che germina, di riconoscere il potenziale fecondo dei semi. Il momento di ascoltare la voce che lo Spirito ci porta dall’Amazzonia, voce con una capacità di abbracciare e trasformare (…) Seminare significa conoscere il momento opportuno, inchinarsi, accarezzare la terra e fidarsi umilmente di ciò che non si vede, organizzare tutto ed essere sorpresi dalla fecondità creativa di Dio, che è capace di far abbondare grazie e frutti, anche nei campi più sterili” (in S.Noceti, Chiesa, casa comune, EDB Bologna 2020,137-138).

Anche dopo il Sinodo tante delusioni hanno raffreddato attese e speranze per una chiesa che fosse disponibile ad ascoltare la profezia e le domande provenienti dalle comunità dei poveri che si affidano al Signore in regioni considerate marginali e insignificanti ma dove il vangelo è testimoniato nella vita. Rimane tuttavia la forza di un gesto, il seminare che non si stanca, anche al tramonto di un mondo e di un modello di chiesa – come suggerisce il quadro di Van Gogh – e la fecondità del seme gettato che trova spazio nonostante i fallimenti.

Alessandro Cortesi op

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